3 novembre 1985 ________________

Marco (12, 28-34) gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?"

[ abramo · adamo · amieto · apartheid · barbaro · bibbia · boeri · comandamenti · dualismo · eràclito · fratellanza · gruppo · hegel · lingue · luciano di samosàta · marco · matteo · natura umana · nazioni · nemico · non-eletti · paese · patria · persona · popolo · preghiera · prossimo · protestanti · religioni · riti · stati · storia · straniero · tucidide · uomo ]

Abbiamo già discusso, in questi anni passati, la novità del contenuto dell'insegnamento di Gesù. Peccato che in questa formulazione di Marco (dico dell'evangelista san Marco) sia chiaro un punto, che è l'ultimo, a cui avrete dato poca importanza, ma che è di una violenza insuperabile per quanto riguarda la connessione tra primo e secondo comandamento (certo è molto più chiaro in Matteo) dove, alla fine, qui si addossano i due comandamenti. Avete notato? "... con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza..." Beh, ci si potrebbe chiedere: "Che cosa rimane poi per l'uomo quando si dice che 'con tutta la forza'...?" Mi pare di aver spiegato una volta che questa è la radice del fanatismo, dove cioè solo Dio prevale sulla scena. Risposta: quando abbiamo dato tutto a Dio, dovrebbe restare la disponibilità per l'altro. E l''altro' è il prossimo. Ma nella versione di Matteo le cose sono più chiare; qui ci dev'essere qualche piccolo pasticcio che non ho tempo adesso di chiarirvi. Perché i due comandamenti vengono addossati e non ci sarebbe novità alcuna rispetto a ciò che insegnavano gli Scribi.

Violentissima invece la questione degli olocausti e dei sacrifici, per cui (poiché non avrò tempo di dirlo dopo, diciamolo subito) il Cristianesimo non sarebbe la introduzione di riti nuovi; sarebbe la caduta del rito. Ma, oserei dire (se non fosse offesa e scandalo per qualcuno) la fine della preghiera storicamente intesa. Facciamo un piccolo esempio. Di solito, si dice: "Adesso diciamo le preghiere" (prima di mangiare, poniamo) Ci sono ancora molti cattolici che lo fanno... noi frati lo facciamo per rito, ma poi accade che mentre si dicono le preghiere uno va a prendere la minestra, quell'altro il pane... questo per dirvi come il rito sia maledetto. Allora ecco la mia posizione. Già, tu dici: "Adesso cominciamo il Padre Nostro". E prima, prima, Dio dove era? Dopo, Dio dove è? Avete capito? Qui c'è la violenza del passo. O il Cristianesimo è una novità esistenziale, dove cade il dualismo fra il momento sacro e il momento profano, per cui la mia azione e una traduzione di una idea, o diversamente siamo costretti ad allinearci con tutte le altre religioni, dove la preminenza della preghiera è certamente superiore a quella dei Cristiani (basta guardare i nostri fratelli musulmani: pregano certamente più di noi).

