20 gennaio 1985

Giovanni (1, 35-42) II^ fra l'Anno

[ alcibiade · atene · bellezza · bruttezza · convito · corpo · costume · danaro · educatore · finalismi · grecia · paolo · platone · potere · risurrezione · saggezza · sesso · sileni · sileno · socrate ]

Farò una predica piuttosto curiosa, perché dovrò mettere insieme (e non è mio costume) la seconda lettura con la terza, vale a dire con il Vangelo. Poco da dire, e moltissimo. Perché qui abbiamo l'incontro originario tra Gesù e i discepoli. C'è qualcuno che ha l'occhio così profondo da scorgere in lui l'Agnello di Dio. Il quale appellativo ha le sue radici nella Bibbia. Poi abbiamo aspetti molto terrenistici: per la prima volta veniamo a sapere che Gesù abita da qualche parte. Non aveva detto nel Vangelo che non aveva un luogo dove riposare il capo ed era più o meno come le volpi? (anzi peggio delle volpi, perché le volpi hanno le loro tane) Be', qui veniamo a sapere che Gesù abita da qualche parte. Che cosa volete, probabilmente sarà stata una capanna, o un appartamentino simile a quello di Socrate, nel quale luogo si discutevano i problemi dell'epoca. Ma è ovvio che i problemi dell'epoca, per Gesù, erano i problemi dell'uomo tout court , i problemi dunque che riguardano l'uomo in tutto il suo passato, e l'uomo in tutto il suo futuro.

E siamo al punto: questo ___ merita o no l'appellativo di Agnello di Dio? E per meritare questo appellativo, che cosa bisogna avere con sé? o meglio dovrò dire: che cosa bisogna essere? Bene, bisogna essere puliti nella persona a tutti e tre quei famosi livelli di cui vi ho sempre parlato: sesso, danaro, potere. Trovatemi un uomo pulito relativamente a questi tre punti, e allora vi dirò che quegli è Cristiano. Non a caso Paolo parla qui del rapporto fra la nostra persona fisica e Gesù Cristo. Di cui vi parlerò al termine di un episodio che debbo raccontarvi. L'episodio lo prendo dal Convito di Platone, laddove un discepolo di Socrate vuole saggiare la consistenza religiosa di questa personalità, che con i suoi discorsi -diciamo così- banali eppure altamente filosofici, aveva messo in iscacco tutta la Grecia, ma indubbiamente Atene prima di tutto. Intendo dire Socrate.

Cercherò di essere morigerato nei toni, ma non voglio nascondervi nulla. Perché Alcibiade finalmente ci dice la struttura intimistica di questo uomo, come è da supporre che fosse tale la figura di Gesù, si capisce con qualche cosa in più, che noi chiamiamo 'la divinità'. Ma sarebbe già molto, anzi sarebbe già sufficiente, se tutti i Cristiani capissero ciò che aveva capito Socrate senza avere la rivelazione e senza avere il testo di Paolo, per quanto riguarda appunto la concezione del nostro corpo. Dunque, nel Convito di Platone, Alcibiade fa l'elogio di Socrate. Alcibiade, il giovane più bello di Atene. Badate, una bellezza da fare sconvolgere la testa, anche perché gli storici dicono che Alcibiade, cosa rara, fu bellissimo anche nella vecchiaia. Ecco, immaginate una bellezza greca, immaginate che cosa poteva scatenare attorno a sé un giovane di quella bellezza, più certamente che non una donna (lo dico per chi ha una certa cultura). Alcibiade dunque è cosciente della sua bellezza, e vuole mettere alla prova colui che invece ha la pretesa di avere la bellezza del pensiero. Verità contro Estetica, si potrebbe dire forzando lievemente i termini. Dunque, dice Alcibiade che Socrate somiglia ai Sileni delle botteghe degli statuari. Sileno, chi era? Sileno era l'educatore di Bacco giovane. Quando voi andate in giro per l'Italia, poniamo Assisi o Venezia, alle volte trovate questi 'ricordi' strani: ci sono per esempio dei fraticelli grassi grassi con dei botticini accanto, qualcuno addirittura con la pipa in bocca {...}, e alle volte queste statuette hanno delle porticine, aprendo le quali, dentro si vede -poniamo- san Francesco, il Sacro Cuore e così via. Questi Sileni esternamente hanno in mano in genere uno strumento musicale, poi sono lavorati in modo da avere una cavità con due aperture, dentro le quali fanno vedere le statue delle divinità.

