Sto morendo.

È questo che sto pensando.

Fuori dalla finestra semi aperta entra un po’ di freddo, aria di inverno appena cominciato, aria di pioggia viziata colata tra le strutture di questi vecchi edifici usurati.

E io sto morendo.

Finalmente la vescica si rilassa. Finalmente.

Erano almeno due ore che dovevo venire al bagno ma non ho avuto tempo. Non posso permettermi tempo. Non è vita questa. Non lo è.

La mia vescica è rilassata e mentre soddisfo il mio bisogno fisico riguardo fuori.

Pochi schizzi di pioggia adesso che mi mettono una malinconia profondissima addosso. Mi penetra nelle ossa, non riesco a rallegrarmi proprio. Chiuso qui da troppo tempo, tempo perso. L’unica salvezza è l’ora di uscita, ma sempre troppo tardi, sempre otto ore dopo il normale. E in queste otto ore cosa mi succede, cosa accade al mio corpo?

Finito il bisogno mi riabbottono i pantaloni e vado al lavandino. L’acqua del rubinetto è tiepida, una sensazione quasi piacevole. Solo quasi però. Per il resto rimane quell’impressione di freddezza.

Mentre mi lavo le mani guardo lo specchio che riflette la mia immagine. Cosa mi sta succedendo. Non sono più il giovane ragazzo che ricordavo. Sto perdendo tutto me stesso chiuso in questo posto, cosa ne sarà di me dopo tutto ciò? Cosa mi rimarrà?

Chiudo l’acqua. Le salviette per asciugarsi le mani sono finite, come al solito. Così mi asciugo le mani nei pantaloni, soprattutto nel punto dietro il sedere. I piaceri del lavoro…

Faccio per uscire ma primo mi giro per dare l’ultima occhiata fuori da quella finestra sempre mezza chiusa o mezza aperta: la pioggia sta aumentando e il tempo non promette niente di buono neanche per i giorni a venire. Niente di buono.

Ma tanto, io sarò qua…