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Il Candelaio
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Il
Candelaio venne scritto da Giordano Bruno durante il suo soggiorno a Parigi,
nell’estate del 1582. Esso si presenta come l’unica commedia scritta dal
Bruno. Infatti, Giordano Bruno era dedito a scrivere trattati filosofici o
dialoghi ed era
impensabile che scrivesse una commedia che, come dice il Giusti nel suo libro
“Sulla vita di Giordano Bruno, un semplice racconto per la semplice gente”
trattasse, nello stesso tempo, “oscurità e lucentezza, intemperanza e
profondità” e che narrasse cose lontane “mille miglia da quel tremendo
profondissimo ordine di pensieri che era diverso e abissalmente inferiore, in
quanto al linguaggio anche, a quello che discuteva dell’infinito, dei soli,
dei pianeti, degli innumerevoli mondi, Dio stesso”. Sempre Giusti ci dice che i giudizi su
questa opera bruniana sono “contrastanti”. Infatti, secondo quello che dice
Giusti, “…esso fu giudicato nel settecento commedia “scellerata e
infame”, e dal Carducci “volgarmente sconcia e noiosa”. Punti di vista,
senza dubbio, e giudizi alquanto affrettati, e, forse, un po’ troppo severi.
Il Croce, infatti, non è d’accordo e negò i caratteri sconci e di noia, e più
tardi Mario Apollonio, con qualche indulgenza, la dichiarò “bellissima e
abnorme…”. Questi secondo Giusti “le critiche” fatte sul Candelaio. Lui
stesso, sempre nel suo libro sopra citato, fa una sua critica, o come dice
Giusti, un suo “giudizio”. Infatti, dopo pochi righi, leggiamo: “… nel
suo insieme, quando eravamo più giovani, la trovavamo sfiziosa e divertente,
anche se in parte di faticosa lettura, che spesso ci faceva smarrire il gioioso
svolgimento dell’azione, che subito ritrovammo nella luce e nello splendore
dei caratteri dei personaggi, scolpiti a tutto tondo che erano una meraviglia…
Comunque, oggi, dopo aver riletto la commedia, con altra intelligenza e ben più
maturo fervore, confermiamo quel nostro lontano giudizio, ancorandoci ad una
aperta riflessione sui diritti e sui bisogni dell’arte, per la quale era pur
necessario quel linguaggio triviale, e spesso volte, osceno che Bruno metteva in
campo… Era rude e aspro realismo. Non poteva essere diversamente per quelle
persone volgari e immorali, quali son quelle che operano nella commedia, che
dovevano di necessità far uso di volgari e immorali espressioni che interamente
si adattassero alla loro istruzione, alla loro intelligenza, alla loro
coscienza. Se Bruno si fosse comportato in altro modo non avrebbe messo in scena
uomini che appartenevano alla dura inquietante realtà cosidetta bassa del
nostro Cinquecento.”.
- Questo è, secondo la critica, il
“Candelayo” (come lo chiama G. Bruno). Ma il Candelayo a chi è dedicato e,
soprattutto, qual è la sua trama? Per la dedica ci viene sempre in aiuto il
Bruno. Infatti, nelle pagine intitolate “Alla signora Morgana B., sua signora
sempre onoranda”, Giordano Bruno esordia dicendo: “Ed io a chi dedicherò il
mio Candelaio? Per mia fé, non è principe o cardinale, imperatore o papa che
mi levarrà questa candela di mano, in questo solennissimo offertorio. A voi
tocca, a voi si dona generosa Morgana…” Ecco a chi dedica il Candelaio; ad
una certa Morgana. Perché ci siamo soffermati sulla dedica? Perché proprio la
dedica risulta il primo mistero che il Bruno ci cela. Lasciamo il mistero della
signora “Morgana” e incominciamo a parlare della trama di questa opera.
Siamo nella Napoli cinquecentesca. Il Candelaio è un certo Messer Bonifacio,
che, nonostante sia sposato con Carubina, spasima per la signora Vittoria.
Messer Bonifacio, insieme a Manfurio, un pedante goffo e credulone, che
sproloquia in latino, e a Bartolomeo, un dilettante alchimista, sono tutte e tre
facile preda di un gruppetto di imbroglioni di vario calibro ( tra i quali
Vittoria, che vorrebbe approfittare della passione di Bonifacio per spillargli
un po’ di quattrini). Bonifacio si affida al mago Scaramurè, affinchè con un
incantesimo lo faccia amare da Vittoria: ma al desiderato convegno troverà
l’indignata Carubina, che, fino ad allora virtuosa, si lascerà convincere
dall’innamorato Gioan Bernardo che non è grave metter le corna a siffatti
mariti. Quanto a Manfurio e a Bartolomeo, vengono sbeffeggiati, derubati e più
volte bastonati.
Questo, a nostro parere il Candelaio, l’opera più criticata e più famosa tra
quelle pubblicate dal filosofo nolano.
Sonetto
Proemiale de "Il Calendaio"
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