Scusate questa prima pennellata. Adesso vediamo di affrontare il problema alla sua radice. Luciano di Samosàta (chi studia saprà di quest'uomo) è uno dei pensatori più strani della nostra civiltà occidentale: ha scritto I dialoghi dei morti per esempio (giacché siamo in clima in questi giorni). Quest'uomo vive nel secondo secolo dopo Cristo, dunque conosce i Cristiani. E dice di costoro (cito): "Il loro primo legislatore (Gesù Cristo, naturalmente) ha impresso nei loro animi la persuasione che essi siano fratelli". Testimonianza interessante; come dire: "Ah, questo qui è stato un birbone, perché non è vero che siamo fratelli. E' tutto da dimostrare. Tutte le religioni dicono di amare il 'prossimo', almeno facente parte del gruppo. Dunque, l''altro' è un mistero. E' un mistero, se c'è bisogno di una raccomandazione, se c'è bisogno di dire: "Guarda che quello è tuo fratello", vuol dire che questo non è evidente. Tutto questo ha bisogno di una raccomandazione; oserei dire, dal punto della ragione, di una prova. Perché l'evidenza dice che non siamo fratelli, e forse non lo siamo di fatto, perché non siamo certi di essere uguali in linea di principio, cioè della stessa specie. Avete mai osservato quando due cani si incontrano? A parte il sesso, drizzano il pelo, cominciano ad annusarsi, quel certo brontolìo... e poi si vedrà se si riconoscono della stessa specie. Diversamente è una lite, una lite per la preminenza, per il dominio. L''altro' dunque è un problema per le religioni e per la ragione. Dirò di più: non vi è certezza scientifica di una origine comune, e dunque quella fideistica crea problemi. E' per un atto di fede che noi stabiliamo di derivare tutti da Adamo. Gli Ebrei credevano che tutti gli uomini derivassero da Adamo e da Eva. Ma poi lo dimostrerò: ecco le elezioni. Ma stiamo fermi a questo piccolo dualismo. Eva, che cosa era per Adamo? Vedete il maschilismo? mettiamo sempre qualcuno a dovere giudicare, a dovere decidere della consistenza dell''altro'. La Bibbia finisce per dire che è 'un altro se stesso' ('ossa delle mie ossa'). Ma vedete che c'è un insegnamento dall'esterno, non c'è la prova scientifica. Tanto è vero che poi, disubbidendo a Dio, avviene il decadimento delle relazioni. Le elenco: poligamìa, violenza, dominio (sesso, danaro, potere). I rapporti sono turbati fra i sessi (ed ecco le prepotenze, il maschilismo di cui vi ho parlato, e così via); poi vi è il problema sociale (fra noi e il lavoro dobbiamo mettere un altro: rapporti socio-economici); poi, gran Dio, il rapporto fra i gruppi (e da qui le guerre, fin la violenza, qui comincia la guerra). Sicché, il termine 'prossimo' nel Vecchio Testamento equivale a 'compatriota', cioè membro del popolo. Questo è vero in Israele, questo è vero in Grecia, questo è vero a Roma, questo è vero in tutte le civiltà. E cioè: l''altro Israelita' è il prossimo, dunque l'orizzonte è chiuso dal gruppo, sia esso amico o nemico. Sottigliezza: anche i polli della stessa specie poi finiscono per beccarsi gli uni con gli altri. Insomma, per forza di disperazione almeno vediamo di delimitare un area in cui si possa dire: "Qui c'è il prossimo. Ragazzi, cercate di amarlo." Ma per quanto poi si faccia -ripeto-, una volta selezionati i polli, anche quei polli che avessero per ipotesi tutti le medesime penne (di color bianco o di color nero che sia), dopo vedrete che qualche litigio accade anche lì dentro.

E adesso vediamo dove è la responsabilità di questa incapacità di riconoscerci fratelli. La mia tesi è una tesi violenta, una tesi che sostengo oramai a testa alta, a costo di sconquassare lo spirito di coloro che hanno il culto della Bibbia. Io, ve lo dico subito, non l'ho più. E adesso vi dichiarerò qui le responsabilità della Bibbia e le responsabilità della ragione: le responsabilità della religione e le responsabilità della ragione. E vedremo chi meglio se la cava. La storia sacra inizia -lo sapete- con un uomo particolare. Cito: "Dio disse ad Abramo: 'Non ti chiamerai più Abraham, ma Abraham am, perché sarai padre di una moltitudine'". Ahi, ahi, non padre di una novità; padre di una moltitudine (traduciamo con il termine sociologico più squallido: padre di un gruppo, padre di una etnìa; da cui: etnocentrismo). Un uomo viene dunque estratto dalla serie: "Dio dilesse soltanto i tuoi padri e li amò" continua il testo biblico. Nasce qui il dualismo dentro alla specie: esaltazione di una persona, di un gruppo; condanna degli altri. Tutta la storia sacra è uno scegliere e uno scartare (oso dire: immotivato) da parte di Dio. Per le persone più colte dirò che qui è la radice hegeliana della Storia: la concezione che Hegel ha della Storia è esattamente questa. Senonché egli ha il vantaggio di avere elaborato la sua teoria a lume di ragione, senza avere ricevuto la imbeccata da una rivelazione divina.

