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Brevi note sulla riforma dello studio del Diritto canonico
In data 2 settembre 2002 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha emanato un
Decreto , approvato in forma specifica ("contrariis quibuslibet non obstantibus")
dal romano Pontefice, “con cui viene rinnovato l’ordine degli studi nelle Facoltà
di Diritto canonico” e negli Istituti di Diritto Canonico comunque dipendenti dalla
stessa Congregazione; il Decreto di fatto opera semplicemente la sostituzione dell’
Art. 76 della Cost. Ap. Sapientia Christiana del 1979 , e degli Artt. 56 e
57 degli acclusi Regolamenti, aggiungendo all’articolato percorso della normazione
dello studio di questa disciplina ecclesiastica —quattro riforme nell’arco di soli
85 anni — una nuova tappa di grande importanza, che non sarà certo definitiva,
ma potrebbe finalmente godere di buona stabilità.
Gli elementi più vistosi e significativi che caratterizzano la nuova riforma
sono sostanzialmente due:
1) l’introduzione dello studio non formale della lingua latina lungo tutto l’iter
di formazione,
2) l’introduzione dello studio di specifiche materie teologiche nel c. d. ‘primo
ciclo’ di studi.
In tal modo il Decreto, al di là delle diverse ‘premesse’ e considerazioni addotte
nella parte introduttiva per giustificare le scelte operate, introduce una novità
sostanziale nello studio del Diritto Canonico: la decisa apertura alla Teologia,
superando d’impeto tutte le possibili attese e previsioni lungamente discusse ed
argomentate da più parti soprattutto nell’ultimo quarantennio.
La lingua latina Lo studio ‘significativo’ della lingua latina s’impone come una necessità
tecnica irrinunciabile sia per gli ecclesiastici che per i laici che si avvicinano
oggi al Diritto Canonico; tanto, infatti, la formazione primaria che secondaria in
Europa non contemplano più la conoscenza della lingua latina come elemento (‘pedagogico’
e) ‘propedeutico’ per gli studi umanistici ‘superiori’ ed il resto del mondo (Asia,
Africa, nord America, Oceania) lo ignora quasi del tutto. Il fatto, tuttavia, che
il latino rimanga la lingua ufficiale della giuridicità cattolica (anche orientale)
pone la questione linguistica in modo serio, ben al di là della necessaria conoscenza
di almeno due lingue ‘moderne’ oltre la propria, già richiesta da anni per conseguire
la Licentia docendi. Un canonista infatti che non sia in grado di accedere
direttamente al testo ‘ufficiale’ della norma ed alle sue fonti dottrinali, storiche
e giurisprudenziali (soprattutto per quanto concerne i Tribunali pontifici) non sarebbe
(e di fatto oggi non è) in grado di svolgere in modo neppure sufficiente il
proprio lavoro, foss’anche a livello c.d. ‘pratico’; il tutto ‘aggravato’ dalla considerazione
che, non solo la maggioranza assoluta dei laici già laureti in Diritto Civile,
ma anche buona parte degli ecclesiastici che provengono dal Corso Istituzionale di
Teologia hanno alle spalle una formazione di natura ‘tecnica’ e non più ‘liceale’
com’era invece al tempo del pieno funzionamento dei ‘Seminari minori’ da cui quasi
esclusivamente si accedeva agli studi Teologici.
Il latino viene pertanto introdotto dal Decreto di riforma degli studi canonistici
come materia obbligatoria nei primi due ‘cicli’ in modo diretto: “lingua latina”
e nel ‘terzo ciclo’ in forma ‘mediata’: “latinità canonica” .
Le discipline teologiche Di ben altra portata sostanziale è, invece, l’introduzione diretta dello
studio delle discipline teologiche nella formazione di base del canonista; sono queste,
infatti, la vera novità del nuovo Art. 76a) dell’aggiornata Cost. Ap. Sapientia
Christiana che le introduce per una durata di ben due anni, facendone di fatto
l’ossatura portante di tutto il ‘primo ciclo’, restituendo in tal modo alla ‘Licenza’
ed al ‘Dottorato’ la specifica, ed assodata, natura di ‘specializzazioni’ rispetto
alla formazione teologica già conseguita, come già per le altre ‘scienze
sacre’, secondo lo schema: Baccalaureato in Filosofia, Baccalaureato in S. Teologia,
Licenza, Dottorato, come organicamente previsto dagli Artt. 47, 72,81 della Cost.
Ap. Sapientia Christiana .
Quanto richiesto dalla nuova formulazione dell’Art. 56, 1° dei Regolamenti assume
un rilievo del tutto speciale non solo rispetto alla precedente situazione ma, più
ancora, nell’equilibrio generale del nuovo corso di studi canonistici, in quanto
le nuove materie introdotte non sono discipline ‘genericamente teologiche’ ma vere
e proprie ‘Teologie’:
Introduzione alla S. Scrittura,
Teologia fondamentale: rivelazione divina, sua trasmissione e credibilità,
Teologia trinitaria,
Cristologia,
Trattato sulla grazia,
Ecclesiologia (in modo speciale),
Teologia sacramentale: generale e speciale,
Teologia morale: fondamentale e speciale,
affiancate, per altro, da “elementi di filosofia” quali: Antropologia filosofica,
Metafisica ed Etica; le Istituzioni generali di Diritto Canonico completano in senso
giuridico un quadro che non lascia dubbi circa la ‘natura’ e ‘portata’ della propria
consistenza.
