23 febbraio 1986

Luca (9, 28-36) II^ di Quaresima

[ agostino · conversione · fine · mafia · mezzo · miracolo · monica · pietro · preghiere · religiosi · sacrificio · sant'agostino · tabor · tentazione · trasfigurazione · vino ]

Prima di iniziare ho da chiarire un piccolo problema. Intanto benvenuti: son due settimane che non ci vediamo; in un certo senso avrete detto: il Padre è morto. Non morto, ma sempre morituro, in ogni caso. E questo volevo dirvi: mi capita oramai da vario tempo di udire la notizia di persone che frequentano assiduamente questa messa, venute a mancare ai loro cari. Qui, ultimamente, due persone sono venute a dirmi che è morto un certo Piero Romani che io, magari avrò visto, ma al quale non saprei annettere il nome. Se la signora è presente (pare che sia uno tra gli altri che mi hanno dato il sangue all'epoca, quando io mi trovavo appunto in difficoltà fisiche), ora a questa signora faccio le mie condoglianze.

Poi, la settimana passata, notizia ancora più clamorosa (infarto, credo) muore il signor Carlo Piròla. Se la figlia, che mi ha telefonato, è qui presente (e mi scuso se non sono riuscito a presenziare il funerale, per motivazioni che ella sa), faccio qui le mie condoglianze a lei e alla famiglia, e le faccio a nome di tutta l'Assemblea. Perchè indubbiamente molti di voi avranno conosciuto questa cara persona che, mi dicono, non ha mai perduto una di queste messe delle ore 11.

E, a proposito, ecco che cosa volevo dirvi. Voi vedete come io non dica mai il nome dei defunti durante la messa delle 11, perchè questa messa è riservata all'Assemblea; l'ho già detto e lo ripeto: la messa è per voi, per voi che siete qui presenti. Da ora in poi però, visto che ci sono oramai tutti questi casi, sarebbe mia intenzione (sperando che poi non accadano abusi) di dire il nome dei morti durante la settimana o le due settimane prima della messa che io dico. Come in questo caso, io oggi dirò il nome di Pietro e il nome di Carlo, perchè sono gli ultimi due morti in questo ultimi tempi recentissimi. Quindi prego coloro che hanno questa coscienza, di avere un morto tra coloro che frequentano questa messa delle 11, di darmi il nome, di dirmelo, e io, nella messa della domenica dedicherò il ricordo dei morti a queste persone.

Oggi faremo una eccezione, ma ve lo dico con grande rincrescimento. Accanto a questi due nomi ne dirò un altro, perchè il Padre Superiore è venuto a dirmi che è morto un mese fa un ragazzo in un incidente stradale; allora c'era questa messa libera, e la signora è venuta e tramite il Padre Superiore mi dice appunto di fare il nome. Quindi udirete anche il nome di Matteo. Però, ho detto al Padre Superiore con un certo volto rabbuiato: attenzione a queste sorprese. Perchè? Perchè poi la mafia nasce qui. E' inutile che noi ce la prendiamo con i grandi eventi; il concetto di mafia nasce qui. Ed è un abuso sui mezzi (sarà questo tutto il Vangelo di oggi) che diventano dei fini. Quindi questa grande smania di far sì che il nome venga detto nella messa delle 11, o comunque sia sempre nel giorno di domenica, quando nel giorno di domenica vi ho detto che dovrebbe restare sovrano questo principio, almeno qui, nelle chiese dei religiosi. Nelle parrocchie poi, può darsi che ci sia un altro tipo di struttura, che voglio rispettare (se fossi parroco, certo, organizzerei anche tutte queste vicende).

Adesso veniamo a noi, non tanto lontano da quello che vi ho detto. La trasfigurazione. Ben lungi da me il portare l'attenzione sull'aspetto miracolistico, anzi vi dirò subito che nego, nego che sia avvenuta in questi termini. La trasfigurazione che cosa è? E' la condensazione di alcuni concetti in una narrazione simbolica dove entrano elementi miracolistici. Punto e basta. E questo tentativo letterario è il più spinto probabilmente in tutta la narrazione evangelica, per dimostrare l'identità di Gesù e per qualificarlo rispetto a tutta la Storia sacra. Gesù chi è? E' il figlio di Dio, superiore dunque a Mosè e a Elìa, i quali riassumono la Legge e la Profezia. Ma, se avete udito nella lettura del testo, per due volte San Luca continua a ripetere: appaiono due uomini, Mosè ed Elìa, due uomini. Dunque Mosè ed Elìa, per quanto grandi siano, sono due uomini. E Gesù li supera di gran lunga, parla con loro, dunque a tu per tu; non sono quei mostri sacri -vorrebbe dire San Luca- di cui si può pensare. No, sono due uomini con cui Gesù parla, con cui Gesù tratta, per così dire, a tu per tu.