Si dice: "Questo amore di Dio per l'uomo rende l'uomo persona". Eh, amici filosofi, troppo in là siete andati. Avete confuso il messaggio evangelico con la Bibbia. Abramo è suo amico (di Dio), Mosè si intrattiene faccia a faccia con lui: tutto questo esalta i cultori della Bibbia, deprime il mio spirito di Cristiano. Problema: se nella Storia si è persona quanto più Dio distingue e privilegia sugli altri, come potrà tale distinzione essere accordata a tutti? Avete inteso dove è difficile il superamento del diaframma? Qui; e per delle motivazione -ahimè- teologiche. Come ogni uomo potrà essere riconosciuto persona e partner singolare di Dio quando questo Dio (cito) "ha amato Giacobbe e odiato Esaù". Come si potrà? Voi direte: "Lei ha il dente avvelenato". Certo che ho il dente avvelenato, ma ho il dente avvelenato in quanto Cristiano, naturalmente; e poi anche come uomo ragionevole. Quando questo Dio è Dio degli Eserciti, di un gruppo che ordina di distruggere un altro gruppo, ecco, mi domando come si potrà creare una fratellanza.

Ebbene, il discorso oramai è scontato, impacchettiamolo brevemente: Gesù sarà l'unico eletto di Dio. Non altri, nessuno. "Tutti gli altri hanno peccato" dirà Paolo. I famosi eletti, che sembravano essere tali, di fronte ai non-eletti sono semplicemente delle ombre e delle figure. E tutti i non-eletti scoprono di somigliare all'unico eletto, il quale assume la forma di uno schiavo, e dice che fare qualche cosa a uno dei più piccoli che è nel bisogno, equivale a farlo a lui. Dunque cessano quelle distinzioni maledette di cui vi ho fatto l'elenco.

Adesso al passo più pericoloso: "Anche i suoi discepoli" (noi almeno vogliamo essere i discepoli di Gesù) "sono stirpe eletta". Noi diciamo, con termine tecnico: "Siamo ecclesìa". Ed ecco, di nuovo, il pericolo: credere di essere buoni per il fatto di appartenere a una Chiesa. Mentre essere Chiesa significa testimoniare appunto questa verità: che non esistono Chiese, non esistono elezioni, non esistono nazioni, non esistono popoli, non esistono patrie, non esistono Stati, ma solo fratelli. Essere Cristiani allora significa mettersi in questa disperata contestazione, contro tutto ciò che ostacola la fratellanza nelle sue più profonde radici (quelle che vi ho dichiarato), e fare qualcosa per attuarla.

Io vorrei avere qui tutti gli alunni delle scuole medie, e proporre loro uno sciopero, lo sciopero che chiamerò 'della lingua unica'. Direi loro: ragazzi, avete fatto tanti scioperi per delle stupidità (magari anche uno sciopero per non aver voglia di studiare); io ve ne propongo uno, sublime, questo: voi direte ai vostri genitori, ai vostri maestri: "Noi non andremo più a scuola fino a tanto che voi adulti non vi sarete decisi a trovare una lingua unica, neutrale, di nessun popolo, per potere finalmente dialogare direttamente con tutti i bambini del mondo". Ecco lo sciopero che io propongo. E cominciamo da qui: il riconoscere dunque che siamo chiusi dentro a gabbie, la gabbia della cultura che fa capo alla lingua, con le sue radici profonde nella etnìa, per cui escludiamo gli altri, oppure, obtorto collo , impariamo la lingua del dominatore. Ma tutto questo non appartiene alla fratellanza cristiana. Secondo (qui non vi propongo lo sciopero perché potrei andare a toccare delle suscettibilità): attenzione a queste celebrazioni delle vittorie. Eh, lo so, gli Italiani sono in un dramma: la Resistenza non è un punto di unità sufficiente, perché ha delle radici plurime, scavando le quali andremmo a ritrovare chissà quali motivi per riprendere la spada gli uni contro gli altri. E allora vedete la intellighenzia dice: "Andiamo a ritrovare un punto di riferimento su cui si sia tutti d'accordo" (già, andate a trovare il 4 novembre, oggi) "per celebrare una vittoria". Il che vuol dire che c'è stato un qualche sconfitto, il che vuol dire che c'è stato un nemico dall'altra parte, il che vuol dire che noi continuiamo, dunque, a mantenere le dilacerazioni. Ai giovani direi: riprendete l'unico testo interessante di tutta la letteratura cristiana, la lettera di Amieto, dove c'è una frase che si può ricordare a memoria: "Per un Cristiano ogni Paese straniero è patria, e ogni patria (quella in cui si trova) è Paese straniero". Ecco guadagnato l'orizzonte ultimo e definitivo della fratellanza.

