5 maggio 1985 V^ dopo Pasqua

Giovanni (15, 1-8) "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo"

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Vediamo anzitutto il tono di questo passo. Chi scrive è san Giovanni. Non vi viene il sospetto che san Giovanni sia polemico contro una concezione gerarchizzata della Chiesa di Occidente? Qui in Occidente vi era già un quarto Papa (o perlomeno un terzo), e le cose hanno preso la piega che hanno preso. Una Chiesa fortemente gerarchizzata (oserei dire 'modellata') sulla struttura dell'impero romano, dove c'è al vertice l'imperatore, divinizzato, e poi giù giù fino all'ultimo centurione, e poi la truppa che ubbidisce e che osserva dei comandi. E allora Giovanni da Efeso, nello scrivere questo vangelo, probabilmente vuole opporsi a questa concezione della Chiesa: ed ecco l'immagine dei tralci e della vite. L'altra domenica, se ricordate, c'era di mezzo il pastore, ma intanto però egli dice che le pecore sono sue. E' lui, è lui il pastore vero. La domanda più difficoltosa potrebbe essere questa: è veramente Gesù a dire queste parole? o è san Giovanni che, mediante una immagine, esprime concetti che Gesù aveva dentro? E' Giovanni che forgia il passo, interpretando in un certo modo parole di Gesù? o queste parole sono veramente dette da Gesù? Nell'uno e nell'altro caso, ciò che conta è il messaggio trasmesso da questo quarto evangelo, sul punto preciso che riguarda la definizione della Chiesa.

Qui si insiste sul diretto rapporto del Credente con Cristo. Lo so, è una tesi che desta paura all'interno del Cristianesimo. Perché? Perchè ci sarebbe una corrente protestantica all'interno. Eppure non è necessario essere protestanti per accettare questa tesi. Qui si insiste sul diretto rapporto del Credente con Cristo; altrove invece è presentata una mediazione: la Chiesa, nelle immagini di Pietro, la roccia... la Chiesa come il corpo che diventa fine a se stesso, che anzi ingloba Cristo che in essa si identifica, fino ad arrivare alle dichiarazioni del Grande Inquisitore. Vi citerò poi, nel corso del discorso, Dostoevskij. {...} A un certo momento il Grande Inquisitore dice a Gesù Cristo: "Tu hai dato a noi le chiavi, adesso ti metti da parte perché il governo lo abbiamo noi". Ed ecco allora perché Giovanni dice: "No, no, no. Guai a noi se scindiamo il fedele da un rapporto diretto con il Cristo". Questo non è Protestantesimo, questo è Cristianesimo -diciamo così- della più bella acqua. Mentre la Chiesa dovrebbe essere la parte efficiente del Cristo, e cioè un risultato: Cristo la vite e i Cristiani i tralci con i loro frutti.

Facciamo una piccola appendice a questo discorso. Perché i rami saranno potati? Si dice: "D'accordo... vedete, il simbolo del dolore... Dio manda le sofferenze a chi ama....". Questo genere di ascetica non oserei predicarla con tanta sfacciataggine, anche se è stata predicata. Adesso vi domando: 'perché potare?' Perché non diventino fine a se stessi, mentre devono fare uva, uva, e della migliore specie. Non avete l'esempio, tanto per chiarire questo concetto, di tutte le discussioni che si fanno su queste USL (o unità sanitarie locali). Che cosa succede? Succede che tutti comandano, tutti comandano, un mucchio di capitani e di comandanti e di caporali; e nessuno cura i malati. Ritornando alla vite, avremo un mucchio di tralci, un mucchio di tralci, e poi mai l'uva, mai l'uva. Non so se vi sia capitato di vedere l'uva selvatica abbandonata nella campagna, senza la cura del coltivatore. {...} Io l'ho vista, si era ragazzi, si andava a cercare... senonché, si trovava che cosa? Si trovava una ombra di uva, si trovavano delle bacche, ma non certo degli acini. E questa uva, abbandonata a se stessa, continua a crescere, a crescere, foglie e foglie e su magari qualche grappolino, ma con degli acini molto piccoli, assolutamente immangiabili. Ecco allora il motivo per cui, dice Gesù, "Il Padre pota, pota, pota". Anche questa è una immagine antigerarchica, un'immagine antigerarchica della Chiesa.