Ma -ecco l'altro punto- questo due uomini, sia pure profeti (e qui non vengono qualificati come tali) sono profeti a carico (come si dice), cioè parlano di Gesù come di colui che concluderà la rivelazione morendo a Gerusalemme. Dunque questi signori altro non sono (e in questo racconto si può riassumere tutta la polemica) che dei battistrada di Gesù Cristo. Questo è tutto il valore della trasfigurazione. Allora, mi raccomando, non stiamo lì a guardare il colore della veste di Gesù, non stiamo lì ad ascoltare ciò che usciva dalla nube. Niente nube, niente veste, soltanto concetti.

Ciò che stupisce invece sono gli Apostoli, e ciò che stupisce è questo Pietro. Questi Apostoli, dunque il fior fiore, tutti e tre ci sono -Giacomo, Giovanni e Pietro- capiscono fiaschi per fischi (mi pare che il proverbio dica: sì, ho capito, fischi per fiaschi; ma qui ho paura che bisogni rovesciare: questi signori hanno capito fiaschi per fischi). Già, laddove c'è di mezzo un "miracolo"... ma è mai possibile che di fronte a un miracolo, se fosse tale, si capisca fiaschi per fischi, o Roma per Toma. Eh, no. E allora Pietro in tutta la vicenda fa la parte del pollo: "Facciamo qui tre tende" Ahi ahi. Ma in che cosa consiste, diciamo così, la comicità della sortita? Ma dovrei dire: in che cosa consiste la enormità della sortita di Pietro. Consiste nell'evidenziare la cosiddetta tentazione del bene. Ahi ahi, "Fermiamoci qui". Gesù si propone di rendere loro sopportabile la tragedia di Gerusalemme (vogliamo tradurre? Gesù si propone di far capire loro che la redenzione passa attraverso un certo sacrificio) e Pietro fa del Tabor un motivo di godimento. "Fermiamoci qui", che cosa vuol dire? Vuol dire non arrivare mai più là. "Fermiamoci qui" vuol dire facciamo il piccolo picnic sul prato, quando dovevamo scalare la montagna. E se questo picnic si trasforma in un pranzo che dura due, tre, quattro, cinquanta giorni e tutta la vita, allora addio monte da scalare. Ed ecco allora tutta la sovversione. Costui, questo piccolo delinquente e mafioso (Pietro in questo caso è mafioso) ha trasformato un mezzo in un fine. Questa si chiama mafia. E questa è l'enormità di tutta la nostra vita cristiana. Noi credevamo che la vera tentazione fosse quella di domenica passata. Adesso vi dirò: no, no, è questa, è questa la vera tentazione del credente. Perchè? Pure di evitare la conversione, che implica rinuncia, noi facciamo tutte le capriole che la religione ci suggerisce.

Esemplifichiamo. Se io chiedo o se io dico a un alcolizzato: "Nell'ipotesi che il demonio ti dicesse, quando hai sete, di' a questa acqua di trasformarsi in vino, e io te lo concederò". L'alcolizzato, se è credente (perchè purtroppo le due cose possono combinare, e combinano molto bene, tant'è che tra gli alcolizzati ci sono anche dei religiosi), allora mi dirà costui: "No, no, io non voglio il mio vino dalla mano del demonio. Io voglio bere onestamente il mio vino, senza averlo dalla mano di Satana". Ecco la tentazione di domenica passata. Ma se voi gli dite: "Amico, fratello, guarda che il vino ti fa male; io vedo che dopo che tu ne hai bevuto mezzo bicchiere, già traballi e dici delle stupidaggini". Allora egli diventa buio in volto, anzi vi deride, e vi dice che il vino gli fa bene, e che il vino lo ha creato Dio, e che Noé ne ha bevuto anche lui, e che se voi gli togliete il vino lui diventa nervoso, lui diventa cattivo. Ricatto tale. Vedete, la scelta fra due mali: "No, se io non bevo uccido una persona!"

