8 aprile 1985

_________ (__, __-__) Lunedì di Pasqua

[ bicocchi · cadavere · giovanni · iacopo · lavèria · malattia · mentoniera · miracolo · morte · panni lini · pietro · preghiera · risurrezione · sepolcro · sìndone · sofferenza · sudario · teista · visione tridimensionale ]

Prima di affrontare, come è mio costume, un tema pasquale relativo a questo lunedì di Pasqua, permettetemi di commemorare brevemente il dies natalis (o il giorno della nascita al Cielo, nella visione cristiana della morte) del maestro Gustavo Bicocchi, assiduo frequentatore di questa chiesa e -credo-, negli ultimi anni, di questa messa, terziario francescano, cristiano di sincera osservanza, che ci ha lasciati sei anni orsono, esattamente l'otto aprile. Diceva lo scienziato Pasteur: "Io non ti chiedo a che razza appartieni, a quale nazionalità o a quale religione. Voglio solo che tu mi riveli quale è la tua malattia". La malattia è un infallibile manometro esistenziale e -oserei dire- teologico. Si saggia, per quella strada, la consistenza esistenziale di ogni teista. Ebbene, la malattia del maestro Bicocchi Gustavo aveva ed ha un nome: sclérosi laterale aliotrofica, ossìa malattia di Chargot: il midollo spinale non alimenta più i nervi, i nervi non alimentano più i muscoli, sopraggiunge un indebolimento generale, la parola si fa difficile, la crisi finale toglie il respiro. Così è morto, fenomenicamente, Gustavo Bicocchi.

Leggo in una nota dai manuali di medicina, questa precisazione: la malattia di cui abbiamo detto è di origine sconosciuta. Sono passati sei anni, non so quali progressi la Medicina abbia fatto (dovrei dire: quali progressi ha fatto la nostra Fede). Bene, qui comincia a definirsi il nostro rapporto con Dio: il dolore, come il sole, fa marcire il frutto guasto, fa maturare quello sano. La malattia incupisce il teista per tradizione, fa crescere le ali al teista per elezione. E credo che il maestro Gustavo Bicocchi fosse un teista per elezione. Un anno circa prima della sua morte ebbi la opportunità di discutere con lui sul tema della preghiera. Preghiera che, nel subcosciente del credente, sarebbe l'arma per sollecitare Dio al miracolo. Credo che pochi santi siano indenni da questa tentazione. Poiché questa tentazione l'ho provata anch'io, credo all'epoca di avergli insegnato, come ho insegnato a me stesso, un altro genere di teologia. E voglio illudermi che egli abbia affrontato la morte dietro la suggestione di queste mie parole. La fede -mi pare di avergli detto- può rendere il credente superiore alla sua malattia. Se il credente si lascia macinare dalla malattia, credente non è più. Ma per combattere la malattia (giacché un male è, come il peccato, giacché dal peccato deriva), più che pregare occorre conoscere il pensiero di Dio scritto nelle molecole dell'universo. E questa è una responsabilità di chi è sano e sincero -a sua volta- teista. La preghiera tutt'al più (anzi, in questo è la sua specificità) può darmi la forza spirituale per portare e per impiegare il dolore. Io, signor Bicocchi -mi pare di avergli detto- non le dirò mai: 'Dio, nella tua sventura, ti ama'. Non sarò mai il predicatore che dirà al letto del sofferente credente queste parole. Ma neanche al letto del sofferente ateo, non dirò mai 'Dio, nella tua sventura, ti ama'. Forse potrò dirgli: 'Questo male non corrisponde al suo disegno d'amore'. Allora il discorso cambia. Certo non oserò mai dirgli: 'Nella tua malattia vedi una prova'. E che cosa le dirò, signor Bicocchi? Ecco che cosa le dirò, con una certa tranquillità: 'La tua malattia è una carenza dovuta alla nostra ignoranza dell'opera di Dio e alla nostra generale stoltezza tutta volta al godimento delle cose prima che alla loro conoscenza. Se non siamo ancora vittoriosi sulla malattia, tu, che sei un soccombente, mantieniti almeno unito a lui (intendo a Dio), per trovare la forza di tenerti al di sopra di questa sofferenza nella serenità dell'anima. Giacché questa anima è superiore ad ogni divenire temporale. E sei poi tu sei un sincero teista, potrei suggerirti quest'altra proposizione: 'Offri la tua sofferenza a colui che ha sofferto liberamente perché solleciti i credenti in lui a esplorare i finalismi dell'universo e a ubbidire a un disegno d'amore, che conosce il miracolo della conversione alla preghiera come ricerca scientifica e non il miracolo della bacchetta magica, che sospende le leggi della Natura. Credo, voglio credere, che il signor Gustavo Bicocchi sia morto riconciliato in questo modo con la sua malattia. Mantenendosi cioè al di sopra di essa, come si conviene a un sincero teista. Resta il problema della morte in sé. Ma il sincero teista non vede in essa un problema, perché la morte, sì, corrisponde a un disegno d'amore divino. L'uomo sarebbe morto anche senza il peccato. E' questa la verità che dimentichiamo troppo spesso. Dunque la morte è la via per raggiungere la vita.