Dunque vi è il corpo di Socrate e vi è la interiorità, diciamo la personalità di Socrate. Sicchè esteriormente Socrate è come un flautista che affascina con i suoi discorsi tutta Atene, e affascina i giovani assetati di Verità. Ma dentro -ecco il punto-, ma dentro che cosa c'è? Ecco il punto delicato della indagine di Alcibiade. Ripeto: Alcibiade è giovane bellissimo, ma deve ammettere che per Socrate la bellezza fisica non ha valore più di quanto non l'abbia la bruttezza. Egli parla, Socrate, indifferentemente con i belli e con i brutti. Dunque questo fenomeno, questo dono o questa realtà non influisce in nulla su di lui per quanto riguarda i rapporti con l'altro o, come si dice, con il prossimo. Perché bello o brutto, portatore della bellezza o della bruttezza è, per Socrate, sempre l'uomo; ed egli si rivolge all'uomo. Così a Socrate non fanno effetto le ricchezze e meno che meno il potere.

E dunque (entriamo adesso nel momento delicato) Alcibiade volle metterlo alla prova sul primo punto. Tutti vedevano che Socrate era povero; tutti vedevano che Socrate si era ritirato dal potere maledetto, per diventare educatore della città, mentre invece credono soltanto coloro che hanno il potere, di essere gli educatori della città. No, lui è l'educatore della città, e non i politici. Perché anch'egli aveva fatto quell'amara esperienza, poi aveva capito che per educare il popolo o la gente o gli uomini bisogna uscire da quel maledetto incastro per il quale, per conquistare il quale potere, molti addirittura perdono l'anima. Sui due punti era chiaro che Socrate non era attaccato nè al potere nè ai danari. Ma, l'altro punto, il sesso? Problema intimo, che conosciamo soltanto noi (e quelli, naturalmente, con cui pecchiamo... scusate, diciamolo sottovoce).

Ecco la prova di Alcibiade. Rimase un giorno con lui, solo. Solo a solo. Vi premetto che Alcibiade è all'attacco con la sua bellezza per vedere se Socrate è robusto anche sotto questo profilo. Direi che nel giovane c'è anche il senso della sfida, per vedere fino a che punto quella saggezza non perde la testa -diciamo così- per ciò che è contingente o che appartiene al puro momento estetico. Solo a solo, dopo avere licenziato il servo. Nulla accadde di sconveniente. Per chi è colto, sappiamo che cosa vuol dire: un efébo e un adulto, in Grecia; non aggiungiamo altro. Secondo: lo invita a fare ginnastica. Cosa vuol dire invitare Socrate a fare ginnastica? Andare a fare ginnastica vuol dire mettersi nudi, tanto per intenderci. Nulla di male, si capisce, finché si fa ginnastica come oggi, nulla di male. Attenzione, perché Alcibiade è sempre con il turcasso pieno di frecce. Nulla di ambiguo accade, tutto è pulito. Allora lo invita a cena. E dice, Alcibiade: "Gli gettai la rete", la rete della cena. Socrate, sulle prime, non accetta. Non accetta perché non era suo costume andare a cena... a far delle bisbocce, tanto per intenderci. Ma poi, sempre perché in lui prevaleva l'idea di dovere educare questo giovane, Socrate andò a cena. Si mangia, si beve, si parla. Nulla di meno che onesto. Dopo cena, lo intrattiene in conversazione fino a notte fonda. A questo punto "l'ora è troppo avanzata" dice Alcibiade, e lo costringe a restare. Socrate si riposa sul lettuccio accanto a quello di Alcibiade, quello sul quale aveva cenato. Ma nulla di sconveniente accade, Socrate è Socrate e Alcibiade è Alcibiade.