Eh, l'alternativa fra due mali... ecco la definizione del Tabor. Avete capito adesso in che cosa consiste la tentazione del bene? Nel trasformare un mezzo in un fine. In questo modo la conversione è bloccata per sempre. Quel signore, quel religioso, continuerà a fare delle pratiche pie, a dire rosari, e tante altre cose di questo genere, ma non si convertirà mai più. Il Tabor è diventato un fine, e il Calvario te lo mando a salutare.

Ma voglio essere ancora più crudele, giacchè siamo in Quaresima. Accade in questi giorni che nelle comunità religiose ci si riunisce per decidere quali opere penitenziali in concreto dobbiamo fare per onorare la Quaresima, e così via. Allora, ecco, vi riassumo. Dobbiamo digiunare, rinunciare a un po' di carne, anziché mangiarla tutti i giorni torniamo alle vecchie consuetudini, quando si mangiava soltanto due volte alla settimana? Oppure rinunciamo a un po' di vino? Una volta si passava poco, adesso vedo che non c'è più misura. E tocchiamo i due punti nodali. A questo discorso si dice: ma come sui fa, uno ha un'esigenza, l'altro ne ha un'altra. E allora a un certo punto si dice: "Ma sì, quello che conta è la purificazione del cuore, è questo che ci santifica davanti a Dio; quindi ciò che vale non è il sacrificio, ma è invece il mutamento dell'anima." Grazie, grazie, ma il mutamento dell'anima dovrebbe dimostrarsi poi appunto con una vita nuova. E sicché a quel punto si accantona, con quelle motivazioni che dovrei squadernare ancora .. ma non ho tempo, ho da dirvi delle altre cose. E si ripiega sempre sul rito religioso. Si dice: "Ecco, facciamo una bella veglia di preghiera, e poi facciamo il ritiro spirituale ogni giorno, vedi..." Certo, certo a questo punto tutti ci stanno, perchè poi alla fine, finito il bla-bla che appartiene (devo dirlo qui) ancora alle opere (e così è nato il sabato presso gli Ebrei, che era diventato un assoluto, un mezzo che diventa un fine, e così via). Perchè dopo il bla-bla si corre a mangiare e a bere e a fare festini, e a fumare -coloro che fumano- 40 sigarette anziché magari 20, perchè devono risarcirsi della piccola fatica compiuta nel fare queste preghiere. Così ho dato la lezione ai miei confratelli, sperando indirettamente di darla anche a voi.

Non voglio dilungarmi oltre. Sono soltanto a un quarto della mia predica. Debbo scegliere, non voglio rinunciare all'ultimo episodio, così la predica si riduce soltanto a un episodio, ma ce n'è già a sufficienza. Adesso avrei dovuto esaminare, dal punto di vista filosofico, la questione dei fini, che attraversa, diciamo così, come febbre tutto il discorso moderno. Vedete, discorso allettante, mi ci vorrebbe mezz'ora. E, cominciando da Lucrezio, dovrei dirvi appunto la critica ai fini, poi arrivare fino ai grandi autori, -li cito: Marx, Freud e Nietzche-, i quali negano appunto, sotto altri profili, che siano dei fini nell'esistenza stessa. Accantoniamo tutto questo... Poi avrei dovuto dimostrarvi nei tre punti nodali -nel sesso, nel danaro, nel potere- come la definalizzazione, o come la sostituzione dei mezzi ai fini sia, in fondo, la disgrazia di tutta la nostra convivenza. Episodi da nulla, ve lo dico. Per esempio, anni fa, qui a Reggio Emilia, non c'era un tipo che aveva fatto il ragionamento definalistico (lo chiamo così) sulle lastre radiologiche? Mi pare che in quelle lastre ci sia dell'argento. Ora, questo signore andava a depennare... aveva fatto non so quanti chili di argento... e in questo caso, ecco, una cosa che è destinata per un fine ben preciso, viene qui colpita nella sua essenza, nella sua definizione, ed ecco che il mezzo per costui diventa un fino: lui ci ricava appunto l'argento per i suoi affari, quando invece questo era destinato per una funzione medica ben precisa.

