"Se ci sarà uno che si proclama offeso, rivelerà con ciò la sua cattiva coscienza e certo la paura" (Erasmo di Rotterdam, Elogio della pazzia)

Fumo e fumatori

 

I1 famoso asserto di Leibniz: "Il tempo presente è gravido di futuro", potrebbe essere così variato: "Il tempo presente è gravido di fumo". Qualcuno, all'inizio del secolo, aveva scomodato perfino Amleto: "Fumare o non fumare? Ecco il problema!". Il fumatore è un virus sociale che si contrae sotto la forza della legge, ma che non muore. Finge, anzi, di obbedire alla legge, ma è senza legge. Tace e subisce, ma in cuor suo emette pernacchie di prima grandezza e nel cervello costruisce sofismi di specie inedita. Perché? Perché è il simbolo del peccato originale, contenendo di quel peccato tutto il codice: il tentativo inconscio, cioè, di annullare i confini tra ciò che è naturale e ciò che naturale non è. Analizziamolo al microscopio e al rallentatore.

Lo scompartimento di seconda classe è vuoto, pulito, quasi profumato. Somiglia a un piccolo Eden. Di fronte a chi entra, ai piedi del finestrino, brillano due ammonimenti: uno, scritto in quattro lingue, per gli alfabetizzati europei che significa "non fumatori"; l'altro, disegnato, per gli analfabeti di tutto il mondo che presenta una sigaretta ricoperta da una croce decussata. Il piccolo domicilio del viaggiatore è "razionalmente" predisposto e il viaggio, in linea di diritto, non potrà che essere felice. "Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l'uomo che aveva, plasmato". Ma anche là si rese necessario un ammonimento, sia pure dato in via orale. Forse l'uomo aveva ancora buona memoria o, forse, Dio non volle aduggiare né col diritto né con l'antiarte il regno della libertà e della verità. E l'ammonimento diceva: "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi, ma non di quell'albero, pena la morte".

Nello scompartimento di seconda classe entrano frettolosi, ma sicuri, il primo, il secondo, il terzo, il quarto viaggiatore. Il primo apre un giornale, il secondo un libro, il terzo chiacchiera sottovoce con il quarto. Il rapporto uomo-ambiente è delizioso. I quattro viaggiatori potrebbero essere - fuori dello scompartimento - dei mostri sociali, ma l'ambiente in cui convivono adesso, in funzione del viaggio, non è fisicamente contaminato se non dall'odore che ognuno si porta dietro per natura. Si sa che i maiali sono pluralisti con tutti gli "odori" naturali dei loro simili, ma si sa anche che diventano rigidamente giustizieri con l'odore innaturale - sia pure incolpevole - di un collega ammalato.

Poi, nello scompartimento, pochi secondi prima della partenza del treno, entra un quinto viaggiatore, è una donna. Si siede, ricompone il respiro alterato da una piccola corsa forzata, esplora l'ambiente, apre la borsetta, ne fruga nervosamente il fondo, estrae una provocante sigaretta bianca con filtro color avorio, vi appicca rapidamente il fuoco ricavato da un accendino arabescato, fuma. Nel racconto biblico, dopo l'Eden, dopo Adamo, entra in scena Eva e poi il Serpente che dialoga in sede privata con lei. Il certificato di nascita del "peccato originale" è abbastanza circostanziato. Siamo di fronte a una libidine interiore soddisfatta in un luogo in cui non doveva essere soddisfatta. Il momento drannmatico, che porta alla contaminazione del nuovo piccolo Eden ricostituito dalla razionalità umana in un scompartimento di seconda classe, si risolve ancora una volta in un falso bisogno vomitato irrazionalmente sull'altro, dopo averlo ignorato come persona, ridotto a oggetto, declassato al rango di non-essere.

Ma come è nato questo falso bisogno? Originariamente da una libidine esperienziale, oggi, di fatto, da una imitazione di. tipo scimmiesco. La storia del 95% dei fumatori è un capitolo della massificazione sociale. L'impatto con l'altro segna le nostre abitudini più di quanto non le segni l'impatto con la realtà. Soltanto prima dell'incontro con Eva, Adamo possiede una attività intellettuale in grado di dare un nome a tutte le cose.

