Storia della Carta

 

CENNI STORICI

ORIGINI DELLA CARTA

CLASSIFICAZIONE

CARTA PER USO GRAFICO

LE MATERIE PRIME PER PRODURRE CARTA

PRODUZIONE DELLE CELLULOSE

PASTE SEMICHIMICHE

PASTE C.T.M.P. E C.M.P.

PASTE MECCANICHE

MATERIE PRIME NON TRADIZIONALI

MATERIE PRIME DI RECUPERO

IL PROCESSO DI FABBRICAZIONE DELLA CARTA

CARATTERISTICHE NELLA PRODUZIONE

IMPASTO

SPAPPOLAMENTO

FIBRE DI AGHIFOGLIA

LA RAFFINAZIONE

LA FORMAZIONE DEL FOGLIO 

LA TAVOLA PIANA

LE PRESSE UMIDE

LA SECCHERIA

LA PATINATURA

L'ALLESTIMENTO

L'OPACITA'

CARTE A BASE MACERO


CENNI STORICI

Le prime iscrizioni di cui si hanno notizie e reperti risalgono a circa 4000 anni prima di Cristo e sono iscrizioni su pietra, su tavolette di argilla e su legno.

Tutti questi materiali erano per un modo o per un altro poco adeguati a favorire lo sviluppo della scrittura.

Fino ad arrivare al 3000 avanti Cristo dove cambiano i supporti per la scrittura, infatti iniziamo a trovare le prime tracce del PAPIRO, considerato la pietra miliare per l'evoluzione storica di supporti per la scrittura, il Papiro era ricavato utilizzando una pianta acquatica (CIPERUS PAPYRUS) allora molto diffusa oltre che lungo le sponde del Nilo anche in Palestina e in Sicilia, ma furono gli egiziani per primi a risolvere il problema in modo abbastanza soddisfacente, infatti il midollo della pianta è composto da una specie di pellicole lunghe e strette di colore chiaro troppo sottili e troppo piccole per scrivere su ognuna di loro, ma queste venivano sovrapposte in due strati perpendicolari in modo da formare uno strato continuo e il piu possibile omogeneo.

Il reticolo cosi composto veniva poi bagnato e pressato in modo che le sostanze collanti contenute nella pianta facessero aderire i due strati sovrapposti e messo poi ad asciugare, il "foglio" cosi formato era già un valido supporto per la scrittura anche se risultava ben poco maneggevole.

Furono sempre gli Egizi che incollando i margini di piu fogli di papiro tutti delle stesse dimensioni ne ricavavano una striscia che nell'uso veniva arrotolata attorno ad un bastoncino, costituendo cosi quello che sarebbe stato l'antesignano del nostro libro e a cui i romani diedero il nome di "Volumen" (dal verbo volvere, arrotolare).

Dal Papiro, intorno al II secolo avanti Cristo o poco prima, passiamo alla Pergamena, le prime tracce le troviamo in Asia Minore, pare nella città di Pergamo (da qui il nome Pergamena), la pergamena è ottenuta da pelle di capra, montone e pecora (per questo, cioè per le sue origini essa viene chiamata anche cartapecora), il metodo consiste nel ricavare dagli strati più profondi delle pelli animali (membrane) una specie di foglio chiaro, uniforme e resistente, la pergamena ha costituito il prodotto più usato nel mondo civile fino alla comparsa delle prime carte, la pergamena però risolvendo dei problemi del Papiro, ne portava con sè di nuovi, infatti non si poteva arrotolarea a causa della sua rigidità, avrebbe preso la forma del rotolo e solo a fatica si riusciva a svolgerla, non era a strisce come il Papiro, ma di forma rettangolare, tanto grande quanto poteva esserlo il dorso di un animale, per cui invece di arrotolare come con il Papiro si iniziò a piegarli e al posto del volumen sono nati il codex (codice) e il liber (libro), solo dopo si iniziarono a sovrapporre i fogli di pergamena piegati cucendoli da una parte e tagliando le altre pieghe in modo da poterli sfogliare e successivamente ancora vennero messe delle tavole sopra e sotto ai fogli per proteggerli in pratica parliamo dell'origine della legatura, (in un altro angolo del sito si può approfondire meglio questo argomento) ma solo dopo molti secoli ci avviciniamo al libro più simile a quello che noi conosciamo.

E la carta?


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ORIGINI DELLA CARTA

La scoperta del procedimento per la fabbricazione della carta come riferiscono antichi cronisti e commentatori occidentali fu inventata intorno al 105 a.C. dall'eunuco Ts'ai Lun, gran dignitario di corte, che presentò all'imperatore i primi fogli di carta, riferiscono le cronache degli Han, e ne ebbe grandi elogi e ha impiegato quindici secoli a diffondersi in tutto il mondo civilizzato. Il disegno delle varie filigrane ci permette di conoscere le peregrinazioni e le origini di un dato tipo di carta.

Tre furono le circostanze che favorirono la nascita delle cartiere nelle regioni cinesi la vicinanza di un centro abitato, l'esistenza delle materie prime e la presenza dell'acqua favorirono l'installazione delle cartiere in determinate località. Queste condizioni si trovarono riunite in Cina fin dal I secolo d.C., mentre in Europa una simile favorevole congiuntura si presenterà soltanto per gradi, dal XII al XVI secolo.

Il flusso dell'acqua doveva essere uniforme, e l'acqua doveva essere pura.

In Europa, le località dove da tempo si esercitava l'industria tessile, i cui cascami fornivano la materia prima per la carta, la vicinanza di un porto, dove si trovavano facili opportunità di smercio, o l'immediata vicinanza di un grande centro commerciale, erano fattori importanti di attrazione per l'installazione di una cartiera.

La Chiesa, con i suoi monasteri, che mantennero a lungo il monopolio della cultura nell'Europa medievale, o le grandi università, come Parigi o Bologna, favorirono anch'esse la nascente industria cartaria.

In Cina, la carta non subiva la concorrenza di altri prodotti. In Europa, invece, ai primi del XIV secolo, la pergamena costituiva un supporto per la scrittura assai più soddisfacente delle prime carte che venivano fabbricate. La pergamena rivaleggiò ed ebbe spesso il sopravvento sulla carta, considerata all'inizio come una materia troppo delicata, e cedette il passo solo progressivamente, via via che si sviluppava l'arte tipografica.

Inoltre, il livello di cultura nell'Europa medievale, non paragonabile a quello da lungo tempo assai elevato della Cina, e a quello del mondo arabo, che raggiunse il massimo sviluppo nel X secolo, non favorì la diffusione della carta. La nuova industria fu anche avversata dall'Occidente Cristiano, a causa della sua provenienza araba o giudaica.

Solo l'invenzione della stampa e la crescente attività dei torchi offrirono nuovi sbocchi.

In Cina, a partire dal Il secolo d.C., si trovarono iscrizioni arcaiche su carta.

La carta moneta fece la sua comparsa nel settimo secolo. In Cina si fabbricavano i più svariati tipi di carta, (con la canapa, con steli teneri di bambù, con la scorza del gelso, con germogli di giunco, con muschio e licheni, con paglia di grano e riso, coi bozzoli del baco da seta ... ) ma predominava quella fatta di stracci.

Le varietà erano dunque numerose e venivano via via perfezionate.

Dal V secolo in poi la carta si diffuse per tutto l'impero in forme svariate ed elaborate ma rimase un segreto della Cina fino all'VIII secolo, quando, in seguito alle sorti di una battaglia, giunse nell'Islam.

L'unità del mondo arabo era già costituita alla morte di Maometto (632).

Divenuto erede di Roma e della Grecia, dopo la conquista della Siria e dell'Egitto, il mondo islamico, contrariamente al cristianesimo medievale, favorì lo studio delle scienze, e in particolare della chimica. Sorsero grandi università e biblioteche. Non c'è quindi da stupirsi se una tale espansione geografica e culturale abbia stimolato il consumo di carta ed esercitato un influsso civilizzatore sull'Occidente.

Nel 751, durante una spedizione militare verso le frontiere della Cina, il governatore generale del Califfato di Bagdad catturò a Samarcanda due fabbricanti di carta cinesi; valendosi del loro aiuto, impiantò una cartiera in quella città, località propizia perché v'erano acqua, canali di irrigazione e campi di lino e di canapa. Nacquero così le manifatture di Samarcanda.

Si trattava di una carta fatta di stracci, già perfezionata in confronto a quella cinese.

Per la segretezza di cui era circondata, la produzione restò a lungo concentrata a Samarcanda, che fu per vari secoli un centro cartario importante. Tuttavia, sul suo esempio, anche a Bagdad, nel 793, si cominciò a fabbricare la carta, e da Bagdad l'industria cartaria si diffuse in tutte le province del mondo musulmano. La carta di Damasco, molto nota in Occidente, è già menzionata verso il 985.

Altri centri cartari meno celebri eppure molto importanti furono l'Armenia e la Persia.

Le carte dell'Egitto, dove da millenni si coltivava il lino, acquistarono rinomanza sin dalla fine del X secolo, e venivano utilizzate per gli usi più correnti.

Dal Cairo e da Alessandria, la carta raggiunse la Tripolitania e la Tunisia. È interessante notare che una ramificazione della via della carta si spinse da Tunisi fino a Palermo, ed alcuni scrittori hanno voluto attribuire l'origine della carta di Fabriano a questo nucleo palermitano.

Infine, la via della carta conduce nell'Africa del nord, a Fez, che, al pari di Bagdad e di Damasco diverrà uno dei centri cartari più importanti e che, alla fine del XII secolo, possedeva 400 cartiere installate da tempo. Da Fez, la carta penetrò in Spagna, dove sorse la prima cartiera d'Europa.

Gli Arabi perfezionarono la fabbricazione della carta non solo riguardo la composizione del materiale, ma soprattutto grazie alla loro conoscenza delle tecniche idrauliche. La ruota dentata permise loro di trasformare il moto circolare continuo in moto alternato, grazie al peso di un utensile o a una molla. In tal modo riuscirono ad applicare la forza idraulica ad un gran numero di industrie e specialmente ai mulini da carta.

La Spagna, che subì l'invasione degli Arabi fin dal 711, fu la prima grande regione europea dove si utilizzassero le nuove tecniche di cui poco dopo tutta l'Europa doveva beneficiare.

Il lino era un elemento molto importante visto che da esso si ricavavano le materie per la produzione di tele e stracci.

L'Italia settentrionale e centrale ne produceva in notevolissima quantità, specie in Lombardia, Piemonte, Marche, Emilia e Romagna; a Bologna si tesseva la rinomata "tela bolognese", ed è probabilmente a questo fattore, insieme al richiamo esercitato dall'università, che si deve se Bologna divenne un grande centro cartario.

Il problema fondamentale del cartaio era quello di procurarsi in grande quantità stracci o cordami usati, perciò le cartiere vennero installate di preferenza nelle vicinanze di un centro urbano o anche di un porto.

A lungo andare, tuttavia, la presenza di cartiere provocava una certa penuria nella disponibilità locale di stracci; da ciò l'importanza dei raccoglitori e rivenditori di stracci, o cenciaioli, la cui professione, dal XV al XVIII secolo fu tanto più lucrativa in quanto il cartaio dipendeva da loro per approvvigionarsi della materia prima. Gli stracci costituivano un materiale tanto prezioso per i cartai da indurli spesso a sollecitare dallo Stato monopoli e privilegi.

