17 marzo 1985

Giovanni (3, 14-21) IV^ di Quaresima

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Del passo relativo all'incontro con Nicodémo, si riporta qui la seconda parte. La parte -lasciatemelo dire- che forse non contiene se non le deduzioni di san Giovanni, o della comunità che sta dietro Giovanni. Voi direte: "Ma queste parole -come Mosè innalzò il serpente nel deserto- sono di Gesù o sono di Giovanni?" A costo di deludervi, dovrò dirvi che la mia opinione è che siano di Giovanni. Le vere parole di Gesù stanno nella prima parte. Adesso vediamo di fare questa piccola prima indagine. Nella prima parte Gesù aveva detto: "Se uno non nasce dall'alto (che in altra traduzione suona: 'se uno non rinasce') non può vedere il Regno di Dio". Noi diciamo che Gesù è buono, che Gesù è salvatore.... Gesù è cattivo, Gesù è spietato, proprio perché è salvatore (avrò modo di illustrarvelo con un esempio storico clamoroso). Vorrei che qui ci fossero qui tutti gli educatori di Reggio Emilia, e che ci fossero più giovani di quanti non ne vedo (anche se debbo rallegrarmi con loro... strana cosa che ci siano dei giovani a questa messa: questo mi fa piacere, come mi fa piacere che ci siano anche delle persone mature). Dunque dicevamo, Gesù aveva detto a Nicodémo, un uomo che sfiorava la sessantina: "Tu devi rinascere". Quell'uomo trasecola: "Rinascere... ma che cosa vuol dire rinascere? tornare nel seno della propria madre?" "No" dice Gesù "passare attraverso l'acqua e lo spirito".

Che cosa implica la rinascita? Implica la scoperta di Dio. Seguitemi un attimo. L'incontro tra spirito e Spirito; perché, nella concezione usuale (vale a dire nella realtà), abbiamo l'incontro dello spirito con la materia mediante il pensiero. Ascoltavo l'altra sera un conferenziere che parlava della riscoperta di Dio... Io stesso dubito che attraverso il cosiddetto principio di causalità, inteso in un certo modo, si possa risalire e provare la esistenza di Dio. Certo molte cose possiamo fare, arrampicandoci sulla realtà, oppure tuffandoci dentro alla realtà. Ma ecco qui, Gesù dice: "L'incontro fra uno spirito e uno Spirito (vale a dire: il mio spirito umano e lo Spirito con la esse maiuscola, Dio), questo avviene mediante Gesù Cristo". Invece quell'altra scoperta, vale a dire la conoscenza (che è un penetrare con l'intelletto dentro alle cose per capirne il significato), quella si compie dal logos a materia, da spirito a materia mediante il pensiero. Qualcuno gradirebbe che io continuassi in questa ricerca. No, chiudiamo subito il capitolo, perché è solo per farvi capire la importanza del passo evangelico, la importanza cioè delle parole di Gesù che dice: "Nicodémo, sessantenne, devi rinascere". E badate -tanto per concludere-, Gesù lo dice anche a un bambino appena nato. Questa è la sorpresa del Cristianesimo.

Ecco invece qui il primo paragone di Giovanni. Vi ho detto che il passo evangelico che vi ho letto, a mio giudizio contiene pochissime parole di Gesù, che adesso non voglio qui affannarmi a mettere in evidenza. Ma nel complesso, si tratta di una ricerca, di una deduzione da questo bel principio enunciato da Gesù, dico da parte di Giovanni. Leggo: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell'Uomo perchè chiunque crede in lui abbia la vita eterna". Ecco, con un esempio biblico, la illustrazione di quello che vi ho detto poc'anzi. Voi direte: "Lei è così superbo da credere che la sua esemplificazione sia migliore di quella di Giovanni?" Il punto è quello del serpente. Perché escludo che Gesù abbia citato la questione del serpente? Perché non credo che Gesù credesse ai miracoli, o perlomeno che credesse al miracolismo. Che cosa era successo dunque nel Vecchio Testamento? Era successo questo: la mormorazione per il lungo cammino dopo l'uscita dall'Egitto, per il cibo di routine (questa manna... "no, noi vogliamo mangiare altre cose... vogliamo mangiare l'arrosto" e quindi si erano stufati anche di questo cibo, e così via) e qualcuno cominciò a mormorare contro Mosè: "ma insomma, ci hai portati fuori dall'Egitto, là stavamo bene, almeno qualche pezzo di carne lo mangiavamo...". Che cosa succede? Dice la Bibbia che Dio (il che è da escludere, ve lo dico subito) manda dei serpenti e, colpisci qui colpisci là, un morto qui un morto là... che cosa succede? Mosè dice: "Ecco, Dio vi colpisce per la mormorazione". Allora questi si pentono... come siamo fatti, noi... ci sono i pentiti... "abbiamo sbagliato, sai, hai ragione tu... abbiamo fatto bene a uscire dall'Egitto...". E poi chiedono: "Mosè, fai sì che questi serpenti non ci siano più in giro, e che si possa camminare per le strade senza essere più aggrediti". Mosè disse: "No, fermi, fermi, lasciamoli stare questi serpenti. Facciamo così: io innalzerò un serpente di rame; voi lo guarderete e guarirete". Leggo dai Numeri le cinque o sei parole: "Se questi guardava il serpente di rame, restava in vita". Non restava in vita perché guardava, ma se riusciva a guardare era segno che non era morto. Ricordate i medici accanto alla bara di Pinocchio? "Se il burattino non è morto, vuol dire che è vivo; se il burattino è vivo, vuol dire che non è morto". Se riesce a guardare, è segno che non è morto. Ecco la mia interpretazione -voi direte- antimiracolistica. Era una verifica, e non un oggetto miracolistico, quel serpente.

