IL DESERTO ALGERINO

 

 

Quando l'aereo scende di quota e senti lo stridore del carrello che tocca la pista ed i motori che rombano in frenata i flappes sono abbassati la decelerazione ti si materializza nel cranio tu vedi la terra scorrerti dal finestrino sempre più lenta ed il rumore assordante si trasforma in un sibilo finché la macchina si è fermata le luci si riaccendono al massimo fulgore i passeggeri si slacciano le cinture e piano piano iniziano a defluire tu li segui in coda guardi davanti la luce abbagliante che entra dall'esterno ed è qui che avviene l'impatto rimani folgorato dal profumo pungente di mille odori a tè finora sconosciuti tè li senti penetrare nelle nari e da qui dritti al cuore e dalla luce irreale accecante e accattivante che non ti colpisce come filtrata dalla sabbia ocra che circonda il sottile nastro della pista e dalle prime dune che fanno capolino oltre l'aerostazione si confonde con l'azzurro pulito del cielo che pare chiamarti in un abbraccio sensuale e poi dalle voci dell'esterno gutturali e dolci allo stesso tempo che ti aggrediscono e ti incantano: Africa! Finalmente ma è l'Africa o un miraggio? O un sogno o una sensazione? Oppure tutte queste cose insieme? Non lo saprai mai ma stanne certo che da questo momento in poi tu sei già stato contagiato è come un virus che ti è entrato dentro e più tu respiri più ti attanaglia facendoti godere all'infinito.

I Tuareg sono venuti ad accogliermi ed attendono fuori dell'aeroporto vicini alle loro macchine che saranno i nostri cammelli per tutta la durata del giro che faremo ed insieme ci muoviamo verso il villaggio. Il sole picchia forte non c'è un filo d'ombra oltre quella del nostro corpo sopra i piedi in casa di Hamed ci attende il rito del tè alla menta. Un tuareg di nome Mohamed con tre teiere prepara la mistura di tè verde zucchero acqua e menta nel recipiente più grande e dopo averlo scaldato a dovere lo travasa nella teiera più piccola facendolo cadere dall'alto poi ancora da questa nella precedente e poi ancora nella più piccola e da qui nei bicchierini assicurandosi che in superficie si formi una bella schiuma. E' un bel liquido ambrato e la leggera schiuma profumata di menta aiuta a conferirgli un aspetto voluttuoso sorseggiandolo senti tutta la forza di una bevanda rinfrescante e tonica che ti disseta e ti mette in contatto col deserto con l'Africa con il popolo dei Tuareg come fosse un viatico di buone novelle e ne dovrai bere tre di bicchieri perché il rito vuole che dopo sorseggiato il primo molto forte tu debba prenderne altri due che per l'aggiunta di nuova acqua saranno via via più leggeri ma non per questo meno buoni la teina che  hai ingerito ti mette di buon umore e ti sveglia dal torpore della calura, le donne della casa che fino ad ora sono rimaste nell'ombra nei loro locali vengono furtivamente a ritirare fuoco vassoi e tutto il resto portando per chi lo desidera i lunghi narghilè e biscotti fatti con le loro mani intrisi di miele selvatico e profumati di rose ti sorridono furtivamente accettando volentieri complimenti e piccoli doni dei quali tu avrai già parlato con gli uomini che poi sono i loro mariti o figli o fratelli che hanno già ricevuti i loro fra mille strette di mano e abbracci direttamente all'aeroporto.

Finito il tabacco si mette in tavola una carta del deserto algerino e poi altre carte più dettagliate per delimitare la zona che intenderemo visitare e fotografare poi si provvede ai mezzi che occorreranno, agli uomini, autisti, cuochi e meccanici poi ai rifornimenti per i veicoli quindi andremo al mercato per l'acquisto delle derrate fresche ed in conserva che ci serviranno fino a quando non troveremo sul cammino un altro villaggio dove approvvigionarsi per il tempo a venire. Il tempo in Africa è una concezione astratta bevendo fumando e mangiando il sole ha terminato il suo giro e noi ancora distesi sui meravigliosi tappeti berberi che ricoprono la stanza ed illuminati da fioche lampadine elettriche cominciamo ad accusare la stanchezza del viaggio e del lungo parlare in francese oppure a gesti secondo necessità; le donne già più di una volta sono tornate per lavarci le mani e per portarci nuove cibarie, i bambini già dormono avvolti nei loro tappeti chi raggomitolati negli angoli della