Nonostante ciò, nel XIII secolo, la crisi nell'approvvigionamento di stracci divenne talmente cronica da stimolare in tutta Europa la ricerca di materiali sostitutivi, tra i quali il più importante è la pasta di legno, il cui impiego, tuttavia, nonostante numerosi esperimenti, si diffonderà solo nel XIX secolo.

Fino ad allora gli stracci, tanto preziosi per il cartaio, costituiranno la sola materia prima che, opportunamente trattata, si trasformerà in carta.

Molti documenti attestano che, già nel XIII secolo, in Italia si consumavano grandi quantità di carta. La carta, di provenienza sia araba che spagnola, faceva parte dei commerci che i Genovesi e i Veneziani intrattenevano con Barcellona e Valenza.

L'Italia ebbe le sue prime cartiere ad Amalfi nel 1220 e a Fabriano nel 1276.

Di qui la produzione si diffuse a Bologna, Padova, Genova, poi in Toscana, in Piemonte, nel Veneto e nella Valle del Toscolano (Brescia). Fabriano mantenne tuttavia a lungo la supremazia grazie soprattutto ad alcuni perfezionamenti tecnici.

I cartai italiani furono i primi a servirsi di filigrane per contrassegnare la propria carta, usanza assolutamente sconosciuta ai Cinesi e agli Arabi.

Questa marca, la cui invenzione è probabilmente dovuta al caso, costituì presto il mezzo di identificazione della cartiera d'origine, del titolare dell'attività, del formato e della qualità del prodotto.

Si devono altresì ai mastri cartai fabrianesi delle innovazioni storiche che hanno costituito per secoli elementi determinanti per la fabbricazione della carta, esse sono:

- l'invenzione della pila a magli multipli usata per la preparazione della mezza-pasta dagli stracci,

- l'impiego della gelatina animale per rendere la carta resistente ai liquidi, quindi scrivibile,

- lo sviluppo della filigrana da semplice effetto in chiaro a riproduzioni multitonali tridimensionali.

Per 200 anni almeno l'Italia dominò il mercato della carta, sostituendosi nell'approvvigionamento dell'Europa alla Spagna ed a Damasco.

Nel XIV secolo la carta italiana s'era conquistata una supremazia incontestabile sui mercati di Francia, Svizzera, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Moscovia e nell'intero bacino del Mediterraneo.

Nel 1300 i mercanti cartari milanesi erano stati tra i primi a partecipare alla fiera a Ginevra, trasportandovi le loro merci, attraverso i passi alpini.

Durante la prima metà del XVI secolo Anversa, che fino al 1576, fu il maggior centro culturale dei Paesi Bassi, sostituì Genova e Venezia nel commercio della carta.

Nell'Europa nord-occidentale, invece, i torchi da stampa precedettero i mulini da carta; questi ultimi furono in attività permanente solo agli inizi del XVI secolo.

Poiché la domanda cresceva più in fretta dell'offerta, la carta restò a lungo una materia costosa. E tuttavia, due secoli dopo la sua introduzione in Italia, la carta era diventata il supporto fondamentale della scrittura e della stampa per eccellenza.

Nel XVII secolo, tuttavia, la floridezza del settore cartario cessò di colpo, a causa dell'epidemia di peste del 1630-31.

L'effetto fu un blocco della produzione, perché la paura del contagio e le misure profilattiche, che contemplavano anche l'incendio degli stracci, paralizzarono la raccolta e la circolazione delle materie prime.

Passata la peste, si risentì a lungo della grande mortalità, che produsse da una parte una forte contrazione della domanda interna di carta, dall'altra, la diminuzione dell'offerta di stracci.

Inoltre la moria degli artigiani impedì la reazione e la tenuta delle posizioni sui mercati esteri.

La ripresa demografica, nella seconda metà del secolo, portò sollievo anche al settore cartario. Altri due fattori, tuttavia, vennero ad intralciare il pieno superamento dell'emergenza peste: l'introduzione dei dazi, e la crescita della concorrenza straniera.

I dazi volevano dire intralci e rallentamento in tre direzioni: sui mercati d'oltremare, sul mercato interno, nel rendere difficile e caro il rifornimento di stracci.

Il XVII secolo vide anche una notevole innovazione apportata in Olanda: un cilindro munito di lame metalliche che tagliavano, strappavano e riducevano gli stracci in poltiglia.

La triturazione degli stracci risultò più rapida e completa. Venne quindi abolita l'operazione di macerazione, che nuoceva alla buona qualità della carta e si ottenne così carta più raffinata in tempi più brevi.

Il cilindro olandese fu tuttavia introdotto nelle fabbriche di carta italiane solo nel XVIII secolo.

Agli inizi del 1700, produttori e mercanti di carta subirono i contraccolpi delle occupazioni degli eserciti imperiali e gallo-ispani impegnati nella contesa per il trono spagnolo. I loro movimenti bloccarono la circolazione di stracci e di carta per lunghi periodi, fecero rincarare i prezzi e scoraggiarono gli investimenti; di conseguenza la qualità della carta peggiorò.

Ma in seguito favorevoli occasioni per recuperare posizioni negli scali levantini e per ritentare le rotte di ponente furono offerte dalle riduzioni delle tariffe doganali dell'impero ottomano, dalla regolazione delle tariffe interne, dall'entrata in servizio di navi capaci di tenere a bada i corsari barbareschi e, specialmente, dagli eventi bellici che imbrogliarono i traffici delle nazioni concorrenti.

Nel 1799 Nicolas Louis Robert ideò la prima macchina continua, che fu costruita e brevettata in Francia, e successivamente perfezionata in Gran Bretagna.

La prima in Italia, nel 1807, è quella attivata da Paolo Andrea Molina nella sua fabbrica a Borgosesia; solo qualche anno più tardi ne compariranno altre in alcune cartiere piemontesi.

La macchina "sans-fin" non si limita, infatti, a rivoluzionare il ciclo produttivo - oltre che meccanizzando la fabbricazione del foglio, inglobando altre fasi, come l'asciugatura - ma richiede anche nuovi spazi. Si tratta infatti di una macchina non solo complessa ma anche di dimensioni notevoli.

A determinare l'affermazione dell'industria cartaria nella sua forma attuale contribuì anche l'importantissima scoperta di Federico Gottlob Keller che nel 1844 ottenne la pasta di legno meccanica sfibrando per la prima volta il legno con mole di pietra.

Alla scoperta della cellulosa sono legati i nomi di Meillier (1852) che pose a cuocere della paglia con soda caustica in un bollitore sferico e di Tilghman, che riuscì a produrre cellulosa partendo dal legno e usando una soluzione di bisolfito di calcio.

Al 1882 risale il procedimento Ritte-Kellner e al 1883 quello di Dahl, che aprì la via alla cellulosa e al solfato.

 


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CLASSIFICAZIONE DELLE CARTE PER GRANDI COMPARTE

I prodotti cartari si possono suddividere in 6 grandi categorie:

1) carta da stampa

che vengono usate generalmente per giornali e guide telefoniche, per stampa in offset che siano essi depliant, volumi pubblicitari,per rotocalco, per roto-offset e anche per carte speciali (carte geografiche, carta moneta e per assegni)

2) carta da scrivere e per ufficio

sotto questa voce generalmente possiamo trovare lacarta per buste, carta per quaderni, carta per disegno, carta per fotocopie, carta per fax, carta da diazotipia, carta carbone e autocopiante

3) carte da imballaggio

possiamo racchiudere qui generalmente la carta kraft, crespata e per sacchetti, carta per alimenti, carta pergamena vegetale, carta uso pergamena, carta pergamino, carte catramate, siliconate, accoppiate con plastica 

4) cartoni e cartoncini

cartoni a un getto, cartoni a più strati, cartoni ondulati, carta da onda, cartoni pressati,cartonlegno

5) articoli igienico-sanitari

carta igienica, fazzoletti, tovaglioli e tovaglie, asciugamani,carte per uso medico 

6) carta per uso industriale e varie

carta per cavi elettrici e condensatori, ecc.,carta per laminato plastico, carta per sigarette,carta per fotografia, carta da filtro, carta adesiva, carta decorativa, carta da parati


LE CARTE PER USO GRAFICO

Tra i vari tipi di carte e cartoni una posizione di assoluto rilievo la occupano le carte grafiche, cioè quelle carte destinate a diventare supporto per la stampa.

Fanno parte di questa categoria le carte usate per produrre quotidiani, settimanali, periodici in genere, libri, pieghevoli, biglietti, carte e buste intestate, calendari e per realizzare tanti altri prodotti stampati.

Ognuno di essi ha specifiche richieste: economicità, minimo spessore, giusto rapporto tra peso e volume, resistenza all'uso, alla luce, al tempo, rigidità, finitura superficiale colore.

Le carte da stampa si possono classificare a seconda del procedimento di stampa al quale sono destinate:

offset, rotocalco, flessografia, serigrafia.

Le carte destinate alla stampa dovranno inoltre essere adatte alle lavorazioni di post-stampa dette anche di confezione quali:

il taglio, la piegatura, la cordonatura, la cucitura e l'incollaggio.

Le carte per stampa sono fornite in bobine per la stampa in rotative e in formato (fogli) per la stampa con macchine alimentate a fogli. In questo secondo caso le bobine prodotte dalla macchina continua saranno tagliate in formato nel reparto allestimento della cartiera stessa,

i formati standard sono il protocollo (64x88) e l'elefante (70x100)

Stampare significa trasferire, mediante pressione, l'inchiostro dalla forma da stampa inchiostrata al supporto. Stampare bene significa trasferire l'inchiostro sul foglio senza deformazioni e alterazioni del segno in modo da ottenere un'impronta nitida, secca e dell'intensità prevista.

Perché ciò avvenga è necessario che mediante la pressione di stampa si riesca ad ottenere un perfetto contatto tra la superficie inchiostrata e il supporto di stampa.

Tenendo conto che la carta normalmente ha un basso coefficiente di comprimibilità, si tende a produrre la carta da stampa con il più alto grado di liscio possibile e ciò, appunto, per facilitare il contatto e quindi il trasferimento. 

Carte da stampa che per esigenze estetiche debbano presentare la superficie ruvida o addirittura marcata o goffrata non potranno essere stampate in rotocalco e in generale nei sistemi a stampa diretta. 

Saranno invece stampabili con i procedimenti offset e roto-offset. I procedimenti offset sono detti a stampa indiretta in quanto la carta non preleva direttamente l'inchiostro dalla forma da stampa inchiostrata, ma lo riceve da un elemento intermedio costituito da una superficie di gomma di opportuna durezza ed elasticità che si adatterà alla superficie del supporto rendendo così possibile un buon trasferimento anche su superfici a basso grado di liscio. 

È noto che la stampa di soggetti a colori si ottiene in passaggi successivi depositando sul foglio, ogni volta, uno dei tre colori primari più il nero.

Ciò avviene in macchine costruttivamente molto precise che garantiscono, anche alle attuali elevate velocità di esercizio (15.000 fogli/ora per le macchine a foglio e 50.000 giri-macchina per le rotative), una perfetta sovrapposizione delle immagini monocromatiche costituenti il soggetto finale.