Humphrey Bogart, che fumava a tempo pieno per tutta la durata dei suoi fìlms e che faceva uscire la sigaretta dalla mano posata ora, a coccia ora a bavaglio su tutta la bocca, era una specie di "serpente" edenico nella misura in cui alimentava, nelle generazioni più giovani e persino nei fanciulli, cocenti appetiti di grandezza, di sicurezza, di mascolinità, di emancipazione faustiana, di volontà di potenza in tutti i settori dell'umano. E' curioso notare come il fumatore non trovi felicità piena a fumare da solo. Egli, infatti, ha un antinomico bisogno dell'altro. Se l'altro non c'è, occorre che lo cerchi; se c'è tenta di sopprimerlo. Deve, volta a, volta, superare un complesso di solitudine e affermare la sua volontà di potenza con la spada del fumo. Cesare ha urgente bisogno dei Galli per diventare capitano trionfatore, ma quando li incontra non può non diventare il loro carnefice. Il fumatore, come il capitalista, nell'atto in cui assolutizza la proprietà privata del fumo, cocchiuma il prossimo in nome del pluralismo.

Se voi esplicitate all'attenzione dei fumatore adulto tutta la mappa delle tempeste psicologiche da cui era devastato all'epoca della fanciullezza e della giovinezza, in rapporto al fumo, vi dirà che lui non ha la sensazione di essere un cancro sociale. Il costume è diventato natura in lui, e in lui, come nel pollo di allevamento che è incapace di distinguere il giorno dalla notte, il cibo naturale da quello artificiale, la razionalità si confonde totalmente con l'istinto.

Pascal vede nell'uomo, dopo il dramma dell'Eden, un essere in cui "la vera natura essendo perduta, tutto diviene la sua natura", un essere cioè la cui natura rischia di diventare interamente tributaria del costume. La vita sociale, infatti, è tutta intessuta di "costumi". Si tratta di scelte inizialmente deviate, trasformatesi in dati di fatto che costringono la razionalità umana a ricorrere alla legge per trovare un buco dove nascondere il capo, come diceva Voltaire dei filosofi illuministi perseguitati dai prìncipi conservatori.

Si prenda, a titolo di esempio, il Convento; la cui etimologia richiama il luogo in cui sono adunati i fratelli di uno stesso ideale. Originariamente esso è concepito come una ricostituzione dell'Eden biblico, dove la sigaretta non dovrebbe entrare in nome di nessun pluralismo. Essa, infatti, è fuori dai concetti di povertà, di castità e di obbedienza; i quali concetti Sono, propriamente parlando, delle beatitudini; e le beatitudini sono tutto fuorché sporcizia e massificazione. Eppure, anche qui, se il Convento-Eden è un luogo di delizie fisiche e spirituali, i piccoli Adami e le piccole Eve che vi entrano inizialmente con gli sguardi compunti, con il cuore e le mani pulite, diventano ben presto esegeti corbacchioni della nozione di vizio riferito al fumo.

"Se fosse un vizio - aveva detto Benedetto XV, in una famosa battuta a un visitatore amico - l'avrei anch'io". Il sofisma è di marca clericale e consiste nel far credere agli amici che il vizio è di casa nella interiorità e non nella esteriorità. Si provi, infatti, ad applicare una simile battuta ai colonialisti, ai datori di lavoro contrari al salario familiare dovuto per giustizia, ai sostenitori della guerra giusta e si avrà la misura esatta del sofisma.

Lo stesso Pasolini aveva osato polemizzare col Papa sul concetto di peccato, sostenendo che esso "non consiste nel fare il male, ma nel non fare il bene". L'anima di verità della sua tesi è questa: le nostre azioni autentiche hanno una radice assai lontana,, ed esattamente nel pensiero. Ora, il cristiano che non è in ascesa perché deve diventare perfetto "come il Padre nei cieli" è sempre vizioso. Ma è doppiamente vizioso se cerca, con l'avallo dei moralisti, la tabella-elenco di ciò che non è peccato.