stanza dove siamo, chi nel corridoio che porta alle stanze delle ragazze e chi attorno al focolare spento dove stazionano le più anziane della famiglia perché saranno loro sempre le prime all'alba a riattizzare il fuoco per preparare i cibi per tutti e vicino hanno brocche d'acqua catinelle di cuscus secchi di pomodori carote e tuberi da lessare. Riposano per terra coperte dei loro abiti neri a strati, la testa sopra una pietra coperta da uno straccio con la faccia chiusa nello schesche dal quale escono solo due occhi neri che non riesci mai a capire quando siano vedenti o no: loro sanno sempre tutto di tutta la famiglia che dimora sotto quel tetto. Anche noi li imitiamo e dopo mille cerimonie per dire bonne nuit a tout le monde ed ancora tante strette di mano ci stendiamo dentro i nostri sacchi sopra i tappeti che ti mettono direttamente in contatto con la terra del pavimento. Il sole sta per sorgere le donne sono già venute ad accudirci con acqua tiepida e panni bagnati per lavarci poi asciugamani ricamati e pettini d'osso e specchi per rassicurarci di essere in forma perfetta. Nuovamente tè e biscotti fanno la loro comparsa e noi avidamente mangiamo questi poi banane nane saporitissime e datteri una colazione regale prima di affrontare il deserto. I veicoli sono in moto noi siamo pronti a partire ci siamo coperti abbondantemente perché in questa ora antelucana fa veramente freddo l'escursione termica fra notte e giorno è piuttosto elevata da sotto zero a più quaranta celsius per gioco si fa un nuovo controllo di tutte le nostre cose e via: rotta Nord-Nord-ovest per almeno centoventi chilometri fino al primo albero di acacia sotto il quale passeremo le ore più calde mangiando brodo con carne e harissa frutta e naturalmente ancora tè poi mentre noi riposeremo o andremo in giro per delle foto i nostri cari Tuareg si apparteranno rivolti alla Mecca a pregare.

Hamed mi fa da autista è grande e grosso con due occhi che sembrano fari nella nebbia sempre serio ma arguto parla poco ma dice cose serissime è un capo carismatico delle sue genti conosce il deserto come se stesso ed è felice di condurci dove i suoi avi allevavano cervi e coltivavano la terra che era fertilissima... allora circa ottomila anni fa.

Avvistiamo presto le acacie il deserto qui è perfettamente piatto ed il terreno è compatto sassoso e solido sembra asfalto abbiamo rinvenuti i resti di un dromedario essiccati dal sole c'è tutto lo scheletro con attaccata moltissima pelle secca come cartone di carne neppure a parlarne fra iene ed avvoltoi è stato spazzolato via tutto il commestibile comunque la carcassa è vecchia Mohamed dice di averla già vista due mesi addietro ed era già così. Si prosegue a novanta chilometri l'ora tanto la pista è piatta e giunti che siamo vicini al luogo di riposo constato che siamo prossimi  al villaggio di In Amguel dove c'è il bivio per In Salah a Nord e la nostra futura pista per Hirafok ad est. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia di almeno un'ora bene il cuoco Sahib si appresta ad accendere il fuoco e Hamed taglia un po' di bistecche di capra da arrostire in gratella Ali prepara gli attrezzi per il tè noi facciamo il punto sulle carte e ci sparpagliamo in giro alla ricerca di qualsiasi oggetto possa interessarci. lo dopo aver scattate alcune foto ad un sauro grigio ed a dei passerotti cinerini che sono spuntati dal niente a beccare le briciole di un biscotto che ho sparse di fronte a me e neppure tanto lontane mentre rientro mi imbatto in un bel cristallo di quarzo rosa con la parte sopra erosa dal vento e la parte immersa nel terreno chiara come non fosse mai stata al sole. Il pranzo è pronto il tè pure ci disponiamo in cerchio di fronte a due grandi catinelle contenenti riso bollito e fatti i segni di divisione come si fa con le torte ognuno deposita la sua  carne arrostita sulla porzione di riso che ha davanti e così tutti  mangiamo dal piatto comune. Sahib mi attinge dalla ghirba di pelle di capra una ciotola di acqua fresca e gentilmente me la offre chiedendomi se ho trovato qualcosa di interessante nella mia passeggiata gli mostro il quarzo ed è contento per me. E' pomeriggio quando si riprende la marcia il terreno comincia a cambiare ci sono lunghi canyon poco profondi e con le creste arrotondate come fossero onde di un mare agitato ma dai colori i più diversi nero grigio rosso qua e là radi cespugli bassi e secchi che denunciano l'esistenza di acqua a poca profondità si traversano due oued e nel fango cotto dal sole sono impresse ancora le orme degli ultimi pneumatici che ci hanno rotolato sopra almeno quattro anni addietro quando vennero quei pochi centimetri di pioggia che contribuirono all'innalzamento della falda sotterranea e ridettero vita alla zona circostante tanto che il governo algerino nella speranza che la cosa si ripetesse costruì una piccola e bassa diga per permettere alla pioggia di concentrarsi in una grande pozza in questa zona dove sotto la sabbia giace ancora uno strato di argilla vulcanica impermeabile. In quel periodo infatti crebbe rigoglioso del mais che sfamò non pochi Tuareg che di solito pascolano i loro dromedari qui a ridosso dell'Hoggar e non dimentichiamo che lo stesso padre Focault che si era costruito un eremo sulla sommità dell'Hoggar Assekrem a duemilasettecentoventotto metri poteva viverci grazie all'umidità di condensa che si deposita per differenza di temperatura fra giorno e notte a queste quote così alte (il monte più alto è il Tahat 2960 m. ed in inverno sovente ci nevica).