La carta ha un ruolo importante nell'ottenimento di immagini perfettamente giustapposte, indipendentemente dal formato, dallo spessore, dalla velocità di stampa deveessere stabile dal punto di vista dimensionale e non subire alcuna variazione tra la stampa dei vari colori.

A questo scopo è molto importante anche il contenuto igrometrico della carta. La carta lascia la cartiera con un ben preciso contenuto d'acqua in modo che durante il processo di stampa non abbia né a perdere né ad aumentare il contenuto di umidità garantendo così il massimo della stabilità dimensionale. 

La carta da stampa avrà quindi caratteristiche:

· funzionali al prodotto da ottenere;

· ottico-estetiche;

· di stampabilità;

· di macchinabilità sia durante la fase di stampa che di allestimento. 

 

Le carte da stampa si possono dividere in due categorie:

· naturali, cioè a fibra nuda;

· patinate, cioè con fibra ricoperta. 

Si dicono naturali le carte sulla cui superficie non vengono stesi strati atti a modificarne le caratteristiche superficiali. Su di esse possono essere effettuati i trattamenti di marcatura e goffratura.

Si dicono patinate le carte sulle quali, durante la fabbricazione o in un secondo momento vengono stesi uno o più strati di patina allo scopo di aumentarne il grado di liscio, di lucido, di conferire determinati colori o grado di bianco.

Tutte le carte possono inoltre subire un trattamento finale di lisciatura o di calandratura. La calandratura aumenta il grado di liscio e conferisce un'elevata lucidità.

 

Le carte patinate si distinguono ancora:

• Patinatino (LWC): carte di grammatura finale inferiore ai 52 gr/m² con un supporto contenente legno, usate per la produzione di settimanali, cataloghi a distribuzione postale.

• Patinate moderne: carte di grammatura finale tra i 60 gr/m² e i 120 gr/m² con o senza legno usate per produzione di stampati commerciali ed editoriali. Allestimento in bobina e fogli.

• Patinate classiche: carte di grammatura finale tra i 100 e i 240 gr/m² senza legno. Sono usate per stampa editoriale e sono allestite a fogli. 

In riferimento alle materie prime impiegate le carte da stampa possono essere di pura cellulosa, o con percentuali variabili di legno e cellulosa.

Un cenno a parte dovrebbe essere dedicato alla carta per quotidiani ottenuta con il processo di riciclo delle fibre cellulosiche delle carte da macero e trattate con tecnologie della disinchiostrazione.

Con la stessa tecnologia vengono prodotte carte utilizzate per la stampa degli elenchi telefonici.

Lo specchietto sotto riportato riassume alcune delle caratteristiche alla carta da stampa.

 

Le caratteristiche fondamentali della carta per uso grafico:

 

INCHIOSTRABILITÀ

EVIDENZIABILITÀ

MACCHINABILITÀ

Ricezione e stabilizzazione dell'inchiostro sulla carta

Grado di bianco

Resistenza alla trazione

Trasferibilità dell'inchiostro

Opacità

Resistenza alla lavorazione

Densità della stampa

Lucido

Resistenza allo spolvero

Trapasso dell'inchiostro da stampa

Nuance

Resistenza allo strappo

Contrasti di tinta o liscio

.

Resistenza alla vescicazione

Porosità

..

Resistenza alla delaminazione

pH superficie

.

Grammatura e spessore

. .

Direzione di fibra

. .

Planarità

.

Igroespansività 

 

Tipologia delle carte grafiche:

 

TIPO DI CARTA

ALLESTIMENTO

Carte grafiche naturali senza legno

In formato e/o in bobina

Carte grafiche naturali con legno

In formato e/o in bobina

Carte grafiche patinate senza legno (classiche - speciali - moderne)

In formato e/o in bobina

Carte grafiche patinate con legno (classiche - speciali - moderne)

In formato e/o in bobina

Carte grafiche patinatino con legno per rotocalco

In bobina

Carte grafiche patinatino con legno per roto-offset

In bobina


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LE MATERIE PRIME PER PRODURRE CARTA

La carta è un prodotto costituito essenzialmente da fibre vegetali e sostanze di carica minerali inerti. 

La diversa combinazione delle fibre, lunghe o corte, delignificate o contenenti ancora lignina, costituisce la differenza macroscopica fra i diversi tipi di carte o cartoni che si otterranno.

Non va dimenticata comunque l'importanza delle cariche minerali che, pur non concorrendo a conferire resistenza al foglio di carta, ne costituiscono sino al 50% in peso (carte patinate), conferendo alla carta maggior lucentezza, brillantezza e stampabilità. 

Come si è accennato, la distinzione più elementare è quella in:

• fibre lunghe, provenienti in massima parte da legni di

resinoso (pino, abete, larice);

• fibre corte, provenienti da legni di latifoglia (faggio, betulle, eucaliptus, pioppo).

Le sostanze minerali di carica più usate sono invece:

• carbonato di calcio, ricavato macinando finissimamente scarti della lavorazione o dell'estrazione del marmo;

• caolino, proveniente da cave;

• talco, anch'esso di cava.

Le fibre vegetali provengono in massima parte dal legno, anche se possono essere ricavate da piante annuali quali la paglia di grano o di riso, le canne, lo sparto, la canapa, il lino, il kenaf, ecc.

L'utilizzo industriale di tali piante è oggi nuovamente alla ribalta ed oggetto di studio e di ricerca nonostante fosse stato praticamente abbandonato per via delle caratteristiche scarsamente "industriali" di estrema stagionalità e per la difficoltà nella depurazione delle acque reflue. 

Per produrre paste cartarie si utilizza quasi esclusivamente legname di recupero ed a basso costo, cioè:

• scarti di altre produzioni quali segherie, fabbriche di imballaggi o mobili;

• tronchi di piccola pezzatura e comunque non utilizzabili per lavorazioni qualitativamente superiori. 

Per quanto concerne la parte di legname, quantitativamente meno consistente, che proviene da foresta, occorre considerare che si tratta sempre o dell'utilizzo di sottoprodotti (alberi non adatti alla segagione, cime di piante più grandi, ecc.) oppure proveniente da piantagioni di alberi a rapida crescita (6-8 anni) messi a dimora proprio ad uso industriale. 

A tale proposito è opportuno ricordare che le importantissime funzioni di scambio e di trasformazione (da anidride carbonica ad ossigeno) svolte dalle foreste giovani in accrescimento non sono nemmeno paragonabili a quelle di una foresta matura che, avendo rallentato il ciclo vitale, ha un rapporto di scambio (anidride carbonica-ossigeno) decisamente più limitato e tendente al pareggio tra l'ossigeno consumato e quello prodotto. 

Come ben sappiamo, il legno è costituito da fibre di cellulosa, vasi e lignina.

Quest'ultima, essendo il collante naturale che tiene unite le fibre, è la sostanza sulla quale si deve agire per separare le fibre da utilizzare per scopi cartari.

Il diverso modo di affrontare industrialmente la lignina e quindi di separare le fibre vegetali dà luogo alla distinzione fra i tipi di fibre cartarie (paste cantare):

• cellulose;

• paste semichimiche;

• paste chemitermomeccaniche o chemimeccaniche;

• paste meccaniche.


PRODUZIONE DELLE CELLULOSE

Si possono avere cellulose provenienti da conifere (fibra lunga) o da latifoglia (fibra corta).

Per produrle, il legno, scortecciato e ridotto in pezzetti (chips) per facilitare l'impregnazione, viene sottoposto ad un attacco di sostanze chimiche:

• in ambiente alcalino (idrato di sodio): per ottenere cellulosa al solfato o Kraft (dal tedesco forte) con elevate caratteristiche meccaniche e quindi adatte all'impiego nella fabbricazione degli strati esterni del cartone ondulato, nelle carte da imballo e comunque in tutti i tipi di carta in cui è necessaria una buona resistenza;

• in ambiente acido (solfito): per ottenere cellulose dette al solfito. Tale cottura viene fatta con immissione di vapore ad alta temperatura, in modo da sciogliere tutta la lignina per via chimica e liberare così le fibre di cellulosa con un modestissimo lavoro meccanico tramite raffinatori a disco.

La raffinazione è un processo duplice di compressione e di sfregamento cui sono assoggettate le fibre che, così elementarizzate, vengono poi lavate, assortite per eliminare eventuali fasci di fibre incotte od altre impurità e quindi convogliate nelle torri di imbianchimento dove, tramite processo di ossidazione con cloro o più recentemente, con acqua ossigenata, le fibre sono sbiancate per essere utilizzate in carte bianche.

Il liscivio di cottura viene concentrato per recuperare i prodotti chimici in esso disciolti e la lignina che sotto forma di lignin solfonato è utilizzata anche come collante per la produzione di pannelli truciolari.

Le acque reflue sono depurate tramite depuratore anaerobico o bruciate per produrre vapore nel caso la lignina non sia stata prima estratta.

La resa in fibra delle cellulose, fatto 100 un kg di legno secco, è del 40-45% .

Le caratteristiche cartarie della cellulosa sono ottime dal punto di vista qualitativo, sia come resistenze meccaniche che come grado di purezza e di bianco raggiungibile.

Le carte di pura cellulosa sono quasi illimitatamente durevoli nel tempo e, non contenendo lignina, ingialliscono in modo trascurabile.


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PASTE SEMICHIMICHE 

Sono prodotte partendo da chips prevalentemente di latifoglia (faggio e pioppo) ed il ciclo produttivo non si discosta molto da quello descritto per la produzione di cellulosa.

La differenza fondamentale sta nel fatto che la lignina e le sostanze incrostanti non vengono completamente sciolte in quanto l'attacco chimico con solfito di sodio, la cottura, è solo parziale; la resa, partendo dal kg di legno secco, si aggira sul 60% e la fibra di cellulosa è ancora parzialmente lignificata.

Le paste semichimiche hanno caratteristiche qualitative intermedie e non ben definite fra quelle delle cellulose (paste chimiche) e quelle delle paste ad alta resa (paste meccaniche, chemitermomeccaniche e chemimeccaniche), se consideriamo anche gli alti costi di produzione e di depurazione in relazione alla bassa resa capiamo perché si sta gradualmente abbandonando questo metodo produttivo.

Le paste semichimiche trovano comunque il loro impiego nella produzione di carta da giornale, da stampa, nel cartone ondulato, ecc.


PASTE C.T.M.P. (CHEMITERMOMECCANICHE) E C.M.P. (CHEMIMECCANICHE)

 

Come le altre paste cartarie, le chemitermomeccaniche e chemimeccaniche derivano il nome dal processo industriale utilizzato per ricavarle e quindi, ancora una volta, dalla metodologia utilizzata nel trattare la lignina e le sostanze incrostanti che cementano le varie fibre tra di loro e danno corpo e rigidità al contesto legnoso.

Esse fanno parte delle cosiddette paste ad alta resa, questa infatti è dell'85-90% per kg di legno secco: la lignina viene semplicemente ammorbidita attraverso un blando attacco termo-chimico o solo chimico (senza vapore aggiunto) e quindi lasciata in gran parte a ricoprire la fibra di cellulosa.