Ma Alcibiade non demorde, è troppo sicuro della sua bellezza, e pensa di fare crollare Socrate. E riaccende il discorso della parità: "Tu mi dai la saggezza" dice "io voglio darti il fascino della bellezza fisica". E già, perché poi Alcibiade aggiunge che la filosofia è come una specie di veleno, quando entra dentro al sangue. E si può dire che il giovane alla fine è assetato di Verità, e quando ode certi discorsi, insomma, si appassiona, perché vuole sapere il fondo delle cose, e paragona appunto la ricerca della Verità a una specie di veleno che entra dentro al sangue. A questo punto, ecco il momento più delicato, Alcibiade lo abbraccia. Cito le parole precise, perché è Alcibiade che sta raccontando agli amici, sta facendo agli amici l'elogio di Socrate. "Avviticchiai con queste braccia quell'uomo divino e meraviglioso, ma egli vinse la mia bellezza sprezzandola, ironizzando su di me, sbeffeggiandola, svillaneggiandola per l'uso che io ne volevo fare". Alcibiade conclude: "Sappiatelo bene, per tutti gli dei, che io dopo aver dormito con Socrate mi levai non altrimenti che se avessi dormito con mio padre o con mio fratello maggiore".

Ecco, la grossa riflessione. Domanda: perché Socrate si comporta così, nonostante le incertezze morali dell'epoca? (Badate che sono anche le nostre incertezze.) Credo di avere capito perché. In Socrate è vivo il concetto di finalismo. Guardava le sue mani, quel filosofo, di fronte agli scettici e diceva: "No, no, non posso ammettere che queste mani siano opera di Caso. No, queste mani sono opera di Provvidenza". Ecco, un uomo che è capace di compiere un ragionamento di questo genere, ha già capito la finalizzazione che egli deve dare al proprio corpo. E' ovvio che se io guardo le mani non posso non concludere a quell'affermazione, ma guardando tutto il mio corpo, le cose diventano ancora più esaltanti. Dunque io devo rispondere di questo corpo.

{...} Vediamo di concludere su questa affermazione. Paolo, ecco Paolo, il quale naturalmente razionalizza il messaggio di Gesù, e dice: "L'uso indebito del sesso (indebito, attenzione! quindi mettiamo a parte il matrimonio) è una ingiustizia" verso chi? "verso colui al quale apparteniamo corpo e anima. E' un sacrilegio verso Gesù Cristo di cui siamo membri (o, se volete, membra). E' una solenne profanazione, perché il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo". Non c'è più nulla da discutere sotto questo profilo. Lo stesso discorso il Cristianesimo lo fa per il danaro; lo stesso discorso lo fa per il potere. Ripeto: l'uomo cristiano è colui che è in ordine su tutt'e tre. Attenzione! E anzi, mi viene un brutto sospetto: che chi non è in ordine in uno, non può essere in ordine negli altri due. E uno può essere benissimo a posto col sesso, almeno formalmente, ma non è detto che sia a posto sugli altri due punti. E così di seguito. Il vero Cristiano è colui che è in ordine su tutti e tre i punti.

Un'ultima considerazione e chiudo. Voi sapete che il discorso circa i finalismi esterni è ancora aperto -diciamo così- in casa dei filosofi. Per esempio: qui non ho una rosa da farvi vedere.... perché c'è la rosa? E' una domanda senza risposta, se voi non accettate il concetto di Creazione. Perché c'è un cavallo? Voi direte: "Per fare le mie cavalcate". Mi dispiace, un po' troppo accomodante, la cosa. Perché c'è un cavallo? Su su, la domanda possiamo farla di tutte e su tutte le cose. Ma quando arriviamo a noi: e noi, perché ci siamo? Vale a dire: quale è il fine ultimo di noi, sia pure considerati in maniera corporea. Ebbene, la risposta di Paolo è questa: "Il fine dell'uomo è la risurrezione". Partendo da questo principio (che fra l'altro racchiude la risurrezione di Cristo, che è il punto fondamentale e decisivo della rivelazione cristiana), sarà poi più facile capire anche le altre deduzioni che Paolo fa, relativamente appunto all'uso del sesso per quanto riguarda il nostro corpo. "Attenzione!" dice "i peccati li facciamo tutti fuori dal corpo, ma questo si rivolta sul corpo". Il mio esempio -ve lo ripeto per l'ultima volta- è questo. E' triste che una matita, fatta per scrivere dei poemi, oppure per tracciare dei disegni, si autoconsumi nel fare la punta a se stessa. Al termine, che cosa resta? Resta semplicemente un mucchietto di cenere.