Arrivati che fummo in una bella radura di sabbia circondata a tratti da vette verticali che altro non sono che i camini dei vecchi vulcani che il vento ha spazzati via lasciando ad imperitura memoria la parte del magma solidificato appunto dalla base fino in cima alla bocca del cratere che in questo caso è costituito da colonne di basalto nere ricche di ematite, magnetite, quarzo e titanio sembra di essere al centro di una grande piazza con le colonne intorno ed è qui che disposti i veicoli in cerchio si pernotterà. In primis viene acceso un bel falò al centro del cerchio e mentre i nostri infaticabili Tuareg ci preparano la cena che consisterà in brodo di montone patate bollite e sardine in scatola da unire con abbondante harissa che sarà seguito dall'immancabile tè. Noi nell’attesa andiamo a tentare di scalare un camino per prendere delle belle foto del tramonto di fuoco che ci allieta ad occidente. E' uno spettacolo indescrivibile sia per i colori che per l'effetto scenografico di tutto il contorno poi appena il disco rosso è sparito dietro l'orizzonte come in una sala cinematografica si fa tutto buio e la cosa awiene con tanta rapidità che per tornare al campo si segue la luce del fuoco dei nostri cuochi la temperatura comincia a scendere in breve tempo di diversi gradi e giunti ai nostri mezzi ci copriamo subito con le felpe. Dopo cenato e fumato io mi propongo di portare gli avanzi commestibili lontano dal campo e sottovento ad esso affinché qualche animale notturno dall'olfatto sopraffino si cibi senza doverci attraversare in mezzo. Sono nel buio più completo superata una bassa duna non vedo più il fuoco e sono solo io con me stesso ed il deserto addosso con tutte le sue insidie: è una sensazione incredibile mai mi sono, in passato, sentito così solo accendo la torcia elettrica scavo una buca per i resti non commestibili e deposito oltre il fagotto delle cibarie poi debbo tornare indietro ma spenta la torcia non ho altro orientamento che la volta celeste del cielo così riconosciuta una stella abbastanza bassa sull'orizzonte che mi ero fissata in mente uscendo dal campo e che avevo lasciata allora dietro di me, la tengo ora davanti e la seguo trepidante alla tenue luce cosmica fino alla risalita della bassa duna quando finalmente rivedo in distanza il bagliore del campo e la mia meta. Ora comincia veramente a fare freddo e non vedo l'ora di ficcarmi nel sacco a pelo che avevo già preparato prima della mia uscita. Il gruppo è già addormentato ma il fido Hamed è lì che mi attende con la sigaretta in bocca e prima di augurarmi buona notte ridacchiando mi apostrofa: sei andato ben lontano eh ! ti piace la notte? Si, rispondo il deserto mi piace, l'ho notato replica ed ho capito che non hai paure di sorta ma devi essere sempre accorto.