Tale metodo di produzione prende piede a partire degli anni '60 e si è dimostrato assai confacente sia alle esigenze specificatamente cartarie che alle ovvie necessità di economicità produttiva; il risparmio si realizza infatti sotto diversi profili: minor costo della materia prima (legno meno pregiato), minor impiego di energia elettrica, costi inferiori di depurazione, vantaggi dal punto di vista della tutela ecologica.

Il pioppo, anche di provenienza nazionale, è l'essenza più usata ed apprezzata per produrre C.T.M.P. o C.M.P. ma viene impiegato anche l'abete, gli scarti delle lavorazioni del compensato e delle segherie sono la base per la produzione di queste paste.

Anche questo processo produttivo parte dai chips che, impregnati ad una temperatura inferiore ai 100 ºC con soda caustica per ammorbidire la lignina e perossido di idrogeno (acqua ossigenata) per la sbianca, vengono convogliati in raffinatori a disco allo scopo di elementarizzare le fibre per via meccanica.

Il raffinatore a dischi è costituito essenzialmente da due dischi metallici posti uno di fronte all'altro, le cui superfici contrapposte sono munite di scanalature dirette verso l'esterno, con dimensioni e forma variabile a seconda dello stadio/grado di raffinazione.

Un disco è fisso, l'altro gira velocemente e può essere allontanato od avvicinato all'altro, all'interno delle due piastre viene forzata la sospensione di legno impregnato e acqua. 

Questa, spinta dall'azione del disco rotante e lanciata verso la periferia dalla forza centrifuga, passa attraverso lo spazio esistente tra le scanalature subendo un'azione meccanica di disintegrazione e raffinazione.

I passaggi successivi consistono nell'assortitura, per scartare e rilavorare fascetti (schegge) di fibre che non si fossero ben aperti nella prima fase di raffinazione ed eventualmente un altro stadio di sbianca al perossido con relativo lavaggio della pasta.

L'operazione di sbianca prevede che la fibra stazioni per un certo periodo all'interno di una tina in una soluzione ricca di acqua ossigenata in base alcalina ed alla temperatura di circa 50-60 ºC, l'acqua ossigenata, svolgendosi in ossigeno per effetto del pH basico, ossida i legami cromofori del legno sbiancandolo.

Le acque reflue vengono trattate con un depuratore biologico allo scopo di renderle idonee allo scarico in fognatura o in acque superficiali.

La funzione del depuratore biologico è quella di riprodurre, artificialmente ed in un tempo molto più breve, quella attività di riossigenazione dell'acqua scaricata che in natura necessiterebbe almeno di diverse settimane; l'acqua scaricata alla fine del ciclo produttivo è infatti carica di mucillagini del legno, micro fibre, linfa e zuccheri che vengono espressi in B.O.D. (biological oxigen demand) o C.O.D. (chemical oxigen demand) e che significano carenza di ossigeno nell'effluente.

Le paste chemimeccaniche o chemitermomeccaniche sono utilizzate per la produzione di quasi tutti i tipi di carta e cartoni, dal tissue (fazzolettini igienici, asciugatutto, tovaglioli, ecc.) alle carte patinate.

Le buone caratteristiche meccaniche (lunghezza di rottura, resistenza alla lacerazione) decisamente elevate per paste ad alta resa, ne consentono impieghi anche massicci.

È opportuno, in questo contesto, aprire una parentesi e sottolineare che, in un Paese come il nostro, notoriamente deficitario di materia prima legnosa (il legno costituisce la seconda voce di importazione dopo la carne), il pioppo è l'unico legno a rapido accrescimento (6-8 anni per la maturazione completa) disponibile in quantità discreta.

Di più, in Italia e soprattutto nella pianura padana, da oltre 100 anni la coltivazione del pioppo fa parte della cultura e della tradizione delle popolazioni rivierasche del Po.

Da sempre questa materia prima rapidamente rinnovabile è utilizzata al 100% dalla base sino ai rami, corteccia compresa.

Il tronco commercialmente più pregiato (trancia), dalla base sino a 20 cm di diametro è utilizzato per produrre compensato, segati, paglia di legno e persino cappelli.

Da 20 cm sino a 10 cm di diametro è utilizzabile per produrre segati o fibre per carta.

Da 10 cm sino a 4 cm di diametro è utilizzato per produrre pannelli truciolari.

La corteccia è utilizzabile come ammendante organico in agricoltura o da bruciare per produrre energia o vapore.

Per continuare con le note di carattere generale, è anche opportuno soffermarsi un momento sull'importanza che ha l'acqua nel ciclo produttivo il cui output finale è la carta; sia le aziende che trasformano legno in paste cartarie che le stesse cartiere necessitano di un massiccio impiego di acqua.

L'acqua è materia prima, vettore, serve nei lavaggi, per diluire la concentrazione di fibre, e resta, in percentuali diverse, nei fogli pressati delle paste e anche nella carta che, non dimentichiamo, è un foglio di natura igroscopica.

La funzione fondamentale dell'acqua ha fatto sì che le cartiere storicamente sorgessero in prossimità di fiumi e torrenti e che oggi siano le prime a promuovere ed incentivare tutto un filone di studi e ricerche volto al risparmio idrico.

Le nuove tecnologie degli impianti di produzione, l'installazione in ogni azienda di imponenti depuratori ed una più consapevole cultura ecologica di tutti gli operatori del settore hanno reso possibile una drastica riduzione della quantità di acqua necessaria per la produzione di carta e paste cartarie, nel caso della C.M.P., per esempio, l'impiego di acqua per la fabbricazione di un chilogrammo di pasta è passato dai circa 12 agli odierni 7-8 litri.


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PASTE MECCANICHE

 

Il metodo più tradizionale e più semplice per produrre paste cartarie, è quello meccanico da sfibratore.

Anche in questo caso si parla di paste ad alta resa, sino al 90-95% che si ottengono sfibrando il legno esclusivamente per via meccanica.

La materia prima di partenza può quindi essere il solo tronchetto di legno (pioppo o abete) che dopo la scortecciatura viene pressato, in presenza di acqua, contro una mola rotante ed abrasiva.

La pasta ottenuta deve essere assortita e le schegge od i fascetti di fibre sono rilavorati in un raffinatore a dischi. L'ultima fase di produzione consiste nella sbianca con perossido di idrogeno (H202) ed anche in questo caso le acque reflue sono inviate ad un depuratore biologico.

L'aumento della velocità delle macchine continue da carta e da stampa e la generale diminuzione delle grammature dettata da esigenze di economicità, hanno portato ad un rallentamento nell'impiego delle paste meccaniche e ad una loro graduale sostituzione con impasti cartari più resistenti.

Le migliori caratteristiche di questo prodotto sono infatti da ricercare nella buona stampabilità e voluminosità, non in quelle meccaniche di lacerazione e lunghezza di rottura poiché è lo stesso metodo produttivo che, elementarizzando le fibre esclusivamente per via meccanica, ne lacera, accorciandole, una grande quantità.


MATERIE PRIME NON TRADIZIONALI

 

Il sole è la migliore fonte di energia a disposizione dell'umanità. Il processo della fotosintesi clorofilliana è il migliore produttore di cellulosa e di amido ed il più efficace accumulatore di energia.

Bruciando le sostanze vegetali, si spezzetta la cellulosa, l'amido e gli zuccheri ottenendo in cambio anidride carbonica che il processo alla clorofilla può rapidamente ritrasformare con l'aiuto del sole in sostanze vegetali di rapida crescita.

Le attuali materie prime alternative o integrative della carta e del cartone sono a base di sostanze cellulosiche fibrose storicamente già ben collaudate e conosciute.

Anticamente in Europa la carta era prodotta solo con stracci.

Si utilizzavano infatti i ritagli di vestiti e tessuti usati, i cordami delle navi, i sacchi usati.

Le fibre di canapa e lino erano le materie prime usate per la produzione di carta; l'impiego della fibra di cotone avviene più tardi, dopo la scoperta dell'America.

Nella metà del secolo scorso fu inventata l'estrazione delle fibre cellulosiche dagli alberi. Antonio Meucci, l'inventore oggi riabilitato del telefono, da buon cartaio nei suoi brevetti americani precorre la strada della cellulosa ottenuta da alberi con cotture sia acide che alcaline aventi lo scopo di ammorbidire e disciogliere gli incrostanti cementanti (lignina) esistenti tra le fibre cellulosiche del legno.

Oggi, ad un secolo di distanza, si ha l'impressione che la carta sia ottenibile solo dagli alberi quali le conifere (abete e pini) e le latifoglie (eucalipto, betulla e pioppo).

Nel contempo, oggi, grazie alle moderne tecnologie (biogenetica, biochimica, termodinamica e tecnologie ambientali), si riscoprono le erbacee e le piante annuali:

• le erbacee, quali la paglia, i residui delle graminacee (mais, frumento e riso) e i residui delle lavorazioni agro-alimentari, quali la canna e la barbabietola da zucchero oltre che i residui della spremitura degli agrumi (arance e limoni) e gli esuberi marini quali le alghe raccolte nella laguna di Venezia sono impiegabili nella produzione di carte di elevato pregio.

Queste materie prime sono ancora in fase di sperimentazione: il loro costo è per il momento più elevato rispetto alla tradizionale cellulosa;

• le piante annuali, quali il kenaf, il sorgo, il cotone, il lino e molte altre a veloce rinnovabilità e ad altissima resa;

• con la paglia dei cereali (riso, frumento, orzo, ecc.) in Cina si producono fibre cellulosiche;

• gli steli della canna da zucchero (bagasso) nell'America Centrale sono trasformati in carta;

• il sorgo, la manioca, il miscanto, il cotone ed il lino, sono tra i vegetali ad alta resa per ettaro ai fini della coltivazione e talune specie hanno anche una buona resa in paste da carta.

Queste fibre annuali dovrebbero entrare con più forza nell'uso cartario anche tramite apposita legislazione, poiché trattandosi di fibre a ciclo di accrescimento annuale possono ridurre mediamente fino ad un 20% l'uso delle cellulose ricavate da essenze arboree. 


MATERIE PRIME DI RECUPERO

L'industria cartaria italiana utilizza in misura crescente fibre secondarie - o di recupero - assicurate dal riciclo, come materia prima, di prodotti cartari usati o comunque usciti dal loro ciclo di uso.

Il termine più comunemente usato per tali fibre è carta da macero (recovered o waste paper in inglese); da evitare è invece quello di carta straccia.

Il riciclaggio delle fibre può avvenire per un numero limitato di volte - da 5 a 7 - tenuto conto del progressivo deterioramento delle prestazioni, determinato dal riciclo.

Le qualità inferiori sono prevalentemente utilizzate nella produzione di cartone e carte per ondulatori, nella cui produzione possono peraltro essere utilizzate anche quote significative di macero di qualità più pregiate.

Queste ultime sono maggiormente utilizzate, previa disinchiostrazione.

Sotto il profilo delle fonti di raccolta il macero si distingue in:

• macero da raccolta industriale e commerciale costituito dai rifili di cartotecnica, casse di cartone ondulato, rese di quotidiani e periodici, tabulati, ecc.