Adesso l'altro punto è il fatto che Gesù dichiari: "Senza di me non potete fare nulla". Sia che la frase sia sua, sia che la frase sia di Giovanni, certamente Giovanni, in questo caso grande teologo, ha capito perfettamente l'importanza di Cristo per quanto riguarda la crescita del singolo credente. Un momento di teoria, due minuti, e poi vi porterò le esemplificazioni sui due versanti. I frutti del Cristiano sono il risultato di un rapporto vivo con una persona: Gesù Cristo. No, no, non saranno i vostri rapporti col Papa, o col vescovo, o con me, o col parroco. Con Cristo. I frutti dipendono da lì, e non da quello che ci dicono tutte queste gerarchie. Sarà bene affermarlo, perché poi vedo questi foglietti in giro... qual è il punto ultimo a cui ci si appella? Il concilio, il concilio. Benedetti uomini, volete proprio costringermi a dare una definizione di questo concilio? Non trovate altro di meglio? E prima del concilio, vi appellavate a quell'altro concilio, il Vaticano I, che poi, visto a distanza, è un orrore di principî, dei quali è meglio non parlare. E poi, via via, andando indietro. Ma già fu una disgrazia il fatto di dovere ricorre a un concilio, perdinci (scusatemi se bestemmio, ma qualche volta...). Il fatto che si sia dovuto riunire un concilio vuol dire che c'eran delle spaccature dentro alle coscienze. Eh, lo so: era lì presente Paolo, Pietro... e finalmente han dovuto trovare un accordo. Ma già questo denota che a questo punto la Chiesa non era più questa struttura dei tralci attaccati all'unica vite che era Gesù Cristo. No, c'è il tentativo di diventare un altro albero che cammina per conto proprio, e magari facendo altri frutti che non siano l'uva -tanto per restare nella immagine-.

Dunque dicevo: rapporto vivo con una persona che è Gesù Cristo, e non attenzione a un sistema morale fissato da un corpo legiferante. Tutte le leggi mostrano un cammino, ma nessuna legge aiuta a percorrerlo. Mostrano l'esigenza della giustizia, ma non rendono giusti. Rendono coscienti del peccato e del suo potere malefico, ma aumentano le trasgressioni diventando strumenti di peccato. Osservando delle leggi l'uomo non si stacca mai da se stesso, ma si rafforza nel proprio egoismo, genera in sé la propria giustizia, i propri frutti, e non la giustificazione divina, vale a dire: e non la giustizia divina. Facciamo tanti piccoli animalucci strani, ma mai l'uva, mai l'uva, quella no. {...} Insomma, bisogna diventare partecipi di Cristo e quindi inserirsi in lui. Ecco in che cosa consiste in realtà la Fede, ecco in che cosa consiste in realtà la Chiesa: per diventare creature nuove, capaci di produrre frutti gloriosi, come nel caso è l'uva.

Adesso io vi darò due esempi, molto vicini a noi, relativi a questi due concetti: l'idea probabilmente non giusta (anzi: non giusta) che abbiamo della Chiesa, e vi citerò il cardinale Pellegrino, di cui tutti abbiamo stima. Anche se è stato collocato in una certa area, credo che anche i più tradizionalisti abbiano stima di questo personaggio della Chiesa italiana che in fondo è stato portato a quelle altezze senza avere brigato per nulla. Voi sapete, la mentalità clericale, come è fatta: "Ah, hanno fatto questo qui vescovo; questo qui l'han fatto superiore. Allora deve essere una brava persona" diciamo noi. Senonché ormai siamo arrivati in un'epoca in cui bisogna ragionare a rovescio. "Ah, questo qui l'hanno fatto... allora vuol dire che... c'è qualcosa che non funziona..." Ma in linea di principio si tende a pensare così. Io oramai vi confesso che, vedendo le cose dall'interno, mi sto proprio orientando in questo modo. Dice: "Questo qui, sai... il superiore...". L'ho guardato in faccia, ho detto: 'Speriamo, speriamo che sia una brava persona'. Ma siccome so io come all'intero del mondo ecclesiastico vengono poi creati questi superiori, o anche questi vescovi, o anche questi cardinali, allora ho tutte le buone ragioni per dire: 'Attenzione che non sia il tralcio che si allunga... ma non farà mai uva". Trovo che, in questi giorni, un'agenzia di stampa ha pubblicato una conferenza tenuta da lui alla Università Cattolica (non vorrei sbagliare nella data: si tratta di cinque anni orsono {...}). Tra questi relatori c'era anche il cardinale Pellegrino di Torino. Senonché, quando hanno pubblicato gli atti, mancava la sua relazione. Che era successo? Adesso si viene a scoprire che gli organizzatori avevano chiesto al cardinale di riscriverla, attenuando i toni. Ma il cardinale Michele Pellegrino si rifiutò. Disse: "O la pubblicate integralmente, oppure niente". Questo accadeva nell'anno 1981, cinque anni orsono.