All'alba fa veramente freddo il sole non è ancora apparso ma ad oriente il cielo nero si sta tingendo di grigio azzurro e tutto intorno è già visibile il paesaggio fantastico che ci circonda. Hamed si avvicina al mio giaciglio mi porge una ciotola di caffé bollente mi dice bonjour mon ami e poi mi racconta di aver seguito poc'anzi le mie orme della notte di quando mi sono allontanato dal campo e quelle che ho lasciate al ritorno ed ha scoperto che sono su due vie diverse ma convergenti al campo allora mi dice tu devi aver seguito una stella all'orizzonte (la divergenza è dovuta allo spostamento del cielo nel tempo impiegato ad andare e venire) così felice della scoperta mi abbraccia. Non ho mai dimenticato questo episodio e devo ammettere che da quel momento in poi lui mi ha sempre trattato come fossi un suo pari ed allora e le volte successive che abbiamo traversato il deserto insieme ha sempre avuto per me un occhio di riguardo. Le giornate si susseguono mai una identica all'altra perché il deserto è vivo è sempre diverso un giorno siamo nell'erg di dune un altro c'è roccia dura sotto le ruote e tutto intorno a noi è un susseguirsi di pareti verticali altissime e di fosse profonde in alcune delle quali si intravedono laghetti freschi e sì odono cascate di acque sorgive sono le guelte abbiamo superato Hirafok i bivi di Amguid a Nord e Tahifet a sud poi abbiamo superato il controllo di Polizia di Ideles ai piedi del Taderaz.

Stiamo per arrivare alla guelta di Tarrenet dove una bella cascata di acqua gelida ci invita a fare un bagno stupendo bisogna solo fare attenzione a non bere perché qui ed anche più in alto ci sono greggi di capre che pascolano e l'acqua non è buona per noi da bere solo i nomadi la consumano regolarmente ma loro è evidente hanno anticorpi adatti al luogo. E' meraviglioso un bagno in pieno deserto algerino e non occorre neppure un asciugamano: come esci dall'acqua ti ritrovi perfettamente asciutto e sarà bene rivestirsi in fretta per evitare scottature La pista contorna il Djebel telertheba con la sua vetta oltre i duemila metri ed i grossi piloni di nero basalto attorno dove le colate laviche erano più friabili il vento ha eroso il materiale nei millenni e riportata in superficie la conformazione basaltica ha contribuito a creare dei piccoli laghetti in genere molto profondi e di circonferenza così limitata che il sole vi penetra solo quando è allo zenit col risultato di far crescere tutto intorno piccole oasi di palmizi ma anche alberi di melograno e macchie di oleandri multicolori tutto è una festa di colori e di musica per il cinguettio continuo di passeracei che vivono in compagnia di sauri serpenti scorpioni e naturalmente topi. L'acqua è sul fondo e le pareti di basalto troppo verticali non permettono l'abbeveraggio a quegli animali incapaci di scendere sul fondo ma rimanere dove piccole pozzette si conservano intorno alla vegetazione. Da qui in avanti per una ottantina di chilometri la pista è morbida e spesso si rischia l'insabbiamento ma i nostri autisti la sanno lunga ed al tramonto siamo all'ex forte di Serouenout ci sono pozzi di acqua ma imbevibile per la presenza del natron che la rende disgustosa ma ottima per i veicoli e per lavarsi. Si pernotta al bivio delle   carovaniere che portano a Djanet e verso Amguit quella più a Nord,  l'altra verso est- sud- est che attraversa l'Erg di Admer è più breve e scansa il forte Gardel di Zaouatallaz (questa la farò in un prossimo viaggio ). Ci siamo sistemati un campo in mezzo alle dune che sono veramente enormi e nella cavità si sta veramente bene al riparo dal vento che sul tramonto ci ha regalate delle folate per niente piacevoli. Stasera abbiamo pasta in brodo di muflone essiccato sul tetto della Nissan, dalla cucina sardine in olio, pomodori fritti con l'olio di cocco acqua di ghirba un po' marrone ma bevibile perchè io nel corpo della capra che fa da ghirba al momento di riempirla ho aggiunte delle caramelle di menta forte e delle pillole di micropur ,aranci e mele per finire biscotti duri che divido con alcuni piccolissimi topolini che mi scorrazzano fra i piedi da quando mi sono messo in terra a mangiare. Li illumino con la lampada che ho in fronte e loro mi guardano con i loro occhietti rossi tutta la compagnia è presa d'assalto da questi roditori ma quando abbiamo finito di mangiare come erano apparsi sono spariti. Siamo ripartiti all'alba il cielo è  coperto e dicono che pioverà (?)stiamo correndo bene fra queste dune sfruttandone la parte solida che è nella cavità è come correre in trincea o su una strada sterrata fra due alti argini davanti a noi la fata morgana balla le sue danze preferite ed ora appare una torre che poi diventa una balise fatta con un grosso bidone da benzina poi una nave di traverso con il fumaiolo alto e poi purtroppo è diventato un fuggiasco morto e seccato dal sole. Hamed, io e gli altri provvediamo a coprirlo con grosse pietre che troviamo in giro affinché le iene non lo finiscano e gli piantiamo un palo vicino con un drappo bianco legato alla sommità per segnalarne la presenza. Sapremo poi che trattavasi di un rifugiato nigeriano che infortunatosi ad una gamba non aveva potuto proseguire oltre ed il deserto se lo è preso. Arriviamo così a Djanet abbiamo percorsi in quattro giorni circa settecento chilometri di piste visti cinque - sei villaggi o solo capanne isolate di Tuareg stanziali che si coltivano un orticello intorno alla guelta e menano cammelli e  capre per quei magri   pascoli Abbiamo fotografate alcune incisioni rupestri delle più antiche fra cui il bove dalle corna a lira ed elefanti e giraffe scolpite su lastroni di pietra grigia stasera dormiremo in un palmeto all'ombra del vecchio forte della legione che oggi è residenza estiva del presidente Bendjedid Chadli.