Tale macero localizzato presso industrie cartotecniche ed editoriali, uffici, grandi magazzini, è raccolto da recuperatori professionali e quindi selezionato e imballato prima di essere fornito alle cartiere per rientrare nel ciclo produttivo;

• macero domestico proveniente da raccolta differenziata, contenente prodotti cartari detenuti nelle abitazioni e nei piccoli negozi e uffici.

Tale macero, prevalentemente costituito da cartaccia mista e giornalame, deve essere isolato dai rifiuti solidi urbani all'origine, cioè prima che la carta sia mescolata con altri materiali che, inquinandola, la rendano inutilizzabile.

Ciò presuppone l'organizzazione, da parte dei comuni, della raccolta differenziata; il macero che ne deriva può essere utilizzato come tale da alcune cartiere che procedono all'interno dei loro impianti all'eliminazione delle impurità mentre in altri casi è necessario l'intervento di operatori ambientali per la selezione e l'imballaggio.


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IL PROCESSO DI FABBRICAZIONE DELLA CARTA

 

Descrivere in poche righe il complesso processo di fabbricazione della carta è impresa impossibile se il tutto non viene generalizzato ed estremamente semplificato; ma nell'eccessiva semplificazione si nasconde sempre il pericolo di banalizzare l'argomento senza coglierne più di tanto l'essenza.

Consapevoli di questo cercheremo tuttavia di illustrare dei concetti generali, avvalendoci di semplificazioni anche esagerate, che hanno però la prerogativa di essere familiari a tutti.

Innanzitutto ogni azione (processo) che genera un risultato o un prodotto si basa su 4 elementi fondamentali:

• Chi la compie;

• Gli strumenti necessari per compierla;

• Gli ingredienti o le sostanze (anche quella grigia) che vengono manipolate;

• I soldi necessari per procurarsi il tutto.

Ogni processo inoltre, sia esso semplice o complicatissimo, consta di:

• una fase di studio (ricetta o formulazione del progetto);

• una fase preparatoria (miscelazione ingredienti o materie prime ed adeguamento e scelta dei mezzi o degli impianti necessari);

• una fase produttiva;

• una fase di finitura e di allestimento;

• la realizzazione finale;

•i controlli relativi ad ogni fase.

Anche la fabbricazione della carta è riconducibile perciò ad uno schema semplice nelle sue linee generali.

La complessità nasce dal numero delle fasi che compongono il processo, dagli impianti, specifici per ogni fase, dalle dimensioni in gioco e dalla necessità di amalgamare correttamente il tutto.

Vediamo ora di approfondire, ma non di molto, la conoscenza di alcuni momenti che caratterizzano il processo.


MOMENTI CARATTERISTICI NELLA PRODUZIONE DELLA CARTA E LORO EVOLUZIONE NEL TEMPO

I primi supporti cartacei, in Italia, vedono la luce nella prima metà del XIII secolo ed il lavoro dei primi cartai meglio può assomigliare al lavoro artigianale del cuoco dell'esempio precedente.

Gli stracci, materia prima basilare, vengono raccolti, cerniti e lavati prima di essere tagliati e quindi sfilacciati, in acqua, mediante un'azione meccanica di battitura ("lavorazione") nelle "pile a martelli".

Con la sospensione di stracci tagliati, sfilacciati e battuti in acqua, ("la pasta"), si riempiono dei "tini" dai quali l'artigiano cartaio riesce a far depositare uno spessore regolare di fibre su di un setaccio a maglie molto fini, ("la forma"), e a prelevarlo quindi, sotto forma di foglio, per compattarlo ed iniziare ad asciugarlo prima pressandolo sotto un torchio e, quindi, appendendolo ad apposite attrezzature ("gli asciugatoi"), all'aria.

Sono tuttora i momenti salienti della produzione della carta.

Una importante innovazione nella "lavorazione" degli stracci è costituita dall'impiego della tina "olandese", che sostituisce le vecchie "pile". 

Lo scopo è sempre quello di tagliare e sfilacciare e sfibrillare la pasta di straccio, (e, quando non ci sarà più lo straccio, la cellulosa), ma con una potenzialità maggiore unita ad una maggior governabilità e flessibilità della macchina.

I vari momenti della produzione rimangono però separati sino alla nascita della "macchina continua", che segna l'inizio della fase industriale e permette la formazione ed il distacco "in continuo", da un forma rotonda, di una benda di carta teoricamente senza soluzione di continuità.

Si realizza inoltre, in un'unica e continua fase, il compattamento e la pressatura della benda ed il suo asciugamento.

Si riesce così a realizzare in continuo delle bellissime filigrane in chiaro-scuro, che si ripetono sempre nella medesima posizione del foglio (filigrana fissa) e delle carte che simulano i fogli ottenuti con la vecchia "forma" a mano, tanto che la nuova macchina, accanto alle denominazioni "macchina o forma in tondo", viene chiamata anche "manomacchina".

Nel tempo la forma in tondo lascerà spazio alla "tavola piana", che permetterà grandi formati e velocità assai elevate, ma non potrà più ripetere e nemmeno imitare le riproduzioni di visi o figure simili a bassorilievi, tanto abituali a chi ha lavorato sulla simpatica e vecchia "tamburella".

Un ulteriore passo avanti nella "continuità" del ciclo produttivo si realizza con l'introduzione dei raffinatori in continuo, che soppiantano la vecchia "olandese" con rendimenti decisamente superiori.

Ma se ripercorriamo il lavoro del "prenditore" e del "ponitore", i vecchi artigiani cartai che producevano un foglio alla volta con la "forma" a mano, e confrontiamo i vari momenti del loro impegno con le attuali fasi produttive ci imbatteremo in uguali percorsi ed uguali esigenze. 

Vediamo allora di ritrovare, sugli impianti moderni, le fasi che caratterizzavano il lavoro dei primi cartai; servirà per meglio identificare i particolari settori delle attuali linee produttive, settori che andremo ad esaminare più avanti un po' più in dettaglio. 

Il lavaggio degli stracci non si ritrova logicamente più, ma l'operazione di lavaggio della materia prima è tuttora ben presente nella produzione delle paste chimiche e delle paste di legno.

Il legno da introdurre nei bollitori o nelle torri di impregnazione subisce un primo lavaggio, per liberarlo dal terriccio o da altre impurità.

Una volta trattato viene passato ai tamburi lavatori per essere ripulito dal liscivio e dai sali che questo ha disciolto.

La cernita è tuttora presente sia come scelta del tipo di essenza fibrosa idonea agli obiettivi del fabbricante di paste e del cartaio, sia come eliminazione di corpi estranei (ferro, sabbia, plastica) e di materiale non idoneo (incotti, grumi, schegge, grossolani).

Attraverso il tempo i plotoni di donne, che sceglievano (ed epuravano) gli stracci su delle specie di setacci a maglie grosse, vengono sostituita dal sabbiere e dalle calamite distribuite sul fondo dello stesso ove, per gravità e per l'effetto magnetico, si depositano le parti pesanti come sabbia, pietrisco, scheggette e polvere di ferro, e dal tamburo epuratore-assortitore, generalmente a fessure.

Oggi queste parti di macchina vengono sostituite dagli attuali epuratori (cleaners) atti a scartare le parti pesanti, dai moderni assortitori a fori e/o a fessure (screen), che impediscono il passaggio di parti grossolane e costituiscono un'ulteriore salvaguardia per l'incolumità dei corredi di macchina e per la qualità del prodotto, e dai vibrovagli. 

La porzione d'impianto compresa tra la tina di macchina e la cassa d'afflusso prende il nome di testa macchina.

Gli stracci, una volta lavati ed assortiti, subivano un'azione di sbatacchiamento, taglio e sfilacciatura, in presenza di molta acqua, nelle pile a martelli e venivano quindi stoccati in tini, dai quali il maestro cartaio li prelevava per "alimentare" la sua "forma" a mano.

L'operazione di taglio, sfilacciatura e idratazione, fondamentale per l'ottenimento di un foglio resistente ed uniforme, veniva chiamata "lavorazione" ed il termine è tuttora ricorrente, in cartiera, accanto al più usato "raffinazione".

Anche oggi le fibre sospese in acqua vengono sbattute, tagliate, idratate, sfilacciate e trasferite quindi in capaci tine dalle quali, in continuo, vengono prelevate per essere trasformate, dalla macchina continua, in foglio di carta. 

I maestri cartai, il "prenditore" ed il "ponitore", disponevano di una tinozza, il "tino", nella quale disperdevano la quantità di fibra opportuna basandosi sulla loro grande ed abituale esperienza, di un setaccio a maglie fini, "la forma", di un "torchio" e di uno "stenditoio" al quale appendere ad asciugare i fogli, dopo la pressatura.

Il "tino" può essere ora rappresentato dalla "cassa d'afflusso", ove le fibre sono mantenute in sospensione ben separate tra di loro, ad una densità costante, prima di venire distribuite uniformemente sulla "tavola piana", l'attuale "forma".

Le presse, nella parte di macchina successiva alla tavola piana, preasciugano e compattano il foglio in modo simile al vecchio "torchio", mentre la successione di cilindri essiccatori, riscaldati a vapore, può essere assimilata al vecchio "stenditoio". 

Queste brevi note hanno lo scopo di aprire un'ulteriore finestra sui momenti caratteristici del processo produttivo, in modo da rendere meglio comprensibile l'ulteriore approfondimento che andremo ad affrontare.

Ricordiamo ancora che questa scheda introduce delle nozioni elementari ed è quindi volutamente semplice, spesso incompleta e carente di informazioni in dettaglio, in quanto vuole solamente soddisfare un'eventuale curiosità di chi quotidianamente utilizza la carta come strumento per comunicare, studiare e diffondere idee, conoscenze e cultura.


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LA PREPARAZIONE DELL'IMPASTO 

La formulazione dell'impasto nasce avendo la conoscenza di alcune cose fondamentali: 

• le caratteristiche del prodotto desiderato

• le materie prime che rendono possibile l'ottenimento di queste caratteristiche

• la consapevolezza di possedere un impianto idoneo a sviluppare e realizzare queste caratteristiche

• la consapevolezza di essere in grado di gestire il tutto in modo corretto 

La formula o ricetta di impasto elenca sia il tipo che le quantità di materie prime previste; generalizzandola si può così schematizzare, anche se in modo incompleto:

 

MATERIE PRIME

TIPO DI PASTA

TIPO DI FIBRA

FONTE

Fibrose

Chimica

Lunga (aghifoglie)

Abete

Fibrose

Chimica

Lunga (aghifoglie)

Pino silvestre

Fibrose

Chimica

Lunga (aghifoglie)

Pino del sud

Fibrose

Chimica

Corta (latifoglie)

Pioppo, betulle

Fibrose

Chimica

Corta (latifoglie)

Eucalipto

Fibrose

Chimica

Corta (latifoglie)

Faggio

Fibrose

Meccanica

Lunga (aghifoglie)

Abete

Fibrose

Meccanica

Corta (latifoglie)

Pioppo

Fibrose

C.T.Meccanica

Lunga (aghifoglie)

Abete

Fibrose

C.T.Meccanica

Corta

Aspen

Fibrose

Pasta da fibre secondarie

.

Maceri disinchiostrati

Non fibrose

Sostanze di carica

Caolino

.