Ora, trovo un'agenzia che finalmente pubblica integralmente quella relazione. Certo, io non vi farò il sunto di quella relazione (anche se me ne era venuta la tentazione); prenderò soltanto quel punto che riguarda direttamente il discorso che noi stiamo facendo, e che riguarda esattamente la struttura della Chiesa. S'era trovato a parlare (sunteggio) con delle persone -diciamo vescovi e cardinali- sulla questione del concilio, come interpretarlo, due modi di interpretarlo (un modo che chiameremo di destra, un modo di sinistra... ma al diavolo queste parole: tutto questo nasconde il fatto di non volere essere i tralci della vite, e di volere fare qualche cosa d'altro da ciò che Gesù invece vuole che noi si faccia). E allora ecco un esempio (parole sue): "Qualche anno fa, al consiglio permanente della CEI (conferenza episcopale italiana) c'era chi criticava fortemente i catechismi che la stessa CEI stava preparando e auspicava il ritorno al catechismo detto 'di Pio X'. Intervenne un nostro confratello, semplicemente con questa domanda: 'E allora, vorreste che ritornassimo alla definizione della Chiesa che dà il catechismo di Pio X?'". Questo confratello si chiamava il cardinale patriarca di Venezia Albino Luciani, che poi diventerà Papa per pochi mesi. {...} "Per me" continua il cardinal Pellegrino "è preoccupante che a dieci anni dal concilio non si tenga conto della rinnovata ecclesiologia, e si vorrebbe ritornare su formulazioni evidentemente sorpassate. Ancora recentemente con quanta insistenza mi sono sentito ripetere anche da vescovi, che condividono pienamente l'idea del concilio, che i laici sono, nel migliore dei casi, come degli esecutori o, se vogliamo, degli ausiliari". Ecco l'immagine della Chiesa che contrasta con la vite e con i tralci. E continua: "E' ancora la vecchia definizione, che forse si potrebbe spiegare in modo favorevole, ma che comunque non può più costituire la base di un impegno laicale di collaborazione all'apostolato gerarchico. Una semplice attività ausiliare, come se il fondamento dell'impegno missionario del laico che condivide con tutta la Chiesa fosse nel sacramento dell'Ordine e non nel sacramento del Battesimo". Non c'è la violenza delle mie parole, ma c'è la violenza del concetto, dovete ammetterlo. Ecco il motivo per cui fu censurata la sua relazione in una pubblicazione diretta dall'Università Cattolica. Questo è il primo esempio, per quanto riguarda la struttura della Chiesa.

Il secondo, dove lo prendo? Per quanto riguarda la necessità della unione di Cristo con il singolo fedele perché vi sia una Chiesa vera, questo esempio lo prendo da Maria Valtorta. E' la prima volta che io ne parlo, e faccio una piccola premessa. Questa Maria Valtorta ha scritto Il poema dell'Uomo-Dio . Una donna rimasta in quel letto, incapace di muoversi per una trentina d'anni. Ora, questa opera vedo che è molto divulgata, io stesso non ho ancora avuto il tempo di leggerla tutta a tappeto, ma ho letto qua e là. {...} Questa donna, stando a letto, ha meditato a fondo i passi evangelici e ha ricostruito tutta la vicenda di Cristo ben al di là di quello che noi conosciamo coi vangeli. E quindi si è permessa di farci vedere delle scene molto più dilatate dell'incontro di Gesù con la Maddalena, dell'incontro di Gesù con Giuda (di cui vi parlerò qui), e ha pagine e pagine che non finiscono mai, analisi anche bellissime, certamente accettabili. Senza bisogno di ricorrere al concetto di una rivelazione particolare di Dio per questa creatura, io la stimo perché è una cristiana che ha riflettuto sul messaggio evangelico, e ha visto forse meglio di quanto non possa vedere uno che vive distrattamente la sua giornata.