Il mattino seguente mi sveglio di buon'ora è sorto il sole ma fa abbastanza freddo il mio fido Hamed mi ha già preparato un caffè forte alla turca dolce arrabbiato mi ci vuole in questo ambiente estremo esco dal palmeto a piedi incontro rade donne che vanno al mercato e rivedo il furgoncino scassato che ieri sera senza fari andava perdendo il suo carico di calcinacci e ferraglie varie e stamani ha un grosso carico di baguette calde e profumate il Tuareg mi riconosce e dopo avermi detto bonjour mon ami aggiunge desideree vous une belle baguette bien choud por le petite dejouner? Oui je reponde e lui me la porge non prima di averla spolverata con la sua pezzuola ed incartata alla francese solo dove la si tiene in mano e non ha voluto denaro lo so che sono cose strane ma non si può in alcun modo offendere tanto altruismo in fondo io e lui ieri l'altro non sapevamo neppure di esistere e solo ieri sera ci siamo intravisti al buio quando andava perdendo la roba dal furgoncino e ci siamo solo sorrisi e detta bonne nuit!  L'ho messa sotto il braccio ed ho proseguita la mia passeggiata sono arrivato fino ad EI Mihan che sarebbe poi il paese vecchio di quando c'erano i francesi con sulla sommità una fortezza di fango che dominava tutta la zona adesso è abbandonato, ma chiunque voglia abitarvi lo può fare, senza permesso alcuno, infatti sento un rumore di una sega seguo un cavo elettrico buttato sulle pareti cadenti di case demolite e mi trovo davanti una falegnameria della preistoria con una sega elettrica come c'era anche nell'officina di mio padre pochi anni or sono. Lui costruisce letti e mi dice con orgoglio che quelli di Djanet li ha fatti tutti lui, più oltre un sarto sta aprendo bottega e mi propone un bellissimo gandoura (abito simile alla jaballak marocchina) completo di brache sarouel oppure uno cheche bianco oppure nero se poi gradisco qualcosa per una donna mi propone una eressoul o un ikarai per la testa io ordino diverse cose e la sera lui me le porterà al campo proseguo nel mio giro e attraverso l'immenso palmeto estasiato da tanta frescura che qui vi regna. Tornato al campo mi accordo con gli altri per effettuare la salita al Tassili n'Alier così andiamo in delegazione a contattare l'ONAT l'organizzazione governativa che gestisce il comprensorio dell'Adler.

Dovremo lasciare purtroppo i nostri Tuareg che attenderanno qui il nostro ritorno per riportarci aTamanraset ed essere scortati da queste guide di Djanet che fungono anche da guardiani del comprensorio inoltre dobbiamo lasciare le jeep e da ora in poi andremo sempre a piedi le salmerie ci seguiranno sempre a bordo dei muli. Faccio subito amicizia con un tipo buffo che si chiama niente di meno che Pierre infatti non è un Tuareg ma semplicemente un incrocio fra un legionario francese ed una berbera del tassjli. Sui padre certo Roland Hassagnac si era arruolato nella legione per sfuggire a chissà cosa poi quando i francesi cominciarono ad andarsene anche prima della indipendenza algerina lui ormai vecchio aveva preferito restare con la donna del villaggio che si era presa per moglie ed i suoi sette figli Pierre è il più anziano ed è sui cinquanta diciamo perché sapere la data di nascita di un Tuareg o di un berbero è una questione di lune di piogge e di raccolti magri non una questione di anno mese giorno! AI ritorno avrò l'onore di conoscere tutta la famiglia dalla vecchia madre (Roland è morto da tempo) i fratelli e cosa inaudita anche le sorelle che pur nella fede islamica non esitano a baciarmi ed a comportarsi all'europea libere di muoversi nell'ampia casa piena di ricordi del legionario dai tappeti alle foto ingiallite alle scarpe appese ad un chiodo insieme ad una cintura militare che doveva aver visto tempi migliori sono ospite loro e sono al centro dell'attenzione di tutti Pierre racconta di cosa facevamo nella Sefar e le sorelle mi tempestano di domande anche strane per cui arguisco che loro non hanno mai messo il naso fuori di casa. Infatti parla parla mi dicono che per questa loro particolare paternità non sono considerati alla stregua degli altri abitanti del villaggio e le ragazze evitano al massimo di uscire anche per le spese ordinarie a meno che non siano accompagnate da Pierre il quale gode della fiducia degli anziani per la sua capacità a far di conto scrivere e parlare in pubblico. E 'grazie a lui che conosco un forgeur che nella sua fucina seduto per terra col fuoco davanti ed un pezzo di ferro a mo' d'incudine vicino modella anelli stemmi e moniti in argento a bassa lega con una maestria degna degli artisti europei di un tempo pochi arnesi ma tanto ingegno. Così sono riuscito a riportare a casa i souvenir più belli ed originali che si possano trovare in questo meraviglioso paese che è l'Algeria.