Non fibrose

Sostanze di carica

Carbonato di calcio

.

Non fibrose

Sostanze di carica

Solfato di calcio

.

Non fibrose

Sostanze di carica

Talco

.

Non fibrose

Sostanze di carica

Biossido di titanio

.

Non fibrose

Collanti

Per ambiente alcalino

.

Non fibrose

Collanti

Colofonia

.

Non fibrose

Allume (policloruro)

. .

Non fibrose

Ritentivi

Poliacrilammidi

.

Non fibrose

Ritentivi

Polietilenimmine

.

Non fibrose

Ritentivi

Amidi cationici

.

Non fibrose

Coloranti 

.

.

La tabella ha delle lacune, ma dà senz'altro un'idea dei materiali che vengono citati in una formulazione d'impasto.


SPAPPOLAMENTO E RAFFINAZIONE 

Le essenze fibrose previste dalla ricetta d'impasto vengono spappolate in acqua mediante una apposita macchina (Pulper). 

Le fibre, per effetto dell'acqua, si rilasciano e si ammorbidiscono diventando pompabili. Vengono stoccate in tine, in attesa di subire un trattamento atto a sviluppare quelle caratteristiche di resistenza e macchinabilità già insite nei tipi di essenze scelte (raffinazione).

L'impasto raffinato viene quindi dosato assieme ad altri componenti, nelle proporzioni previste dalla ricetta.

Per meglio cogliere il significato del processo di raffinazione occorre però prima conoscere la conformazione delle fibre, perciò illustreremo schematicamente, qui di seguito, la struttura di una fibra di aghifoglia.


NOTE SULLE FIBRE DI AGHIFOGLIA 

La lamella mediana è essenzialmente costituita da lignina, sostanza amorfa e rigida che agisce da collante tra le varie fibre.

Procedendo dall'esterno verso il lume della fibra, la lignina va calando progressivamente sino a sparire praticamente verso la parete interna.

La cellulosa ha un andamento complementare alla lignina e va progressivamente calando dal lume all'esterno sino a scomparire praticamente nella parete primaria.

Possiamo immaginare la fibra come una spagnoletta, i cui fili esterni siano affogati in una gran massa di lignina, nella quale le incrostazioni diminuiscano sempre di più, a mano a mano che si procede verso l'anima, sino ad incontrare i fili che ne sono completamente privi.

Il filo incrostato si presenta duro e rigido, mentre quello pulito è flessibile e morbido; allo stesso modo le fibre molto lignificate si presentano rigide e dure (paste legno da sfibratore o termomeccaniche), mentre le fibre delignificate sono flessibili e morbide (cellulose bianchite). 

Lo spessore della parete cellulare influenza la flessibilità della fibra e la sua propensione a presentarsi con aspetto nastriforme.

 

La fibra a parete cellulare più sottile:

• assume più facilmente un aspetto nastriforme;

• crea superfici di contatto maggiori con le altre fibre;

• riduce i volumi liberi tra fibra e fibra.

 

La fibra a parete cellulare più spessa:

• assume di preferenza aspetto tubuliforme;

• è più rigida;

• permette superfici di contatto minori con le altre fibre;

• aumenta i volumi liberi tra fibra e fibra. 

Perciò da impasti contenenti in prevalenza fibre a pareti sottili dovremo aspettarci carte più dense, più sottili, più resistenti alla trazione, più trasparenti. 

Da impasti contenenti in prevalenza fibre a pareti spesse dovremo aspettarci carte più voluminose, meno resistenti alla trazione ed alla piegatura, più resistenti alla lacerazione, più opache. 

Anche da fibre molto lignificate (paste legno) dovremo aspettarci carte più voluminose ed opache, ma meno resistenti e più fragili in piega.


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LA RAFFINAZIONE 

È l'operazione con cui si ottiene dall'impasto fibroso quelle caratteristiche richieste dall'utilizzatore:

• Chi stampa in roto-offset vorrà una carta resistente alla piega ed al punto metallico, o alla cucitura in genere;

• Chi stampa in offset piano vorrà una carta rigida e altamente macchinabile, ma dimensionalmente stabile ed il più possibile inerte;

• Chi utilizza carte leggere per editoria le vorrà parimenti resistenti alla lacerazione, alla piega, al punto metallico o cucito oltre che sufficientemente chiuse per avere una sufficiente brillantezza di stampa;

• Chi impiega carte porcellanate, o smalti che dir si voglia, vuole carte resistenti e decisamente poco porose, poco permeabili;

• Tutti poi richiedono una opacità elevata e, a livello di desiderio, la massima opacità possibile ed immaginabile;

• Una raffinazione mirata e ben condotta, in presenza di strumenti (raffinatori) idonei, consente di sviluppare dalle fibre le caratteristiche richieste e, quando queste caratteristiche sono tra loro in contrasto, di mediare con equilibrio il risultato; 

La raffinazione sottopone la fibra ad una serie di sbattimenti e compressioni che consentono all'acqua di imbibirne sempre di più le fibrille interne rendendola sempre più plastica; questa aumentata plasticità consente la formazione di un maggior numero di aree di contatto, e quindi di legami, indispensabili per una buona resistenza e formazione del foglio.

La raffinazione, se inidonea o troppo spinta, produce anche altri effetti non sempre desiderabili ed opportuni;(smodata lacerazione della parete, accorciamento esagerato della fibra, eccessiva idratazione)

sulle fibre di cellulosa la violenza dell'urto delle lame del raffinatore non deve essere tale da devastare la superficie ad ogni colpo; e poiché le caratteristiche morfologiche e chimico-fisiche delle fibre sono peculiarità proprie di ogni tipo di essenza (abete, pino silvestre, pino del sud, pino della costa del pacifico, faggio, eucaliptus, ecc.) si intuisce l'opportunità di raffinarle in modo selettivo (raffinazione separata), per non rovinare una fibra lunga che può darci una carta tenace e porosa, ma rendendole plastiche ed in grado di creare, su tutta la loro integra lunghezza, un numero elevato di legami.

Abbiamo ricordato prima che lo sviluppo di alcune caratteristiche non sempre è in accordo con altre. Infatti se da un lato aumentare la predisposizione delle fibre a creare più legami e punti di contatto porta a resistenze meccaniche migliori, dall'altro comporta un peggioramento della opacità;

Se si insiste con la raffinazione per esaltare le caratteristiche meccaniche di resistenza alla trazione, accanto a questa dovremo accettare una minor resistenza alla lacerazione;

All'impasto fibroso raffinato vengono aggiunte sostanze che conferiscono al prodotto finito altre caratteristiche:

• la colla e l'allume per dare una certa resistenza alla bagnatura o per regolare un assorbimento eccessivo di inchiostro per scrivere, impedendone il trapasso e la sbavatura;

• le sostanze di carica per conferire alla carta opacità, maggiore levigatura, migliore stampabilità.


IL TESTA MACCHINA E LA FORMAZIONE DEL FOGLIO 

L'impasto, proveniente dalla tina di miscela e pressoché completo in tutti i suoi componenti, viene inviato al vaschino a livello costante dal quale viene dosato, mediante la valvola della grammatura, nell'aspirazione della pompa di alimentazione (fan pump).

Questa pompa, che pesca dalle acque del sottotela (torre raccolta sottotela), diluisce e miscela la pasta prelevata dal vaschino e la porta in cassa d'afflusso facendola prima passare attraverso un impianto di epurazione ed un assortitore (screen). 

La cassa d'afflusso ha il compito di distribuire uniformemente sulla tela di formazione l'impasto diluito. 

Il complesso fan Pump - epurazione - screen - cassa d'afflusso - torre acque è chiamato giro corto di macchina o testa macchina. 

La tela di formazione e la tavola piana, che è composta da vari elementi drenanti (foils, vacufoils, casse aspiranti), consentono di drenare l'acqua trattenendo le fibre ed i componenti dell'impasto. Alla fine della tavola piana il foglio umido è formato. 

La prima e la seconda pressa (e, dove esiste, anche la terza) tolgono ulteriore acqua e rendono più consistente e resistente il foglio. 

La batteria essicatrice o seccheria consente di asciugarlo completamente. 

Abbiamo già detto dell'importanza del ruolo svolto dall'acqua nella fabbricazione della carta. L'acqua imbeve e idrata le fibre, le rende flessibili e raffinabili, consente di miscelare uniformemente con l'impasto fibroso gli altri componenti, rendendo il tutto pompabile. 

È, in altre parole, il veicolo usato per spostare, anche a grandi distanze, grossi quantitativi di materie prime ed il motore di questo veicolo sono le pompe. 

Diamo un'idea della presenza dell'acqua lungo il ciclo produttivo dal pulper al pope con qualche indicazione di densità dell'impasto espressa in percentuale. (Una densità del 3% starà ad indicare che su 100 kg di impasto avrò 3 kg di solido e 97 kg.litri di acqua).

 

DENSITÀ

Pulper

normalmente da 5% a 14% in funzione dell'impianto (a bassa, a media, ad alta densità)

Trasferimento dal pulper

da 4% a 8%

Raffinazione

Normalmente da 3,5% a 4%

Vaschino a livello costante

Normalmente da 3% a 3,5%

Epurazione screen, cassa afflusso

normalmente da 0,6% a 1,1%in funzione della grammatura e del tipo di carta

Prima delle casse aspiranti della tela

circa il 3% - 5% per tavole piane con ballerino

All'uscita della tela

normalmente da 16% a 20%

All'uscita della 1^ pressa

normalmente da 33% a 40% (in funzione anche dei tipi di carta e della velocità di produzione)

All'uscita della 2^ pressa

normalmente da 42% a 47%

Al pope

di norma 93% - 94%

 


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LA TAVOLA PIANA 

Su di essa inizia un drenaggio graduale, dapprima il più possibile dolce e controllato, mediante i foils.

Questi elementi drenanti, posti dopo la cassa d'afflusso, hanno la funzione di tenere "mossa" la pasta sulla tela, di "richiamare" nelle maglie della tela e sotto di essa l'acqua dell'impasto, di "togliere" con la punta (naso) l'acqua richiamata nelle e sotto le maglie dal foil precedente. 

Dopo il primo tratto della tavola piana la leggera depressione creata dai foils non è più sufficiente a togliere l'acqua ed è necessario ricorrere ad elementi drenanti (vacufoils, casse umide, casse aspiranti, cilindro aspirante) che, creando un vuoto sempre più alto sotto la tela, costringono l'acqua a lasciare la fibra.


LE PRESSE UMIDE

All'uscita del cilindro aspirante il secco della pasta è compreso tra il 16% ed il 20%. 

Per togliere ancora acqua si deve ricorrere ad una "spremitura", ottenuta esercitando sul foglio umido una fortissima pressione (presse umide). 

Ma l'acqua "spremuta", se non trovasse sfogo attraverso un corpo permeabile soffice e resiliente, eserciterebbe sul foglio una pressione idraulica tale da provocarne la rottura (franatura). 

Il feltro umido quindi, oltre alla funzione di sostegno, funge anche da ricettore d'acqua e da tutore della integrità del foglio umido.


LA SECCHERIA

All'uscita delle presse umide il foglio, in funzione del tipo di presse a disposizione e dell'impasto, può avere un secco generalmente compreso tra il 42% e il 50%.