Qui, presenti nell'assemblea, sono la vedova Bicocchi, il figlio, i parenti, e credo anche un nipotino di nome Iacopo. Questo bambino, di cinque anni, chiedeva giorni orsono a suo padre se anche lui doveva morire. "Sì" rispose il padre "anche tu Iacopo devi morire". "Ma io" si mise a piangere il bambino "voglio restare sempre così, fermo sui cinque anni; e tutti attorno a me, voglio che abbiano il cronometro sospeso. Papà, mamma, nonna, zia...". "Non è possibile" dice inflessibile il papà. "Eppure, se Dio può tutto"... Ecco la corrente religiosa che comincia a fare breccia dentro all'animo di una creatura... "io dovrò pregare per non morire". Il padre mi chiedeva come doveva rispondere a questo dramma del figlio. Credo di avere risposto in questo modo. Tu devi dire a Iacopo: "Figlio mio, non è lecito pregare per non morire. Perché per non morire (e cioè per vivere eternamente), non c'è che una strada: morire. E perché la morte sia in perfetta continuità con la vita eterna, non c'è che una strada: vivere nella volontà del Padre. "Chiunque perderà nel tempo la propria vita per me, la ritroverà per sempre fuori del tempo, vale a dire nel seno del Padre".

Adesso riprendiamo, in breve, il discorso lasciato sospeso -credo- l'anno passato, relativo alla sìndone e relativo ai testi degli evangelisti cosiddetti sinottici (Matteo, Marco e Luca) che 'suonavano' in modo diverso rispetto all'evangelo di san Giovanni. Il problema riguardava il come era avvenuta la sepoltura dell'uomo della sìndone, che nei vangeli si chiama Gesù Cristo. Ieri sera, nell'ultimo telegiornale, ho visto che alcuni scienziati di Torino hanno ridato il volto nelle tre dimensioni (con questi apparecchi elettronici oramai facciamo risuscitare anche i morti), sono riusciti a dare un volto, un volto che resta sempre sconvolgente, perché ognuno di noi lo immagina in un certo modo, e probabilmente quello che la scienza o la ricerca ci darà sarà molto vicino a questa maniera con cui ognuno di noi immagina debba essere stato il figlio di Dio. Erravamo arrivati, l'anno scorso, a ipotizzare due tipi di sepoltura, secondo la narrazione di questi evangelisti che sono in contrasto con san Giovanni. Perché san Giovanni dice testualmente: "L'apostolo (vale a dire: Giovanni) arrivò per primo al sepolcro e chinatosi a guardare dentro il sepolcro, vide le bende per terra, ma tuttavia non vi entrò. Pietro entrò nel sepolcro e vide le bende per terra. Il sudario, che era stato sul capo di Gesù, non si trovava accanto alle bende, ma ripiegato a parte, in un altro posto". Che cosa crea problema? Crea problema che Giovanni chiami 'panni lini' (otònia , in Greco), ciò che invece negli altri evangelisti era chiamato 'sìndone', vale a dire quel lenzuolo che accolse il corpo di Gesù. Per risolvere questo problema, nell'anno 1961 uno studioso francese (credo un domenicano, il padre Lavèria) ha presentato finalmente una traduzione approfondita di san Giovanni. Ecco dunque come sarebbero accadute le cose. Pietro entrò nel sepolcro, vide il lenzuolo afflosciato (o appiattito) e il sudario, che era stato sul capo, non afflosciato come il lenzuolo, ma avvolto nello stesso luogo. Da questi due indizi (dalla caduta su se stesso -o afflosciamento- del lenzuolo e del sudario -inteso qui come 'fazzoletto avvolgente il capo', o 'mentoniera'-) si origina la fede di Giovanni nella risurrezione: "Vide e credette".