Ho raccolte ossa di cammello e di gazzella, corna di muflone e pietre e cristalli di quarzo e borse in pelle di cammello e coltelli veramente fatti a mano.

Ma ora voglio parlare del Tassili n'Aljer. Come dicevo lasciati i muli si procede a piedi è un percorso accidentato ed in salita si deve passare per delle strette spaccature della roccia e fare tanti tanti scalini facendo attenzione ai sassi che rotolano giù dalla montagna, via via che la salita procede aumentano il caldo e l'orizzonte ad ogni scantonamento voltandosi indietro si può solo restare affascinati dal paesaggio sottostante.

Le rocce che ci circondano cambiano colore ad ogni strato segno evidente di eruzioni multiple ed in tempi diversi con fuoriuscita di materiali differenti di volta in volta che danno origine a svariate colorazioni e durezza della roccia, finita una interminabile salita usciamo da un camino strettissimo tanto che i muli debbono essere scaricati della soma e ricaricati dopo pochi metri e da qui si estende una pianura che sembra infinita siamo ad Akba Tafelalet e ci dirigiamo verso Tan Zoumetak dove incontrammo una foresta di torrioni di pietra che nascondono una infinità di incisioni rupestri un diario in disegni della vita in questa zona di ottomila anni fa quando c'erano foreste praterie ed animali a volontà bovidi cani asini ed uomini riccamente addobbati con cavigliere collane e bracciali tutti armati di lance di archi e di fionde vi sono donne che lavano sulla pietra, bambini che giocano nei laghetti e giovanette che si specchiano nei ruscelli vicini ai villaggi tutti recintati e protetti dall'esterno ci sono uomini che lavorano la terra ed altri che portano grandi fasci di erba o granaglie da battere o altro ma dalla cura che ne hanno sembra essere roba molto preziosa per la vita di quel tempo. E' in questa zona che ho avuta una camera da letto unica al mondo ci siamo accampati in una piccola zona pianeggiante circondata da grandi torrioni e ben protetta dai venti io sotto una parete verticale ho scoperto un semi incavo come l'ingresso a una grotta ma solo un metro profonda qui ho sistemato il mio giaciglio ed il mio sacco poi stesomi a terra ho visto che il soffitto ad appena due metri dal mio naso era tutto inciso e dipinto con scene di caccia con l'arco e la lancia uomini che corrono e arieti dalle corna ritorte che invano cercano di fuggire dall'accerchiamento più oltre uomini dalla testa rotonda che scuoiano gli animali uccisi dopo averli legati per le zampe a dei paletti una cosa veramente indimenticabile ho dormito nel neolitico con la storia incisa sul soffitto!!

Da qui abbiamo proseguito marciando a piedi verso Sefar ed il confine libico abbiamo superate guelte imponenti e canaloni dove ancora vivono dei cipressi fossili vecchi di almeno tremila anni ed anche laggiù incisioni rupestri di mandrie di buoi cavalli giraffe e cacciatori e raccoglitrici di verdure chissà se spontanee o coltivate poi abbiamo trovate testimonianze del periodo francese delle scoperte di queste meraviglie e disegnate per terra con solo una demarcazione fatta di pietre messe in fila abbiamo trovate moschee e tombe di poveri manovali deceduti nell'impresa di scavo per il ritrovamento e documentazione storico antropologica della zona.