Per andare oltre il 50%, che è attualmente un valore limite raro e di tutto rispetto, bisogna togliere l'acqua con un altro sistema. 

Sino ad oggi non si è trovato di meglio che eliminarla per evaporazione, appoggiando e premendo il foglio, mediante una tela ad anello chiuso (tela essicattice), su delle superfici riscaldate (cilindri essicatori). 

Anche in questo caso l'acqua, evaporata attraverso la maglia della tela essicatrice, viene estratta ed espulsa, dopo averne sfruttato la temperatura con degli scambiatori.

Delle soffianti di aria calda provvedono ad eliminare ogni residuo di umidità dalle maglie delle tele che ritornano, asciutte e condizionate, a svolgere la loro funzione.


LA PATINATURA

L'idea di coprire la superficie di un foglio di carta con dei pigmenti minerali di ridotte dimensioni particellari per ottenere una miglior brillantezza ed uniformità di stampa, un bianco più elevato, una lisciatura superiore ed una possibilità di "lucidatura" altrimenti irraggiungibile, nasce e trova applicazione in Italia intorno agli anni '20. È indubbiamente un'idea vincente, con risvolti economici positivi e, all'inizio, non completamente prevedibili, tanto che ai nostri giorni poche sono le cartiere che non adottano questa tecnologia.

L'operazione di stendere con uniformità, sulla superficie di un foglio, una miscela di pigmenti (patina) è chiamata " patinatura", e "patinatrici" sono dette le macchine che la rendono possibile.

È abbastanza intuibile che uno strato di soli pigmenti, una volta asciutti non rimarrebbe attaccato alla superficie del foglio e basterebbe una qualsiasi azione meccanica, uno sfregamento, una piegatura, una stropicciatura, per staccarlo a pezzi o sotto forma di polvere; la carta sarebbe inutilizzabile.

Bisogna, in qualche modo, "legare" tra loro i pigmenti e legare questi alla superficie del foglio ricorrendo all'impiego di sostanze idonee allo scopo, i cosiddetti "leganti".

Volendo quindi meglio definire la patina, diremo che questa è una miscela di pigmenti e leganti, avente un contenuto in solidi ben definito e la tinta desiderata, idonea ad essere uniformemente distribuita sulla superficie di un supporto cartaceo. Accontentiamoci di questa definizione che, sotto il generico termine "idonea", nasconde problemi di reologia e ritenzione in rapporto alla velocità di applicazione ed al tipo e grammatura di supporto.

Al giorno d'oggi, nella maggioranza dei casi, quando si parla di pigmenti si intende parlare di carbonato di calcio e di caolino; qualche cartiera, ma non molte, impiega ancora il bianco-satin mentre sta crescendo l'impiego, nelle carte per rotocalco, del talco.

Un tempo il pigmento principe era il caolino e l'impiego del bianco-satin era più diffuso, ma erano impiegati anche il solfato di bario (bianco-fisso) e la farinafossile.

Il biossido di titanio ha sempre avuto un impiego limitato in applicazioni e tipi di carta particolari.

Agli inizi della patinatura il legante classico era la caseina lattica, sposa ideale del bianco-satin con cui dava patine fluide, microporose e con eccezionali resistenze ad umido. L'unione con il caolino era invece estremamente "conflittuale" ed originava degli shock reologici con innalzamenti vertiginosi della viscosità tanto che non era eccezionale il verificarsi del bloccaggio delle pale dell'impastatrice per la tenacità del pastone caolino-caseina che si formava.

Un tempo, infatti, si usava preparare la patina partendo dal caolino in polvere ed impastandolo con una soluzione alcalina di cascina in una vera e propria impastatrice, sicché questa somiglianza al mondo dei panettieri e dei pastai, unita al ricettario spesso volutamente misterioso, può essere l'origine del nome "cucina", dato ancor oggi al reparto ove viene preparata la patina.

Ora i leganti principe sono i lattici, soprattutto a base stirene butadiene e/o a base acrilica, seguiti dall'amido e, in misura minore, le proteine vegetali e l'alcool polivinilico. Poiché, quando si parla di patinate, ci si immagina quasi sempre una carta lucida, è interessante sapere che la propensione di una carta patinata a "lucidarsi" è dovuta al tipo di pigmento usato e alle dimensioni delle sue particelle.

Tutto ciò che viene aggiunto ai pigmenti nella preparazione della patina, cioè i leganti, i ritentori d'acqua, i livellanti ed i regolatori di flusso riducono il livello di lucido ottenibile.

È bene inoltre sapere che un pigmento formato da particelle uniformemente molto fini (ad esempio 95% inferiori a 2 micron e 78-80% inferiori a 1 micron) permette di ottenere lucidi più elevati di quelli ottenibili da un pigmento più grossolano.

L'operazione "patinatura" consiste nello spalmare uniformemente sulla superficie del foglio uno strato ben definito di patina; per fare ciò ci si avvale di macchine dette "patinatrici" che, nel tempo, sono andate via via modificandosi pur mantenendo fermi i momenti caratteristici dell'operazione:

l. l'applicazione, sul foglio, di una quantità esuberante di patina;

2. la sua uniforme distribuzione su tutta la superficie, eliminando l'eccesso;

3. il suo asciugamento;

4. il suo condizionamento ad una ben definita umidità relativa. 

La prima patinatrice patinava un solo lato del foglio ed era identificata anche come "patinatrice semplice".

Se si voleva patinare anche l'altro lato si doveva ripassare sulla macchina il foglio monopatinato.

Un cilindro, immerso nella patina contenuta nel calamaio, applicava in modo disuniforme una quantità esuberante di patina sul foglio che, subito dopo, aderiva con il lato non patinato, alla superficie di un cilindro di notevole diametro (tamburo patinatore) e porgeva il lato patinato all'operazione di distribuzione uniforme su tutta la superficie, operazione che veniva effettuata da spazzole, lunghe quanto era largo il foglio, montate a due o a tre su dei telai mobili e regolabili, in modo da poter "premere" più o meno sulla superficie patinata. I telai, grazie ad una camme, avevano un doppio movimento e facevano compiere alle spazzole delle specie di ellisse, sicché la patina veniva distribuita con spazzolature di senso alternato.

Le spazzole erano rigorosamente di setole di porco, le prime più dure e le successive meno.

Tutte erano mobili, tranne le ultime, che dovevano dare la finitura e che dovevano essere morbidissime (i piumini, rigorosamente di pelo di tasso).

Dopo le spazzole il nastro di carta entrava nel tunnel e "galleggiava" su di un cuscino di aria calda che asciugava e "bloccava" la patina al punto da non "sporcare" il feltro, praticamente il primo ed unico "punto fisso" tra lo svolgitore e l'avvolgitore.

L'asciugamento veniva quindi completato nella cosiddetta "distesa" o "bastoniera", ove un giro di bastoni sosteneva il foglio, appeso come un festone alto 3 metri, mentre da sotto veniva insuffiata aria calda.

Entrare ed aggirarsi tra i festoni (stiamo parlando di percorsi di 20-25 metri per il tunnel e di altrettanti e più per la distesa) dava sempre l'impressione di essere in mezzo a 100 lenzuola stese ad asciugare dopo il bucato.

Nell'ultima parte, prima di venire riavvolta, la carta passava attraverso una specie di sauna ove si riumidificava ad una umidità relativa più consona.

Prima dell'arrotolatore i bastoni, attraverso un percorso alternativo, ritornavano nei paraggi del feltro e riprendevano il nastro per riaccompagnarlo nuovamente lungo tutta la distesa.

Il passo di poco successivo fu la patinatura contemporanea dei due lati del foglio e, nella patinatrice, il tamburo patinatore lasciò il posto alla fila di spazzole inferiori.

E vennero quindi i rullni, che presero il posto delle spazzole e consentivano velocità di produzione più alte, anche se patinare con i rullini dei supporti leggeri non era quasi mai gratificante. 

E giungiamo quindi ai nostri giorni, ove la fase di patinatura segue il medesimo procedimento, ma val la pena ricordare che in pochi anni lo sviluppo tecnologico ha permesso di passare dai 20-30-40 metri al minuto delle prime patinatrici a spazzole agli 800-1000-1200-1400 metri al minuto delle attuali patinatrici. E sugli impianti pilota si toccano già i 2000 metri.


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L'ALLESTIMENTO 

I clienti, quando ordinano la carta alla cartiera, staccano l'ordine avendo ben presente il lavoro che devono fare e le macchine da stampa che ritengono di utilizzare.

Poiché i clienti sono tanti, i lavori i più disparati, il parco macchine da stampa variato e numericamente assai consistente, si comprende il perché sia difficile semplificare in pochi standard le varie voci (richieste) degli ordini. 

Ma alcune standardizzazioni, a livello generale, possono essere fatte:

· carta in rotolo (per stampa in roto-offset o in rotocalco o simili)

· carta in formato (per stampa in offset piano)

L'allestimento delle carte in rotolo avviene servendosi di macchine chiamate "bobinatrici", le quali provvedono a ricavare, partendo dal rotolo a tutta altezza di macchina continua, dei rotoli di altezza inferiore.

Nell'allestimento della carta in formato vengono impiegate macchine, le "taglierine", che consentono di tagliare e raccogliere in fogli di dimensione voluta la carta avvolta in rotolo.

Il taglio trasversale avviene sotto il "coltello" che, in funzione della grammatura della carta, può tagliare contemporaneamente 3, 4, 5, 6 e fino a 12 fogli sovrapposti.

I fogli tagliati vengono raccolti, alla fine della taglierina, su dei pallets (raccoglifoglio) che, accuratamente protetti da un idoneo avvolgimento (polietilene termoretraibile), prenderanno la strada dei magazzini e, quindi, del cliente cui sono destinati. 

La carta tagliata in formato può essere venduta impaccata (a 500, a 250, a 100 fogli in funzione della grammatura) su pallet, in pacchi confezionati con un'apposita carta protettiva (generalmente politenata), oppure "sfusa" su pallet (bandierata).


L'OPACITA' 

Sul tema opacità conviene insistere un momento perché è argomento che si ricollega alla morfologia delle fibre ed alla loro raffinazione.

Facciamo qualche considerazione di carattere generale. In un mezzo otticamente omogeneo un raggio di luce procede rettilinearmente senza subire variazioni. Se, in una luminosa giornata di sole, fissate un quadro appeso alla parete, ne avete una visione completa, chiara, nitida; se volgete lo sguardo alla finestra avrete una visione altrettanto chiara delle case e degli alberi che attorniano la vostra abitazione.

Accade che l'immagine-luce proveniente da questi oggetti arriva ai vostri occhi senza subire deviazioni o intoppi, perché si muove in un mezzo otticamente omogeneo (l'aria). Quando il raggio di luce incontra sul suo cammino una superficie (interfaccia) confinante con quella di una sostanza diversa subisce delle deviazioni e modifica la sua velocità di propagazione. 

Il raggio incidente si scompone in raggio riflesso e raggio rifratto e le loro velocità di propagazione differiscono a seconda del mezzo che attraversano.

La deviazione subita dal raggio luminoso nel passare da un mezzo ad un altro è in relazione con l'indice di rifrazione n. 

