Martedì 21 novembre 1978

GIUSTO PIO, MUSICISTA

"Gaber ha affidato a me e a Franco Battiato il compito di orchestrare e arrangiare le musiche dell'ultimo spettacolo: abbiamo lavorato per fornire ai suoi testi un adeguato sfondo musicale, sicuramente nuovo per lui, in grado di meglio sottolineare l'espressività delle parole. Il risultato finale permette di dare uno stacco netto al passato: abbiamo rinunciato agli strumenti tradizionali di accompagnamento, chitarra, basso e batteria, per previlegiare clavicembalo, pianoforte e un quartetto d'archi".

 


“Motore immobile” presentato all’Out Off di Milano

PROGETTO PER UN RAPPORTO FISICO TRA MUSICA E UOMO

L’esperienza proposta da Giusto Pio al violino, Michele Fedrigotti e Danilo Lorenzini agli organi elettrici, e Franco Battiato come “vocalist” – Una prospettiva ricca di interpretazioni.

 

MILANO - “Immaginiamo i meccanismi rotanti di un qualsiasi motore: man mano ci si sposta dalla periferia al centro, verso il perno della ruota, diminuisce il movimento… Così spostandoci verso il centro di un suono diminuisce la sensazione dinamica, finché da un massimo di staticità si sprigiona un massimo di energia…”. Con poche, disarmate parole il compositore Pio Giusto tenta di spiegare il nocciolo dell’esperienza  proposta la sera di sabato 14 all’out Off ed intitolato appunto Motore Immobile. La performance comprendeva tre sezioni per quattro esecutori: lo stesso Giusto al violino, Michele Fedrigotti e Danilo Lorenzini agli organi elettrici e Franco Battiato come vocalist. Quest’ultimo, seppur scarsamente attivo in pubblico negli ultimi due anni, è ancora piuttosto popolare negli ambienti milanesi e ha certamente contribuito a stipare il piccolo locale di via Montesacro.

Sin dalla prima sezione è apparso chiaro il progetto di Pio Giusto e dei suoi collaboratori sviluppandosi da alcuni accordi perfetti tenuti fissi da due organi si è venuta tessendo una trama sonora affascinante (quasi ipnotica) immobilità, che avvolgeva lentamente ogni cosa e ogni corpo. Una ricerca difficile e magari discutibile, ma che paradossalmente sembra recuperare al massimo la materialità del rapporto tra la musica e l’ascoltatore in una prospettiva che si apre problematicamente più sulle fisiologiche che estetiche del suono. Una prospettiva, appunto: certo ancora ricca di interrogativi ma molto esplorata dalle avanguardie contemporanee di qualsiasi estrazione culturale; semmai su questi versanti si possono reperire più precedenti significativi in certa musica etnica.

Senza sostanzialmente contraddire gli schemi della parte iniziale, la seconda sezione ha presentato una struttura sonora più elegantemente conchiusa e di un immediatezza che ha fatto maggiore presa sul pubblico. Qui in realtà si concludeva l’esecuzione del Motore Immobile; la terza sezione, seppur entro i limiti di una generica analogia stilistica, è stata soltanto una improvvisazione che ha alternato momenti efficaci (ed anche divertiti) ad altri che giustificavano parecchie perplessità.

 

Peppo Delconte