NO DISC

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di Giacomo Ulivieri

 

Abbrutirsi.

Certe volte la voglia di uscire è come se svanisse dentro di me, come se andasse a rintanarsi in qualche mio meandro purtroppo sconosciuto. E diventa un peso sconosciuto. Ritrovarla è quasi impossibile.

Come oggi ad esempio.

È un normale mercoledì sera. Un triste mercoledì sera, tale e quale a tutti gli altri.

Però oggi posso considerarmi libero, infatti non ho la preparazione della squadra, è il giorno di riposo. Ma di riposare non ne sento neanche la necessità. Cioè, fisicamente sono a pezzi, ma la mia inquietudine mi rende sopportabile qualunque dolore. Un’inquietudine infinita.

Checco mi ha invitato a cena fuori per fare quattro chiacchiere sull’estate appena trascorsa della quale però ricordo già solo vaghe immagini, come se non fosse passata realmente una settimana dal mio ritorno alla quotidianità, ma un decennio. Ricordo tutto appannato come un sogno.

No Checco sono un po’ stanco, poi oggi è il mio giorno di riposo, non saprei.

Ma lui insiste, giustamente. E così accetto.

Un po’ di mondanità. Ne avrei bisogno. È un bisogno viscerale sconosciuto.

Ci troviamo davanti al ristorante di un nostro amico.

Mica per uno sconto che non esiste, solo che ci piace andare li.

Checco è più abituale di me. Fosse per lui vivrebbe sempre e solo un unico identico giorno.

A cena parliamo del più e del meno, delle mie vacanze, delle nostre storie d’amore inesistenti. Ormai ci siamo rassegnati a viverle così senza preoccuparci troppo del futuro.

Non c’è speranza, non c’è stabilità da nessuna parte.

Sto bene, ma sento che qualcosa in me non va. Non sono io. Non sono a mio agio.

Guardo delle ragazze al tavolo accanto al nostro. Una è molto carina. Vorrei conoscerla. Vorrei conoscere tutte le ragazze carine della terra, e vorrei parlarci come se fossi io, parlarci liberamente di me, di lei, di come è il mondo.

Ma non funziona così ed io mi eclisso nelle mie domande, nei miei sé fosse, se io fossi, se lei…

E muoiono le speranze.

Tutto rimane fermo intorno a me, o meglio tutto si muove intorno a me. Mi vedo come un’immagine dove io, nitido, abito al centro e tutto il resto è mosso, causa un esposizione troppo lenta. Troppo atroce.

Vorrei che non fosse così complicato.

E quando la vedo alzarsi e andar via qualcosa si spezza in me, per un’altra volta, per la millesima volta nella mia vita. Qualcosa che non sono riuscito a vivere si spezza, se ne va, sparisce.

Un altro come sarebbe stato, se fosse, se

Dopo esserci mangiati le nostre bistecche alla griglia ci prendiamo un caffè e un paio di ammazza caffè.

Un limoncello e una crema di whiskey.

Sono sempre io.

Poi dopo le consuete chiacchiere da bar con il nostro amico usciamo. Checco è stanco. Non ha molta voglia di fare un giro in centro e sono io a convincerlo stavolta perché ormai siamo in ballo, siamo già fuori e io devo cercare di uscire da questa mia atmosfera.

Dai su, un’oretta, ci beviamo un birra magari, si vede chi c’è.

Lo dico io stesso poco convinto ma riesco a convincerlo.

Così ci spostiamo verso il centro della vita serale della nostra piccola e misera città.

Passando dal ponte del centro parliamo del più e del meno, ma i discorsi non mi sfiorano perché la mia mente è girovaga. Sento che tutto mi entra dentro e continua ad accumularsi non so dove. Non capisco dove. Riconosco il peso di queste cose, di tutti i pensieri. Un peso impossibile per la mia anima sempre più affaticata.

E mentre cammino percepisco le gambe di legno, stroncate dal peso.

Ma non mi ascolti? Mi chiede scocciato Checco. Che non ci sono è evidente a quanto pare.

Sono trasparente.

Mangio tutto ciò che è intorno a me e non lascio niente. Solo terra bruciata.

Solo niente.

Scusa cerco di dire.

Arrivati in piazzetta ci sentiamo li per lì disorientati. C’è gente, fiumi di sconosciuti, mari di parole inutili e futili che volano, mi sfiorano e mi rimbalzano addosso. Mentre i pensieri mi si conficcano tutti nel profondo.

Non riesco ad entrare in nessuna di quelle parole. Trovo tutto banale, scontato, insignificante, noioso.

Ma sono io noioso. Non provo più nulla.

Incontriamo gente, amici nostri. Ci salutiamo. È tanto che non ci vediamo… come stai sto bene e tu?… ma è abbastanza per esserci dimenticati.

Non c’è nessun posto per me in nessuno di loro.

Aria.

Parliamo tutti insieme, sembriamo tutti amiconi, e sicuramente loro lo sono.

Poi incontro anche Camilla, una vecchia amica. Lei però non è vecchia come me.

Cerco di tornare, di parlare. Le dico delle cose carine, mi duplico e provo a fare lo splendido. Le faccio pure dei complimenti che lei però non sembra gradire. Anzi sembra pure infastidita.