Poi, dopo la fonte biblica, poche battute sulla fonte razionale. La ragione che cosa ha detto, relativamente a questo problema della fratellanza? Cito un autore o due. Eràclito (tutti lo conoscete, il grande cervellone prima dell'esplosione della filosofia greca) riteneva che la facoltà di pensare razionalmente fosse una caratteristica spiccatamente ellenica. Cito: "Occhi e orecchie sono testimoni deboli per un uomo, se egli ha l'anima di un barbaro". Gli occhi e le orecchie le hanno anche i cani e i gatti, ma non sanno dirvi nulla su di un fiore, non sanno dirvi nella su di un sentimento. Testimoni deboli per un barbaro. Poi ci sarebbe Tucidide, quest'altro cervellone che ha bloccato certamente molte idee fondamentali, ma lui stesso non crede molto alla fratellanza umana, e dice: "C'è da sperare che riunendosi in una polis gli uomini, per analogia, si riconoscano uguali gli uni gli altri, e c'è da sperare che poi si limitino a qualche scaramuccia". Poi conclude: "Finché la natura umana è questa, noi dobbiamo attenderci agitazioni in una città, in un Paese". Lo vedete? Dobbiamo attenderci agitazioni perché la natura umana non ci fa tutti uguali. Questa è la tesi sottintesa. Ci sono schiavi e padroni per natura; uomini e donne per natura; barbari e Greci per natura... eh, lo so anch'io. Su questa stessa verità Gesù inserisce il suo messaggio, e presenta un Dio salvifico, non un dio partigiano. Dio ci ha fatto tutti uguali, noi abbiamo creato la disuguaglianza. Questa è la tesi.

Adesso voglio chiudere rapidamente sulle colpe della Bibbia e sulle colpe della ragione. Vi dico il mio disegno: avrei dovuto illustrarvi come, sul piano della ragione, i passi siano stati fatti, almeno da una certa razionalità romana. Voi sapete che, nel 212 dopo Cristo, Caracalla estese la cittadinanza a tutti gli uomini liberi dell'impero, però con delle eccezioni (che qui non vi elenco) sempre restando fermo quel principio, maledetto, di cui vi ho parlato. Sul piano biblico invece siamo finiti nell'apartheid (o aparthaid ? ancora non ho sentito di preciso, perchè l'origine di questi Boeri è olandese, e sopattutto nordica, fino all'Austria, anche alcuni Altoatesini). Ho qui davanti uno stralcio di una rivista di stampa protestante. E mi fa piacere che sia stata questa rivista a mettere in piazza la situazione con molta chiarezza; il che vuol dire che la intellighenzia protestante si discioglie da tutta questa mentalità. Leggo: "1910, dalla guerra anglo-boera nasce l'Unione del Sudafrica, dominio della Gran Bretagna. Il rapporto numerico tra Boeri ed Inglesi è di 6 a 4; i primi tre presidenti sono Boeri" Questi Boeri -facciamo bene attenzione- sono degli Europei, dei Cristiani europei. Nel 1913 si dà agli Africani il 7% della terra: debbono abitare lì, nel 7%. Poi nel 1930 nasce l'idea della divisione. Nel 1948 questo partito nazionalista diventa governo e regìme. Il 16 dicembre è la festa della repubblica, ovvero del patto secondo Esodo (19, 5-6) (cito): "Sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare, poiché tutta la Terra è mia, e mi sarete un regno di sacerdoti e una nazione santa". E poi ancora si cita Giosué: "Se vi unirete a quello che resta di queste nazioni, e vi imparenterete con loro, e vi mescolerete ad esse, siate ben certi che l'Eterno, il vostro Dio, non continuerà a scacciare queste genti da voi, ma esse saranno per voi un'insidia, un flagello ai vostri fianchi, tante spine negli occhi, finché non siate periti e scomparsi da questo buon Paese che l'Eterno, il vostro Dio, vi ha dato". Signori, questa è storia di oggi, di ieri, di sempre. E credo che sarà anche la storia futura se i Cristiani finalmente non si decidono a misurarsi sulle parole di Gesù.