Arrivare a Tanrit è stata una fatica improba il caldo opprimente ci toglieva le forze e la carenza d'ossigeno qui oltre i duemila metri faceva il resto meno male che il buon Pierre nostro cuoco ad ogni sosta ci elargiva abbondanti razioni di tè alla menta che però poi avevano il fatto negativo di non farci dormire e riposare a dovere. la cena poi era sempre una festa anche se il menù aveva ben poche varianti il fatto stesso di attingere il cibo tutti dalla stessa zangola ci dava un vero senso di piacere e qui non si cambiava molto dal cous cous con le verdure bollite o con le sardine sotto olio in scatola le tagelle sorta di pane senza lievito fatte a foggia di schiacciatine rotonde impastando farine di sorgo di grano di orzo e di mais mischiate e impastate con acqua e sale e cotte sulle braci sotto la sabbia dopo averle ben lavate dalle braci e dalla sabbia venivano spezzettate e mischiate alle zuppe uniche cose che mangiavamo nelle nostre gamelle fatte con brodo di muflone ed insaporite con harissa e foglie di menta. le carni che avevamo comperate fresche dopo un giorno venivano lasciate al sole sulle rocce fino ad essiccarsi completamente in quell'ambiente che privo di umidità ne impediva la decomposizione poi non dimentichiamo i datteri che costituiscono alimento completo di sali minerali zuccheri farinacei e vitamine mangiati come frutta oppure come ottime zuppone bolliti in acqua e spezie questi non mancano mai per la loro facile conservazione che si fa in cassoni di vimini ben arieggiati ne abbiamo assaporate diverse qualità dal al deglet-nour molle e dolcissimo al leguazza che proviene dai palmeti di Touat duro ed asciutto.

Proseguiamo per una profonda vallata che sfocia in una radura e qui incontriamo alcune persone che abitano in certa zeribe (capanne fatte di paglia e di canne) perché la vicinanza di una profonda guelta permette loro di coltivare melograni ed orticelli di verdure ci sono anche delle viti stente ma con bei grappoli di uva i cavoli le carote e le insalate sono ben innaffiate e danno all'ambiente una nota di ricchezza incredibile in queste zone così riarse al nostro arrivo tutti vengono fuori e siamo ospitati per un tè .

Più si è lontani dai centri abitati e più una visita fa notizia mentre beviamo tè e conversiamo col capo famiglia ci accorgiamo  che questi è un capo tribù perché nel giro di qualche ora il nostro gruppo è stato circondato da una trentina di nuovi venuti e tutti fanno grandi cenni di rispetto verso il capo e verso di noi poiché questi deve indubbiamente aver detto loro chi noi si sia e cosa facciamo in quelle contrade anche due belle fanciulle fanno la loro apparizione nel gruppo e ci vengono a proporre dolci al sesamo con miele amaro selvatico poi per niente timorose ci accarezzano sul volto sorridendo ed ammiccando a fagotti che hanno posati un po' più in là le dico oui bien mais apres la notre conversation ... merci parliamo del più e del meno e dopo un certo tempo con la mia fotocamera in mano faccio capire che vorrei fare qualche foto prima del tramonto e così mi sgancio dal gruppo poco oltre dietro una zerba noto dei bambini che giocano con una scatola di cartone ed oltre le donne di prima che adesso mi circondano e mi mostrano i I contenuto dei loro fagotti ne resto affascinato dai begli abiti che vi si trovano e monili e suppellettili in osso in argento ed in rame tutta roba fatta a mano senza arnesi moderni roba cucita non con l'ago ed il filo ma preparata sapientemente utilizzando fibre si sisal o di ginestre o cotone locale utilizzando per aghi le spine delle acacie che crescono frequentemente nel Sahara acquistai ricordo diversi oggetti ed il prezzo era veramente una miseria da vergognarsi pensando al tempo che gli era occorso all'opra e con quali attrezzi avevano lavorato. Ricordo che l'indomani prima di partire detti loro una manciata di Franchi per ciascuna e non mi accorsi neppure del tempo che occorse a quelle banconote per passare dalle mie mani alle loro saccocce ben occultate fra le pieghe dei loro miseri abitucci !'unico ricordo che ho vivo negli occhi è il loro grande sorriso che mi regalarono come addio.