Il racconto di cui voglio farvi partecipi oggi è uno dei più belli di tutta la letteratura cristiana, e riguarda la madre di Sant'Agostino. Io vi ho parlato molte volte di quella donna, qui. Oggi tocchiamo uno dei punti più dolenti e più interessanti della sua vita. Ora, questa donna non è nata santa, questa donna è diventata santa, e adesso vi dirò come. Questo si trova nelle Confessioni di Sant'Agostino. Badate, io delle prediche ne ho sentite fin da ragazzo, oramai saranno cinquant'anni che ne ascolto: non ho mai sentito un predicatore che abbia utilizzato questo episodio. Ve lo racconto. Dice Sant'Agostino che sua madre era di famiglia benestante; sposa di un marito pagano, lei cristiana, cresciuta cristianamente. Da piccola, in questa famiglia c'era una serva che all'epoca -dice Sant'Agostino- era molto anziana (avrà avuto, poniamo, 80 o 90 anni). Però li aveva allevati tutti: il papà, la mamma, i figli, magari poi anche i nipoti... ci sono questi casi. Ora, questa donna anziana aveva avuto anche l'incombenza di educare la madre di Sant'Agostino, Monica: adesso la immaginiamo piccola. Questa donna diceva: Attenzione, fanciulle, cercate di bere acqua solo quando è necessario (badate che siamo in Africa, siamo in Algeria, e quindi capite, la sete che cosa vuol dire)? Insomma la vecchietta diceva: io vi dò l'acqua solo a pasto, ma fuori dal pasto non voglio vedere acqua. E poi aggiungeva: domani, quando diventerete donne e sarete sposate, diventerete le "capesse" della casa, e allora avrete anche la chiave della cantina, e allora avrete modo anche di accedere al vino... facciamo bene attenzione, perchè poi non vorrei che questa mia rinuncia all'acqua scatenasse in voi il desiderio del vino.

Breve, la madre di Sant'Agostino, dopo questa lezione dice che (badate: è lei che lo racconta a suo figlio, e suo figlio Agostino sentite come trasmette a noi quel racconto): si era insinuato in mia madre, secondo che a me, suo figlio, la tua serva raccontava (Agostino si rivolge a Dio) il gusto del vino. Quando i genitori, che la credevano una fanciulla sobria, la mandavano ad attingere il vino secondo l'usanza, essa, affondato il boccale nell'apertura superiore del tino, prima di versare il liquido puro nel fiaschetto, ne sorbiva un poco a fior di labbra. DI più non riusciva senza provarne disgusto, poiché non vi era spinta minimamente dalla golosità del vino (già: io, per esempio, ho avuto il rifiuto del vino da piccolo perchè non era dolce...), bensì da una smania indefinibile, propria dell'età esuberante, che esplode così, per gioco, e che solo l'autorità degli anziani reprime di solito negli animi dei fanciulli. Così, aggiungendo ogni giorno un piccolo sorso al primo, sprofondò in quel vezzo al punto che oramai tracannava avidamente coppette quasi colme di vino. (Oh Dio, guardate che immagine drammatica della madre di Sant'Agostino da giovane.)

E Agostino dice: "Dov'era finita la sagace vecchietta, con i suoi energici divieti?" Ma ecco qui il punto: "Quale rimedio poteva darsi contro una malattia occulta, se non la vigile presenza su di noi della tua medicina, Signore?" e qui tutto il discorso di Sant'Agostino sulla Grazia. Poi, ecco che cosa accade. L'ancella, che accompagnava abitualmente mia madre al tino, durante un litigio, come avviene, a tu per tu con la piccola padrona le rinfacciò il suo vizio chiamandola con l'epiteto davvero offensivo di 'beona', il che equivale a 'ubriacona'. Fu per la fanciulla una frustata: riconobbe l'orrore della propria consuetudine, la riprovò sull'istante, se ne spogliò, e non ne parlò mai più. Ecco in che cosa consiste la santità. Vedete il colpo di frusta? Diversamente la fanciulla avrebbe messo insieme l'ubriachezza con l'andare a messa, col dire le preghiere, eccetera eccetera. Chiusura: Sant'Agostino dice che quella vecchietta l'aveva fatto con un po' di ira: desiderava esasperare la piccola padrona, e non guarirla. E conclude allora Sant'Agostino: "La considerazione di questo episodio induca chiunque a non attribuire al proprio potere il ravvedimento provocato dalle sue parole in un estraneo che vuol fare ravvedere." D'accordo. Ma, concludo, la cosa grave è che un espediente didattico messo in opera da Gesù -la trasfigurazione- venga inteso a rovescio da persone spirituali, e manipolato (dunque ridotto a fine) per dare soddisfazione alla propria apparente religiosità.