Giuda è sorpreso a rubare. Non ricordo più se questo accada a Nazareth, o se a Cafàrnao, o se in casa di Giovanni. Fatto sta che Giuda è preso... gli altri erano fuori, e improvvisamente Giovanni e Gesù entrano in casa e scoprono Giuda mentre stava rovistando per cercare il luogo dove tenevano i danari. {...} A questo punto Giuda è preoccupato di bloccare la notizia, e comincia a gridare: "Giùrami, giùrami che nessuno saprà nulla, e io ti giuro che mi redimerò". Queste parole Giuda le urla a Gesù, ma Gesù replica: "No Giuda, non dire 'Io mi redimerò'. Tu non puoi. Io solo posso redimerti. Colui che prima parlava dalle tue labbra, da adesso può essere muto: il demone, Satana". Quando c'è la corruzione dello spirito umano, ecco che noi personifichiamo il male. Ed ecco perché allora Satana parlava in lui. "Dimmi la parola dell'umiltà" continua Gesù "dimmi 'Signore, sàlvami' e io ti libererò dal tuo dominatore, vale a dire da te stesso. Non capisci che io l'attendo, questa tua parola, più del bacio di mia madre?" Ebbene -conclude la Valtorta- Giuda piange, piange, si contorce, ma non dice mai questa parola. E allora, che significato ha il dire 'Io ti giuro che mi redimerò'? Ecco che cosa è il concetto di Grazia. E' tutto qui. Nessuna cosa al mondo è capace di ricostituire o di guarire se stessa. L'uomo può guarire tutte le cose, può occuparsi di tutte le cose tenute care, ma lui, da sé, non può. Ecco il significato della Grazia, ecco il significato della presenza di Cristo all'interno della psiche di ognuno di noi, vale a dire di ogni credente.

Sono afflitto, perché avevo cose importanti da dire, e sono costretto a chiudere. Avrei dovuto parlarvi adesso di Dostoevskij. Appena un accenno. Per Dostoevskij, che almeno conoscete di fama, sono vari i tentativi puramente naturali di organizzare la società secondo piani prestabiliti. Perché? "Perché" egli dice "la natura dell'uomo è irrazionale". E' vero che l'uomo noi lo definiamo un animale razionale, ma perché vi siamo costretti. Ma nella realtà dei fatti, "tutta la sua vita è compiuta all'insegna della irrazionalità, e cerca la illimitata espansione della propria libertà, anche" dice Dostoevskij "a costo della distruzione e del caos". Da qui l'avversione del grande scrittore al socialismo (che nella fattispecie vuol dire il comunismo) e alla Chiesa cattolica. Questo non mi adonta; credo che egli abbia colto nel segno, nella misura in cui la Chiesa cattolica non è più il tralcio, e noi non siamo più i tralci della vite che è Gesù Cristo. Guardate l'occhio clinico di questo grande scrittore: avverso al socialismo e alla Chiesa cattolica, al papato. Perché? Perché i due movimenti andrebbero d'accordo nell'attuazione di una società scristianizzata. Questo è il colmo, vi rendete conto? Una società scristianizzata, uniforme, dominata con autorità esterna, ed è ovvio che il mondo medioevale cade sotto la lama di questa diagnosi. Dostoevskij ha delle pagine bellissime su Cristo (ecco il ricongiungimento con lui), ma prende le distanze dalla istituzioni, da tutte le istituzioni. La dicotomìa esiste: per questo occorre rifiutare la Chiesa? No, vi voglio rassicurare, no: occorre definirla correttamente. La Chiesa non è una struttura di cui i discepoli sono i gestori (perché diversamente ne faranno chissà che cosa, come è accaduto storicamente), così come i re sono gestori di un regno (e sappiamo come sono andate le cose sull'altro versante). Ma la Chiesa è il prolungamento della vita di Cristo in loro, così come i tralci sono il prolungamento della vite fino a produrre uva.

Termino. Il cristiano, allora (diciamolo con parole precise), cresce su Cristo, non cresce sulla Chiesa. E nella misura in cui cresce su Cristo, forma la Chiesa. Allora vedete che non rifiuto il concetto; voglio che sia lucido sotto il profilo che vi ho descritto. Se questo schema si spezza -credetemi- non c'è più salvezza per l'uomo, ma un nuovo elemento di confusione nella già confusa babele della convivenza umana.