La marcia per quel giorno non fu molto lunga ma in compenso abbastanza faticosa perché discendere quelle morene sassose non era facile poi il caldo e la polvere fecero il resto prima di rientrare in Djanet ci facemmo tutti una doccia a suono di secchiate di acqua

prelevata da un pozzo di irrigazione fu un sollievo perché così potevamo rientrare

abbastanza presentabili ma fu anche un inferno perché insieme all'acqua ci eravamo tirati addosso anche le sanguisughe in essa contenute poiché a quelle guelte si erano abbeverati dromedari e somari ed allora nudi come bachi ce le toglievamo a vicenda mettendo loro sul corpo la punta accesa delle sigarette unico rimedio per toglierle senza che i loro artigli ci rimanessero infissi nella pelle infettandoci maledettamente. Lasciammo così l'Ajjer e ci avviammo con i nostri vecchi amici Tuareg e le nostre fuori strada verso il massiccio dell'Hoggar per raggiungere poi l'osservatorio di Pere de Foucauld sull'Assekrem a duemilasettecentoventotto metri di altitudine da cui si gode a trecentosessanta gradi una visuale infinita e si vedono credo i più bei tramonti del mondo al massimo pari a quelli delle isole dei Caraibi. Qui dopo una giornata di viaggio fra auto e trekking con una escursione termica che è andata da più trentotto a meno quattro gradi centigradi abbiamo consumato il nostro cous cous quotidiano l'abbiamo innaffiato con tre meravigliosi tè alla solita menta e ci siamo lasciati prendere dal sonno Dopo alcuni giorni siamo arrivati a Tamanrasset abbiamo fatto festa lavati puliti e malinconici perché l'avventura stava per finire.  Siamo scesi all'Hotel Tahat che è un po' più caro del vecchio Tin-Hinane con le latrine all'esterno e lerce abbastanza ma dopo sbrogliate le formalità perché non dimentichiamoci che dopo l'insegnamento dei francesi loro giustamente hanno voluto fare di testa loro senza considerare la farraginosità delle regole autoimpostesi e della difficoltà dei poveri berberi a capirle ed applicarle per cui sono molte cose inutili che ci chiedono e tocca poi a noi scrivere e compilare i moduli perché il personale addetto è buon parlatore e gentile anche ma difficilmente capisce cosa e come deve scrivere ciò che ci chiede. Portati i bagagli nelle camere ci accorgiamo che le uniche varianti col vecchio Hotel sono una latrina in camera l'acqua nel secchio perché il wc non ha rubinetto un condizionatore che non funziona ed una sola lampadina efficiente poi visti i letti decidiamo che sarà meglio dormire sui nostri sacchi a pelo polverosi meno male che a tratti la doccia funziona. Una gita turistica di italiani è appena arrivata e le persone non avvezze a queste cose evidentemente già stanno lamentandosi con l'accompagnatore che non sa che pesci prendere interveniamo noi e diciamo a tutti che questo è il bello dell'Africa e del deserto in particolare se cercavano altro dovevano andare all'Hilton di Londra solo che qui e qui soltanto vedranno cose veramente belle ed importanti. Sembrano un po' più rassicurati anche perché noi abbiamo confessato che per un mese intero siamo stati ospiti delle sabbie del deserto e siamo ancora vivi vegeti e felici di aver vissuta questa esperienza. Perché ho voluto ricordare questo episodio? E' solo per far comprendere che il deserto è come una bella donna va saputo capire ed apprezzare per tutto ciò che è e che rappresenta non è possibile entrarci come si entra al Louvre di Parigi o agli Uffizi di Firenze qui si deve entrarci come in una cattedrale immaginaria in punta di piedi con tanta umiltà e tanto amore per questo immenso regalo che la natura ci offre. Dicono gli sciocchi che il deserto è vuoto e non è vero perché è pieno di colori di animali di sabbie di rocce di tramonti favolosi di magia di suggestione dove tu sei veramente solo con tè stesso e ti puoi analizzare a piacimento la stessa vita che conducono i tuareg è una grande lezione di vita stessa sanno far tesoro di tutto ciò che li circonda e di tutto ciò che nel deserto si può trovare qui tu puoi fare a meno della radiolina, del telefonino e degli abiti lussuosi ma non puoi fare a meno del cappello per riparati dal sole impietoso e della felpa per la notte e del sacco a pelo e della guida tuareg perché altrimenti sei morto.

All'indomani ci siamo accomiatati da tutto questo sbrigate le formalità di frontiera un vecchio settetresette ci ha sradicati dal deserto che per saluto ci ha regalata una forte tempesta di sabbia ostacolando la presa di quota del velivolo che non riusciva a salire poi all'atterraggio a Gardaia il vento impetuoso ci ha fatto sbandare sulla pista come per trattenerci ancora, poi siamo arrivati ad Algeri con due ore di ritardo ma in tempo per una bella cena alle Pecheries a base di gamberoni arrosto e buon vino delle vigne mediterranee au revoire mon ami desert et a la prochaine fois!!!!

01-09-04 by GIO

 

 

 

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