Vediamo qualche esempio semplice:

a) La luce di una stella, passando attraverso gli strati sempre più densi dell'atmosfera, viene continuamente deviata verso il basso e percorre una curva, alla fine della quale colpisce l'occhio dell'osservatore.

Costui vede la stella in un punto del cielo che non corrisponde alla reale posizione della stella.

b) Se osserviamo dei pesci in una vasca, o sulla riva di un lago, l'immagine/luce del pesce viene percepita in una posizione diversa da quella reale per la deviazione che subisce nel passare dall'acqua all'aria.

Nei casi considerati l'osservatore, anche se tratto in inganno, vede comunque gli oggetti e dice che il cielo è sufficientemente terso (poco velato) e l'acqua sufficientemente limpida o trasparente (poco opaca). 

Ma esistono circostanze che creano limitazioni assai più consistenti alla capacità visiva dell'osservatore. 

Abbiamo visto all'inizio come si possa tranquillamente osservare un quadro appeso alla parete di casa o il paesaggio esterno, in una giornata di sole.

Proviamo ad appendere lo stesso quadro in una parete di una stanza adibita a sauna e non facciamo economia di vapore saturo.

Non riusciamo più a distinguere l'immagine chiaramente, se non addirittura la presenza del quadro.

Altrettanta difficoltà avremo nel riconoscere e distinguere l'ambiente esterno, se sparirà il sole e calerà la nebbia. 

Cosa è avvenuto?

È avvenuto che nel mezzo praticamente omogeneo (l'atmosfera dell'appartamento o dell'ambiente esterno in una giornata di sole) abbiamo introdotto dei consistenti elementi di discontinuità ottica, sotto forma di goccioline di acqua di piccolissime dimensioni che, proprio in virtù di queste dimensioni, rimangono sospese nell'aria (il vapore in una sauna, la nebbia all'esterno). 

Qualsiasi immagine/luce, posta ad una certa distanza, prima di arrivare al nostro occhio dovrà perciò attraversare miriadi di particelle di diverso indice di rifrazione e subirà una miriade di riflessioni e rifrazioni disordinate, disperdendosi in tutte le direzioni. 

Il nostro occhio non potrà perciò che cogliere una luminosità diffusa ed uniforme, senza possibilità di risolvere tutto in una immagine chiara.

Tutto è diventato velato, confuso, opaco. 

Noi dobbiamo cercare di ottenere anche dalla carta, nella grande maggioranza dei casi, la massima opacità, intesa esattamente come il contrario di trasparenza. 

La lettura di una pagina infatti diventa fastidiosa ed irritante se traspaiono le parole o le immagini stampate sul retro o sulla pagina seguente. 

Ricordiamo quanto detto e vediamo di applicarlo alla carta:

· in un corpo otticamente disuniforme e discontinuo la luce subisce, per ogni discontinuità incontrata, delle deviazioni;

· le deviazioni risulteranno tanto maggiori quanto maggiori saranno le differenze tra gli indici di rifrazione dei corpi che creano una discontinuità;

· le deviazioni saranno parimenti tanto maggiori quanto più piccoli e più numerosi e fitti saranno i corpi che creano una discontinuità ottica. 

I seguenti valori di indice di rifrazione e di grandezza particellare si riferiscono ad alcune delle componenti della carta:

 

SOSTANZA

INDICE DI RIFRAZIONE

GRANDEZZA PARTICELLARE

Aria

1,00

.

Acqua

1,33

.

Cellulosa

1,55

.

Cariche (CaCo3, Caolino Talco, CaSo4)

1,5/1,6

Tra 0,25 e 10 micron

Biossido titanio

2,56/2,76

Tra 0,2 e 0,5 micron 

Se tralasciamo per il momento il biossido di titanio, sia per il suo costo assai elevato che per altri effetti non graditi, vediamo che l'indice di rifrazione che più si differenzia da quello della cellulosa è quello dell'aria. 

Per ottenere un foglio con la maggior disuniformità ottica possibile converrà perciò lasciare la maggior quantità di aria tra le fibre. 

Da fibre morfologicamente diverse si ottengono carte carte con differenti gradi di opacità.

· Una cellulosa a parete sottile, nastriforme, che consente vaste aree di contatto tra fibra e fibra, tende a formare un foglio assai compatto ove le soluzioni di continuità, cioè le disuniformità ottiche, non sono numerose.

In questo foglio sono perciò minori gli spazi tra fibra e fibra che possono essere occupati dall'aria; la luce che lo attraversa non subirà più di tante deviazioni. L'opacità non sarà un suo punto di forza.

· Una cellulosa a parete spessa, tubuliforme ed abbastanza rigida, con minori aree di contatto tra le fibre ha più volumi liberi che possono essere occupati dall'aria.

Il foglio che ne risulta avrà, rispetto al precedente, un maggiore numero di soluzioni di continuità che, provocando numerose deviazioni della luce che lo attraversa, lo renderanno più opaco. 

Anche il materiale di carica può però accrescere l'opacità del foglio in quanto, disperdendosi uniformemente nella massa, creerà, grazie alle sue ridottissime dimensioni, un numero elevatissimo di interfacce aria-carica e quindi ulteriori deviazioni dei raggi luminosi.

La dimostrazione di quanto sia importante per ottenere alti valori di opacità la differenza tra gli indici di rifrazione la potrete avere bagnando un foglio di carta e constatando che, bagnato, esso risulta più trasparente. È accaduto che l'acqua ha riempito nel foglio buona parte dei vuoti d'aria e gli indici di rifrazione degli elementi presenti si sono modificati nel seguente modo: 

Foglio asciutto

MEZZO

INDICE DI RIFRAZIONE

Fibra

1,55

Aria

1,00

Carica

1,5/1,6  

Foglio bagnato

MEZZO

INDICE DI RIFRAZIONE

Fibra

1,55

Acqua

1,33

Carica

1,5/1,6 

È diminuita la differenza dell'indice di rifrazione tra un mezzo e l'altro e questo ha provocato un aumento della trasparenza. 

Se si vogliono opacizzare carte paraffinate, oppure carte calandrate a caldo, nonostante che in esse venga enormemente ridotta la quantità d'aria contenuta nel foglio, è necessario ricorrere all'impiego del biossido di titanio come sostanza di carica. 

Per capire immediatamente questa necessità si supponga di eliminare tutta l'aria contenuta in un foglio compattato in modo ideale, caricato con cariche usuali (caolino, carbonato, ecc.).

In esso le fibre saranno a contatto con miriadi di particelle di carica, ma queste zone di contatto non rappresenteranno discontinuità ottiche rilevanti in quanto i loro indici di rifrazione sono assai simili.

Il foglio sarà trasparente.

Ma se la carica sarà costituita da biossido di titanio, che ha un indice di rifrazione di 2,56/2,57, data la elevata differenza tra gli indici di rifrazione, il foglio risulterà opacizzato.


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CARTE A BASE MACERO

Da alcuni anni si parla molto di carta riciclata. Il motivo di questo interesse è legato sia all'aspetto ecologico che a quello economico. Infatti l'uso delle materie seconde (maceri) limita il ricorso alle materie prime vergini e contemporaneamente riduce la quantità di materiali destinati alle discariche con abbattimento dei costi di smaltimento. 

Forniamo alcuni dati statistici per meglio conoscere il problema e l'importanza della raccolta differenziata del macero prima che confluisca nei rifiuti:

• ogni anno vengono avviate alla discarica in Italia oltre 1.000.000 di tonnellate di quotidiani e periodici e circa 100.000 tonnellate di stampati la cui raccolta fornirebbe altrettanta materia prima di qualità alle cartiere italiane.

Il tasso di raccolta italiano è in assoluto il più basso in Europa (28% contro 58% in Germania).

Poiché i materiali cellulosici rappresentano tra il 25 ed il 30% dei rifiuti solidi urbani e tale quota è crescente, le amministrazioni locali sostengono un onere elevatissimo - a carico della collettività - per avviare in discarica tale materiale;

• per produrre circa 6,8 milioni di tonnellate di carta all'anno - di cui 2,8 di carte per uso grafico - l'industria cartaria italiana consuma circa 3,3 milioni di tonnellate di carta da macero, di cui circa 800.000 tonnellate di giornalame misto.

Oltre 200.000 di queste sono importate, proprio a causa del modesto livello di raccolta interna, con la conseguenza di un più elevato costo del macero utilizzato e di una minore competitività dell'industria cartaria italiana rispetto alla concorrenza internazionale;

• in totale un milione di tonnellate di macero è importato nel nostro Paese per produrre carta, mentre oltre 4 milioni di tonnellate di carta e cartone vanno in discarica pur essendo recuperabili.

Alla raccolta delle famiglie si aggiunge quella effettuata direttamente dalle industrie o tramite raccoglitori specializzati nei centri stampa.

Le fasi del processo produttivo delle carte riciclate sono simili a quelle di altre per le quali vengono impiegate materie prime vergini, fatta eccezione per la parte iniziale della preparazione dell'impasto. 

In questa fase è fondamentale togliere dai maceri i materiali estranei, chiamati contaminanti, come plastica, vetro, ferro, colle, paraffina, ecc. la cui presenza crea problemi alla produzione e condiziona la qualità.

La pasta dopo la spappolatura passa attraverso una serie di epuratori studiati appositamente per carte da macero.

Il procedimento avviene in più fasi in modo da togliere inizialmente le parti più grossolane e via via le più piccole. 

Più il sistema di epurazione è sofisticato e più la qualità del prodotto finito si avvicina a quello di fibra vergine.

Una epurazione accurata è necessaria soprattutto per le carte riciclate da stampa per le quali le esigenze sono maggiori di quelle per altri usi. 

Una volta terminato il processo di epurazione la pasta viene immessa sulla tavola piana della macchina continua e prodotta con la stessa tecnica delle altre carte.

Per produrre carte con un sufficiente grado di bianco, partendo da materie prime meno costose, si ricorre alla disinchiostrazione, con la quale è possibile togliere l'inchiostro presente nei maceri.

L'Italia, povera di risorse forestali, ha sviluppato molto la tecnica per l'impiego delle carte da macero nel settore dell'imballaggio e vanta una notevole esperienza e tradizione.

Solo da alcuni anni si producono carte riciclate anche per il settore grafico. L'evoluzione tecnologica e il cambiamento di mentalità dei consumatori hanno favorito lo sviluppo di queste ultime e pur essendo ancora agli inizi i risultati ottenuti sono positivi. Infatti le qualità che si producono sono veramente valide e per alcuni usi possono essere utilizzate in sostituzione di quelle di fibra vergine.

La produzione di carta riciclata non inquina purché le cartiere abbiano attrezzature adeguate per il trattamento sia delle carte da macero che delle acque di scarico e dei residui di lavorazione.

Importante sottolineare, a conferma della ecocompatibilità della produzione delle carte riciclate, che i residui di lavorazione (fanghi) possono essere riutilizzati in più settori: industria laterizi, lavori stradali come sottofondi, per emendanti agricoli.

Per concludere, in un mondo di "usa e getta" la filosofia di "usa e riusa" trova spazio anche nell'industria della carta e con risultati positivi perché permette la valorizzazione di materiali e prodotti alternativi.