La realtà è questa: i piccoli Adami e le piccole Eve debbono trovare un compenso sempre a portata di mano alle frustrazioni prodotte da un ambiente non liberamente assunto. Qualcuno, infatti, si è messo a fumare per dare un profumo alla solitudine; altri per controbilanciare il vuoto vocazionale; altri per sentirsi almeno uomini nel naufragio vocazionale. V'è anche chi si è messo a fumare per forgiarsi una robusta voce baritonale, sortendo adesso l'effetto contrario. E v'è chi, paradossalmente, guida le assemblee liturgiche con grande maestria, ma con ambigua convinzione, e poi, al termine della sacra fatica fa saltar la testa a dieci cerini per innalzare incenso al suo vero Dio: l'istinto di morte.

Qualche decennio fa il religioso che fumava nella propria cella, all'insaputa dei fratelli, era un ipocrita; oggi, se un religioso si limitasse a fumare nella propria cella, sarebbe semplicemente caritatevole perché non imporrebbe ai fratelli i residui della propria libidine e delle proprie frustrazioni personali. Per i residui organici abbiamo inventato i gabinetti, per i cattivi odori della bocca ricorriamo ai dentifrici, per il fumo non troviamo di meglio che i polmoni del prossimo e senza pudore! Il colmo della contraddizione, nel mondo ecclesiale, è raggiunto dal piccolo esercito di quei "novatori" che dicono di voler stare con i poveri, di accettare l'inserimento nella loro classe, e che poi vaporizzano chili -e, chili. di sigarette senza che ve ne sia una sola di marca "Nazionale".

Altre pattuglie di "novatori" organizzano convegni in cui emergono oratori che stigmatizzano la mancanza di "fraternità", di dialogo, di rispetto della persona, ma che poi, scesi dal podio, accendono sigarette di quindici centimetri e affogano gli ingenui ascoltatori delle loro verità in una nuvola di fumo, quasi a dir loro: "Per noi siete degli insetti messi in fila, quanto vorremmo vedervi stecchiti all'ombra del nostro io sublimato!". Tutti costoro, ahimè, per puntellare la loro fragilità interiore, si affidano a un dio (il fumo) che non è Agàpe ma lordura e distruzione.

Mark Twain ebbe il buon umore - il buon umore è spesso lo scudo del sofìsma - di dire al medico, che lo aveva sorpreso a sacrificare al suo idolo (la sigaretta), che lui, fumandolo, lo stava distruggendo. Oppure ripeteva in giro che nulla era tanto facile al mondo quanto smettere di fumare, come lo provava il fatto che lui avesse smesso almeno cinquanta volte!

Ma torniamo al quotidiano per misurare ulteriormente la conformazione mentale del fumatore. "Posso fumare?", chiede una gentile signora seduta nel primo sedile, entrando a destra, del fatidico scompartimento per "non fumatori". Il viaggiatore di fronte, un po' risentito, osserva: "Lei mi chiede il permesso di poter infrangere la legge scritta, dopo aver infranto quella non scritta". Silenzio di tomba. Poi ancora il viaggiatore di fronte, quasi sillabando: "Ecco un costume italiota: si ammorba il prossimo infrangendo la legge e poi se ne cerca la copertura compiacente e mafiosa". Silenzio infernale. Poi, sempre il viaggiatore di fronte, quasi catechizzando: "meravigliosa signora, cristianamente parlando, lei, in quanto persona è redimibile e merita tutte le attenzioni della carità; ma in quanto muscolo fumante che chiede alla propria vittima (il prossimo) il permesso di poterla contaminare è un demone meritevole dell'Abisso". La gentile signora proietta sul viaggiatore di fronte una lunga boccata di fumo e, uscendo dallo scompartirnento, mormora meccanicamente: "Bella carità cristiana la sua!". Il viaggiatore di fronte, si affaccia sorridente sul corridoio e precisa: "Il cristianesimo è carità nella verità, perché una carità fuori della verità fonda una società a delinquere".