L'ho già detto tante volte: i teologi (dico quelli più spinti) non annettono molta importanza al sepolcro vuoto. Un sepolcro vuoto potrebbe anche voler dire che il corpo è stato portato via; non sarebbe la prova della risurrezione, come si diceva -poniamo- cinquant'anni orsono. Però c'è questo fatto che lascia perplessi, e non a caso san Giovanni dice: "Vide e credette". La Fede si origina da ciò che io vedo. Che cosa vedo? Vedo un lenzuolo che si è afflosciato su se stesso. Vedo una mentoniera (una specie di foulard che serviva per chiudere le mascelle del morente) da un lato, ancora rigida con le forme del volto. Dove sta la fede? La fede nella risurrezione? Qui. Un cadavere che dovesse rianimarsi, che cosa farebbe? Farebbe quello che facciamo noi, quando ci svegliamo il mattino: buttiamo per aria il lenzuolo e le coperte e poi lasciamo le cose come sono. Qui la cosa sorprendente è che questo lenzuolo è afflosciato su se stesso. Che cosa vuol dire? Vuol dire che il corpo, allora, è come volatilizzato e non è dunque un cadavere rianimato. In questo senso allora Giovanni avrebbe colto il vero significato della risurrezione. Gesù è entrato in una nuova dimensione; e eccola qui, la prova, la prova più semplice: nulla è stato toccato del lenzuolo in cui era stato messo, e questo lenzuolo si è afflosciato come se -diciamo così- il contenuto fosse sparito o volatilizzato. Ebbene, io sono tra quelli che amano, che vogliono pensare la risurrezione in questo modo, e non come una rianimazione di cadavere. Ecco qui come il padre Lavèria traduce finalmente il testo di Giovanni. Giovanni scrive una cinquantina di anni dopo gli altri; probabilmente le parole hanno avuto un loro rotacismo, hanno -per così dire- cambiato significato; e allora quella parola, otònia , non va tradotto con 'panni lini', perché verrebbe a creare della confusione, degli elementi nuovi che dovrebbero far supporre due tipi di inumazione. Invece, ecco la traduzione: otònia non va tradotta con non 'panni lini' o con 'bende', ma con 'lenzuolo' o 'sìndone'. Perché? "Perchè" dice il traduttore "siamo di fronte a un plurale enfatico, che serve per dare importanza al fatto". Per cui la parola otònia equivarrebbe a questa traduzione: 'gran lenzuolo'. Allora non occorre più ipotizzare la seconda fase notturna della sepoltura, come vi avevo detto l'anno passato. Tutto è trasparente. Restano in campo solo il 'gran lenzuolo' (che sarebbe la sìndone di Torino) e poi il 'sudario' (che nelle altre traduzioni veniva inteso come 'lenzuolo della sìndone') che è la parola tecnica per esprimere la cosiddetta 'mentoniera', una specie di foulard che serve a tenere le mascelle unite affinché nel momento del rigore della morte, il morto non resti con la bocca spalancata.

{...} A questo punto la scienza ha portato, mediante la cosiddetta visione tridimensionale, un qualche contributo alla maggiore comprensione di questo testo di Giovanni. Due scienziati {...} hanno mostrato che attorno al volto dell'uomo racchiuso nella sìndone fu messo un fazzoletto, o sudario o mentoniera per assicurare la mascella {...}. Non solo, ma questa visione tridimensionale ha permesso anche di individuare sulle palpebre di ciascun occhio dell'uomo della sìndone (vedete? non lo chiamo ancora Gesù, anche se io sono convinto che l'uomo della sìndone sia Gesù Cristo) l'immagine di due oggetti simili a bottoni, perfettamente circolari. Con tutta probabilità -dicono- si tratta di due monete il cui compito era quello di mantenere abbassare le palpebre del defunto secondo l'uso giudaico dell'epoca. Le monete furono messe appena dopo la morte, ma furono tolte appena il corpo fu messo nella sìndone. Allo stesso modo la mentoniera (o sudario) fu messa sul calvario al momento della deposizione, e poi fu tolta quando il corpo fu messo nella sìndone, essendo sopravvenuto il rigor mortis . Tutto allora tornerebbe, nella descrizione di Giovanni, e si chiarirebbe la incertezza sulla collocazione del sudario, o mentoniera. Dunque dobbiamo distinguere il sudario (o mentoniera) dalla sìndone (o otònia , che, nella traduzione del padre Lavèria, sarebbe il 'gran lenzuolo'). Ecco perchè Pietro, entrando nel sepolcro, lo vide a parte, sia pure nella sua forma ovale e completamente avvolto.

Ora resterebbe un'ultima considerazione. Se domani la scienza, per ipotesi ardita, dovesse proiettarci sullo schermo tutta la vita e tutte le parole di Gesù, credo che una di queste parole sarebbe ugualmente rivolta ai Cristiani e ai non-Cristiani. A chi non crede dico: non allarmatevi, se la scienza stabilirà che quel corpo è il corpo di Cristo. Coloro che lo hanno visto corporalmente, per la maggior parte non hanno creduto in lui. E anche se domani la scienza dovesse stabilire tutto questo, signori atei, non sarete obbligati a credere. Guai a noi se dovesse entrare in voi questo terrore! E ai teisti un po' esaltati, che amano vedere miracoli da tutte le parti {...}: "Ciechi, e duri di cuore. Avete pasticciato civiltà cristiane, avete pasticciato civiltà religiose, avete pasticciato ideologie illuministiche di ogni segno, avete pasticciato delle politiche egemoniche, vi siete odiati e combattuti; ma nessuno -in ciò la colpevolezza dei Cristiani è più cocente- è mai riuscito, da duemila anni a questa parte, da quando io sono morto per salvare gli uomini, ad attuare neanche in casa propria il principio della fratellanza che io ho trasmesso agli uomini".