Poi la guardo bene: lei ormai è una frikkettona sulla soglia della devastazione. Una devastazione diversa dalla mia, ma ugualmente implacabile.

E mi domando se una come lei merita i miei complimenti.

E a me? Come mai a me nessuno fa mai i complimenti? Ma io non voglio morire.

Stiamo tutti un’oretta in piazzetta.

È tutto noioso. Morboso. Vedo i vestiti tutti yeah, le scritte sui culi, le borsette fichette, tutte cose che passano senza lasciare niente se non qualche sguardo. È tutto un osservare, tutto un luccichio superfluo. E il mio desiderio soggioga dalla volontà.

Vorrei poter parlare di altre cose, senza dovermi guardare l’orlo dei pantaloni firmati che mi esce dalle scarpe da tennis, di marca pure quelle.

In fondo anche io sono come loro.

Mi incupisco ancor di più.

E allora perché io non riesco a non accumulare? Voglio rimanere leggero e senza niente come tutte queste persone.

Camminare e parlare con le persone senza una paura che decenni fa non ci sarebbe mai stata, non sarebbe mai esistita.

Ma adesso questo è il mondo. Tutto è così, ovunque.

Guardo gli amici e li saluto. È quasi l’una, sono stanco. Triste e stanco. Non sopporto più la gente.

Così me ne vado via. Passo attraverso tutte le persone, quasi sgusciando.

Riattraverso il ponte dove non ci sono più i pensieri di prima, li ho già mangiati tutti e sono qui dentro di me.

Cento, duecento metri. Sono arrivato.

Apro la mia macchina. La mia macchina.

E dentro per prima cosa prendo il frontalino dello stereo e lo attacco. La musica mi distrae, ma non è vero. Mi peggiora e io forse voglio che sia così.

Accendo lo stereo. Il suono della radio mi infastidisce e seleziono il cd.

Vuoto. No disc mi avvisa.

Che strano, mi sembrava di averlo ascoltato proprio prima di cena.

Vabbè.

Prendo il porta cd e lo sfoglio.

Compilation, album, misti, cazzate.

Ne scelgo uno, non leggo neanche, in fondo so cosa voglio.

Ne scelgo uno e lo inserisco nel frontalino.

In attesa che lo stereo legga i dati introduco la chiave nel cruscotto e accendo la macchina.

Mi avvolgo nella cintura di sicurezza ma mentre sto mettendo la prima vedo la scritta nel led luminoso dello stereo. Ancora la stessa scritta: no disc.

Cazzo, penso, ho le allucinazioni.

Cerco di pensare, di capire se ho davvero inserito il cd pochi secondi prima o se mi sono sognato tutto.

Tutto è così reale.

Ma poi prendo un altro cd, sempre a caso, e lo re-inserisco nello stereo.

Questo comincia a studiarlo, lettura dati mi dice ma poi, improvvisamente: no disc.

No disc? Pazzia. Impossibile. PAZZIA!

Sto impazzendo e me ne accorgo così spudoratamente?! Credevo che quando sarebbe successo sarebbe stata una cosa inconscia, una cosa indolore. E invece io impazzisco e mi rendo conto di tutto.

Spengo la macchina, la cosa si fa seria.

Prendo un altro cd e lo infilo ancora nello stereo. Questa volta leggo il titolo dell’album: “Le Fibrazioni”.

Ok vediamo, penso.

Non stacco gli occhi dallo stereo. Passano pochi secondi e la scritta è la stessa.

No disc.

Niente disco. Nessun disco.

Ma dove cazzo vanno a finire i dischi?

Ho paura, comincio a sentirmi le ascelle sudare freddo. Un sudore ghiaccio che mi gela anche il cuore.

Prendo il penultimo cd e lo inserisco, ormai voglio finire tutto e dopo l’ennesimo no disc inserisco anche l’ultimo.

No disc.

Tolgo il frontalino. Lo osservo bene, poi osservo lo stereo.

Ok sono impazzito.

Esco dalla macchina e mi accendo una sigaretta.

Le mani mi tremano.

È un passo importante varcare la soglia della realtà, della pazzia o di entrambe. Ormai non so più dove sta la verità.

Io sono la verità?

Io mi sono sempre ingannato, mi sono sempre rifiutato. Come faccio a credermi, a cosa devo credere adesso?

La mia macchina si è mangiata tutti i cd.

Io mi mangio tutti i pensieri. E non so dove vanno a finire. Sento solo il loro enorme peso.

E affogo, come ingolfato, annaspo.

Mi domando allora, perché non vivere questa pazzia? Perché non provare a essere così come credo di essere.

Perché non vivere il mio incubo?

Torno in macchina e la metto in moto. Poi accendo lo stereo.

Niente cd stavolta. Solo radio.

Sintonizzo una stazione, frequenza 255.2 dove una squisita musica mi affonda nel sedile, poi ingrano la prima e parto. Volo via.

È un volo lento e leggero. Senza guardare la strada guido rilassandomi. Non ne ho bisogno perché volo via.

Un volo, in alto con tutti i miei pesi, pronto a inalare tutti i pensieri e tutte le parole. Adesso che non ho piú niente da perdere e da dubitare mi sento cosí leggero e irreale che guardo giú e saluto tutte quelle persone intente a sfuggirmi. Io vi saluto.   

giaco