E tuttavia, il più delle volte, è l'uomo che se ne infischia e della legge e del prossimo. Eccone uno - di nome legione - con la gamba destra a cavallo su quella sinistra, immerso nella nube di una Marlboro appena entrata nel forno. Il più coraggioso dei viaggiatori gli mostra, con un sorriso assai vicino al sarcasmo, il fatidico appello del codice: "Non fumatori". Lui, l'uomo-legione, risentito, offeso, replica: "A lei dà fastidio il fumo?". "Non è questo il punto - risponde il più coraggioso dei viaggiatori -, qui non si deve fumare, indipendentemente dal fatto che io ne tragga fastidio o piacere". L'uomo-legione, con i muscoli del viso tesi, insiste: "Scusi, mi dica se a lei dà fastidio il fumo". Il più coraggioso dei viaggiatori, con un pizzico di impazienza nella voce, spiega: "Lei sbaglia tutto, perché si rifiuta di compiere un dovere dal quale io non posso dispensarla in alcun modo". E dopo una breve pausa, aggiunge: "Senza dimenticare, in ogni caso, che lei, prima di accendere la sigaretta, doveva chiedere, secondo la sua stessa logica, il permesso al suo prossimo". L'uomo-legione, frastornato da questa insolita dialettica, si alza, va nel corridoio, lo riempie di fumo, torna a sedersi.

Poco dopo, una donna, vestita di blu, estrae il cestino da viaggio e mostra chiaramente di volersi sedere vicino al finestrino; perché lì - sembra dirlo con i gesti - la mensolina le avrebbe reso più confortevole il pranzo. Il più coraggioso dei viaggiatori intuisce quel bisogno e compie l'ambasciata presso l'uomo-legione; il quale, con un bel "si figuri", cede il posto alla signora vestita. di blu. Mezz'ora dopo, a pranzo finito, il più coraggioso dei viaggiatori dice alla signora vestita di blu: "Lasci tornare il signore al suo posto". Ma lei, col viso un po' arrossato, sorpresa dall'invito, risponde: "Se non me lo chiede lui, vuol dire che rinuncia". L'uomo-legione, offeso da quel "lui", interviene con impeto: "E' lei che deve fare il suo dovere, dopo aver chiesto una cortesia; non debbo essere io a chiedere per favore ciò che lei, ripeto, deve fare per dovere". Il più coraggioso dei viaggiatori si scuote di dosso un incipiente pisolino, guarda l'uomo-legione e sembra dirgli: "Quando non deve difendere i suoi vizi, ma affermare il proprio orgoglio di essere pensante, l'uomo riesce anche a ragionare rettamente!".

Ma negli scompartimenti dei treni per "non fumatori", specie in Italia, accadono altre cose ancora. V'è, per esempio, la signora di discendenza vittoriana o nostalgica della belle époque che riesce a far spegnere la sigaretta a quei certi fumatori che non hanno più memoria nè della legge nè del prossimo; ma che poi, dopo aver iniziato i suoi colloqui culturali con un signore a lei affine sul modo di concepire i rapporti socio-economici, resta muta e passiva quando costui, incurante dell'universo, estrae, da una scatoletta d'oro, una lurida sigaretta da cento lire e gliel'accende, con infinita eleganza, sotto il naso diventato, improvvisamente, impudico. Che cosa è sopravvenuto? L'amicizia ha ucciso la verità e ha lasciato passare l'iniquità.

Si applichi alla vita sociale questo strano capovolgimento di prassi e si vedrà quanto sciocco e ambiguo risulti il nostro nervosismo contro il malcostume politico, le disonestà professionali, le rapine, ì rapimenti e così via.

Soltanto Gesù Cristo ha saputo chiamare "Satana" e "privi di senno" i suoi amici. Non v'è delinquente al mondo che non abbia un amico, e non v'è amico che non abbia un altro amico. Ciò spiega la nostra irritazione e la nostra connivenza nei confronti del male. Cristo non protegge mai il deviato, gli propone la salvezza e cioè la conversione. Noi, invece, proteggiamo incondizionatamente gli "amici", anche se sono delinquenti. Non solo, ma arriviamo a chiedere la pena di morte per chi non conosciamo e chiudiamo gli occhi su quello stesso delitto quando è commesso da un nostro amico. Ci illudiamo di amarlo e costituiamo con lui, eo ipso, una pericolosa società a delinquere.