Anche nella letteratura pagana vi era questa specie di attrito, o di diàtriba, tra i teisti e coloro che invece negavano la provvidenza. Cito due nomi, per chi studia: uno è Eròdoto e l'altro è Anassàgora; uno è un pensatore, vale a dire un filosofo, e l'altro è uno storico. Eròdoto credeva fermamente nella provvidenza, e rispondeva ad Anassàgora, che dubitava della presenza della provvidenza: "Non vedi che cosa succede in Arabia? In Arabia gli uomini riescono a sopravvivere dove invece ci sono dei serpenti velenosi". Vi sembra che questo sia opera di provvidenza? Che io creda nella provvidenza per altre strade, sì; ma non certamente per questa argomentazione. Eppure per l'epoca era un grosso argomento. {...} Senonché gli Ebrei, arrivando in quella zona sconosciuta, non sapevano, non erano nati in un luogo dove c'erano dei serpenti, e allora ovviamente le cose cambiano. Sterminio... poi un po' alla volta hanno cominciato a capire che bisogna stare a casa propria; come noi quando andiamo in montagna sappiamo che dobbiamo premunirci perché in giro ci sono anche delle vipere. {...}

Dunque, facciamo l'ipotesi che sia di Gesù (il che non credo; sono dell'idea che sia di Giovanni). Ma nell'ipotesi che sia di Gesù, egli cita il caso del serpente per dire che mentre là, nel deserto, c'era il rapporto miracolistico (o inteso tale), qui invece, per quanto riguarda il discorso della rinascita, c'è un rapporto spirituale efficace, per cui soltanto lui, vale a dire Gesù come mediatore può operare il rinnovamento o la rinascita, vale a dire la collocazione in Dio, così come nell'ambito della conoscenza naturale il mio pensiero mi dà la possibilità di conoscere la realtà. Ma soltanto in questo caso può essere paragonato, il fatto del deserto, con un colpo di bacchetta magica. Allora il paragone potrebbe essere accettato.

E adesso procediamo un attimo. Nicodémo è il primo credente. Occorre che ve lo faccia osservare: il primo credente. Perché? Perché si libera dalla Storia, ecco la rinascita. E' del sinedrio, ed è Fariseo, quindi voi capite che cosa vuol dire rinascere: dare un colpo di spugna a tutta quella Storia e collocarsi in un modo nuovo di vedere le cose. Poi, a titolo di informazione, la seconda credente è la Samaritana. Anche questa donna si libera, essa pure, da una storia privata che noi conosciamo molto bene, e poi si libera anche dalla storia del gruppo. Ecco in che cosa consiste allora la rinascita.

Adesso, per illustrarvi il senso profondo di questa rinascita di cui parla Gesù a Nicodémo, e il significato di Cristo mediatore di salvezza (Dio ha mandato il figlio come salvatore e non come giudice) io utilizzerò il caso di Elena Keller. L'altra sera avrete visto -suppongo- quel bellissimo film dedicato appunto a Elena Keller, che aveva come titolo Anna dei miracoli . Questa bambina, nata nel 1880, perde l'udito, la vista, a nove mesi di età. Dunque è sorda, è muta, è cieca. Eppure a un certo momento c'è il risveglio. Storicamente sappiamo che poi s'è messa a parlare... addirittura parlava cinque o sei lingue. Adesso io ho frugato in biblioteca e ho trovato proprio una sua opera, scritta nel 1923: Il mondo in cui vivo . Adesso io vi racconto il dramma dalla parte sua. Poi vi prospetterò il dramma, come è presentato nel film, da parte della istitutrice, che la tira fuori dalla non-esistenza e la porta finalmente alla salvezza (e tenete sempre presente nel sottofondo il passo evangelico di Gesù a Nicodémo). Io qui ho riassunto, vi citerò soltanto alcune delle sue proposizioni. Dice Elena Keller: "Prima che la mia istitutrice venisse a me, io non sapevo di esistere," ('Non sapevo di esistere': mettete Nicodémo nei confronti di Gesù.) "vivevo in un mondo che tale non era per me. Ero spinta verso gli oggetti, le azioni, da un certo impulso cieco e istintivo. Avevo solo una inclinazione alla collera, al piacere, al desiderio, e ciò (ecco l'errore di lettura da parte degli altri, aggiungo io) faceva credere alla gente che mi stava attorno -e prima di tutto a papà e mamma- che io fossi capace di volere e di pensare". Guardate, leggendo queste parole mi veniva da piangere ieri sera: "La mia vita era un vuoto senza passato, senza presente, senza futuro, senza speranza, nè aspettazione, nè meraviglia, nè gioia, nè fede. Il mio essere dormiente non aveva idea di Dio, nè di immortalità, e neanche temeva la morte". Breve, vi riassumo: "Tutto ciò che io facevo -aprire una porta o chiuderla, ripararmi dalla pioggia e pulirmi i capelli-, tutto questo io lo facevo in maniera meccanica, senza che dentro ci fosse un pensiero". E gli altri che la vedevano pensavano -ahimè- che ci fosse invece un pensiero. Sicchè soltanto il potere di pensare passando da una cosa all'altra (questa sarebbe la razionalità) rende possibile l'entrare nella vita, prima come fanciullo, poi come uomo. E termino: "Un giorno la mia istitutrice riuscì a farmi capire -e io dal profondo capii- il significato della parola. Quando imparai finalmente il significato di 'io' e di 'me' mi accorsi di essere qualche cosa, e allora cominciai a pensare. Per la prima volta esistette per me la coscienza". E termina: "L'uomo fruga dentro se stesso, e col tempo trova la misura e il significato dell'universo". Questa è la diagnosi che Elena Keller fa di se stessa.