V'è anche una categoria di fumatori specializzati nell'arte di costruir sofismi. Anziché mettere in questione il loro comportamento si sforzano di presentarlo come altamente razionale.

Ecco, per esempio, quel signore coi baffi, figlio incolore di una moda sempre ricorrente. Prende posto, in modo acritico, nel fatidico scompartimento per non fumatori. Si alza, apre il finestrino per metà, si siede di nuovo, dà un'occhiata vagabonda ai titoli del giornale, sfoglia rapidamente, quasi degustandola, una rivista della serie porno, la infila, sotto la coscia e fa scivolare la mano in tasca, da dove tira fuori una sigaretta unita a un accendino di rara architettura. Il viaggiatore accanto, aspetta che l'intenzione del signore coi baffi si renda irreversibile - il fumatore sofista, infatti, arriva anche ad accusare di giudizio temerario chi osa fermarlo prima del fatto compiuto e, a volte, sorpreso con la sigaretta in bocca e con l'accendino in mano già in fiamma, grida al suo "catone" che a lui piace, per sport, tenere la sigaretta spenta in bocca e l'accendino acceso in mano, - lo guarda e gli mostra affabilmente il divieto espresso in lettere e in simbolo. Ma lui, il signore coi baffi, fa notare, al signore accanto, che il treno è fermo e che il finestrino è aperto. Il signore accanto precisa, però, che il divieto non dice: "Vietato fumare quando il treno è in moto o quando il finestrino è chiuso", ma dice semplicemente "vietato fumare". "Vedo che lei è un filosofo", replica amaramente il signore coi baffi. "Almeno tanto quanto lo è lei", replica subito il viaggiatore accanto. "E se io fumassi egualmente?", insiste, offeso, l'uomo coi baffi. "In questo caso - sottolinea il signore accanto - dovrei chiederle quale religione o quale ideologia professa". "E se io le dicessi che sono un ateo?", risponde subito il signore coi baffi. Ma il signore accanto: "In questo caso avrei la prova di ciò che è l'ateismo: il disprezzo e la negazione dell'Altro!". Il signore coi baffi si divincola: "E se io dicessi che sono un credente?". "In questo caso lei agirebbe contro gli insegnamenti della sua fede religiosa, perché non v'è religione al mondo che in linea di principio insegni a macerare i polmoni al prossimo e a disprezzare le leggi più elementari della convivenza". Il signore coi baffi, allora, grida: "E le mie esigenze dove posso soddisfarle?". "Se sono dannose al prossimo in nessun luogo dove è il prossimo, oppure dove lo ordina la ragione o la legge". Dopo un attimo di pesante silenzio, il signore accanto chiarisce con un esempio: "Se io sentissi l'esigenza di. suonare una tromba stonata mentre viaggio in treno, potrei soddisfarla tale esigenza, in questo scompartimento?". Dopo un breve silenzio, denso di riflessione, il signore accanto attacca a fondo il fragile castello del sofista coi baffi: "Dopo aver invocato, come il maiale, il concetto di pluralismo potrei dire ai miei compagni di viaggio: "se non vi piace il suono di una tromba stonata uscite da questo scompartimento". "Ma io la manderei al manicomio", brontola sottovoce il signore coi baffi, dimenticando di essere lui il simbolico trombettiere.

In altri casi - specie se il protagonista è di sesso femminile - il sofisma si focalizza su elementi casalinghi, per es. sulla cassettina metallica dei rifiuti. Una signora cui viene mostrato la scritta "Non fumatori", mentre sta già nebulizzando lo scompartimento, si chiude nervosamente in se stessa, emette due grosse nubi di fumo e poi trionfante: "Ma qui si può fumare... c'è anche il portacenere lì, non lo vede?" "Ma quella - risponde una voce molto pacata - è una cassetta per piccoli rifiuti, non è un portacenere". Per evitare l'errore dei sensi, Cartesio si era appellato alla roccia sicura del Cogito ergo sum, ma aveva poi finito per aprire la porta all'idealismo; il quale se ne strafotte della realtà oggettiva. Il fumatore è ultra cartesiano perché dice in cuor suo: "Fumo ergo sum, mentre gli altri esistono nella misura in cui li faccio sopravvivere io".