Adesso rapidamente vediamo cosa succede nel film. {...} L'istitutrice (una ragazza che, lei pure, aveva provato il calvario dell'isolamento, dell'handicappato) ha dovuto liberare questa fanciulla dalla propria prigionìa, e dai falsi amori di papà e di mamma. Lei moriva dalla voglia di imparare, eppure non voleva rinunciare a se stessa. Prendeva a calci la sua istitutrice, quando tentava di allungare la mano verso il suo 'io' profondo per tirarlo -diciamo così- a coscienza. "Niente pietà" diceva l'istitutrice "devo raggiungerla laddove si scioglie l'incantesimo fra animalità e intelligenza". Che cosa fa? La isola dai genitori, specie dalla mamma che, presa da un falso amore, diceva: "Poverina, poverina, vieni qui nel mio seno". Finalmente l'istitutrice ottiene l'ubbidienza, ne fa un animale domestico: mangia con il tovagliolo davanti, si pulisce, ubbidisce, non dà più fastidio in casa. E allora il padre dice: "Io oramai la licenzio, licenzio l'istitutrice" perchè crede che tutto ciò basti. E dice una frase meschina: "Dio non vuole che Elena diventi un essere normale". L'istitutrice insiste: "Lo voglio io, perché Dio lo vuole, che diventi invece un essere normale". E a furia di insistere, la vittoria: "Io voglio che diventi una persona. Voi vi accontentate di avere un animale addomesticato, ma io voglio che diventi una persona". La bambina deve scoprire il significato della parola. Perché? Perché è la parola, frutto dello spirito, che ci mette in mano l'universo intiero (e Dio stesso, oserei dire). Come farle capire che la 'parola' significa la 'cosa'?

Questa fu -diciamo così- la grande fatica della istitutrice: solo insegnando a una creatura che cosa è la parola si può dare un significato alla ubbidienza. Diversamente io faccio ubbidire un animale addomesticato, ma non ho davanti a me un uomo. E finalmente, dalla ubbidienza potrò poi passare al progresso. "Ora" diceva l'istitutrice ai genitori "lasciarle fare tutto a modo suo, questa è una menzogna". "No!" dice Gesù a Nicodémo "non posso permettere, anche se hai sessant'anni e sei una brava persona, di concederti che questo voglia dire essere Cristiano. No, anche tu devi rinascere". Voi vedete che il concetto è spietato. "Bisogna" dice la istitutrice "proteggerla da ciò che la danneggia". Finalmente, un giorno avviene il miracolo. Pensiero, parola, si identificano in una cosa: l'acqua. L'acqua, la bambina si ferma; mentre l'istitutrice sta pompando l'acqua del cortile, guarda le sue mani, e tocca... finalmente la illuminazione: "Questa è l'acqua" (e non lo dico a caso, perché Gesù a Nicodémo dice: "Acqua e spirito"). Questa è acqua, questa è una creazione dello spirito, finalmente il passaggio si può fare. Adesso corre dalla mamma e quando dice 'mamma' sa che cosa dice, perchè quella parola non è un'etichetta messa su quella persona, ma significa esattamente ciò che essa tocca: mamma, papà, e poi la ricerca di tutto l'universo. Adesso, finalmente, la istitutrice può dire all'animale, diventato uomo: "Elena, io ti amo". E si metteranno a piangere tutte e due.

Termino. Dio non ha mandato il figlio per giudicare il mondo. Dio è come l'istitutrice (se vogliamo stare con l'esempio), non come i genitori. I quali purtroppo avevano giudicato la figlia. Dio no. Manda il figlio non per giudicare il mondo, ma per salvarlo. "Chi crede" dice Gesù "non è condannato". Ma attenzione: non perché crede, ma perché è creatura nuova. E chi non crede (e questo mi fa pensare che sia di Giovanni e non di Gesù) è condannato. Aggiungiamo: non perché non crede, ma perché resta in una dimensione di morte.