La sostanza della riforma Già nel 1979 le Norme applicative della Cost. Ap. Sapientia Christiana
avevano previsto per la prima volta l’insegnamento di "elementi di sacra teologia
(specialmente di ecclesiologia e di teologia sacramentaria)", indicando così
quali avrebbero dovuto essere i contenuti teologici da offrire ai futuri canonisti,
iniziando in tal modo a ricomporre, seppur timidamente, il ‘divorzio’ tra Diritto
e Teologia, introdottosi in seguito alla promulgazione del CIC pio-benedettino e
delle conseguenti norme per il suo studio; il CIC ’17 infatti, secondo vari studiosi
contemporanei,
"segnerebbe il punto di massima separazione fra diritto e teologia, fra diritto
e morale, esprimerebbe un singolare e inatteso processo di “secolarizzazione"
del diritto della Chiesa che, contro ogni intenzione, lo avrebbe avvicinato alla
pur sospetta cultura della “modernità”" .
Di fatto l’introduzione nel 1979 degli “Elementi di Sacra Teologia” tra le discipline
complementari a quelle ‘codiciali’ costituiva un’applicazione delle direttive conciliari
di OT 16 integrando gli indirizzi esegetici e storici di base con quelli, soprattutto
ecclesiologici, espressi dal Vaticano II principalmente nella Costituzione Dogmatica
Lumen Gentium.
Lunga era già stata negli anni ’60 e ’70 la discussione circa le componenti
teologiche e giuridiche del Diritto canonico fino alla ‘nascita’ di una nuova disciplina
canonistica: la “Teologia del Diritto (canonico)” cui molti, incoraggiati anche da
interventi pontifici di vario genere e natura, iniziavano a far concreto riferimento
ed affidamento sull’onda della c.d. Scuola di Monaco (K. Mörsdorf, W. Aymans,
A. Rouco Varela, E. Corecco et alii). La nuova disciplina tuttavia, del tutto
ignorata nelle disposizioni sia pontificie che della Congregazione, non riuscì
in quell’occasione a diventare ‘accademica’ e dovette accontentarsi di rimanere in
limine rispetto all’ordinamento degli studi canonistici stabilito dalla Cost.
Ap. Sapientia Christiana. Nonostante i Regolamenti e gli Ordo studiorum
di diverse Facoltà ed Istituti di Diritto Canonico utilizzarono la formula quale
sinonimo dei previsti “Elementi di Sacra Teologia”, questo non comportò l’adozione
della prospettiva monacense che voleva la “Teologia del Diritto” quale necessaria
‘fondazione epistemologica’ del Diritto canonico e base indiscussa di qualunque attività
canonistica, anche a livello metodologico… in fondo si trattò di un semplice
‘espediente’ terminologico che non trovò neppure l’approvazione degli stessi
autori maggiormente interessati a questa prospettiva; scrive, a proposito delle situazione
più generale che aveva portato a questo esito all’inizio degli anni ’80, C.M.
Redaelli:
"un primo modo di pensare che ha confuso la situazione invece di chiarirla è
quello che ha visto nella rivendicazione della qualificazione teologica del diritto
canonico e della canonistica una scorciatoia per superarne la crisi. Può sembrare
strano e ingenuo, ma in un momento storico caratterizzato da una profonda difficoltà
del diritto della Chiesa e della canonistica con un sostanziale rifiuto da parte
del popolo di Dio e, di contro, da un diffuso consenso e valorizzazione ecclesiale
della teologia, poter dire che il diritto canonico ha un fondamento teologico, ha
basi teologiche ecc. e che la canonistica è —magari sui generis— una
scienza teologica, era come affermare che diritto e canonistica sono qualcosa che
valgono nella Chiesa. Il semplicismo dell’argomentazione può far sorridere:
eppure almeno parte del dibattito sulla teologicità del diritto canonico è
stata condizionata, più o meno implicitamente, da questa impostazione o, se
si vuole, da questo desiderio di riabilitare il diritto, la canonistica e ... i canonisti,
dando a tutto e a tutti una generica, ma ambita, qualificazione teologica.
Evidentemente una tale impostazione non porta lontano: non spiega, al di là
del termine, in che cosa consista la teologicità della canonistica; non porta
a dare un’autentica e convincente fondazione al diritto ecclesiale; non inserisce
in maniera seria ed efficace la canonistica nel quadro delle scienze teologiche"
.
Quanto non conseguito nel 1979 viene però raggiunto con l’Art. 56, 2°,
b) del Regolamento del 2002: la “Teologia del Diritto canonico” diventa disciplina
accademica all’interno del secondo ciclo di studi per la Licenza.
Il fatto è tuttavia ben poco significativo sia sotto l’aspetto formale che,
molto maggiormente, sotto quello sostanziale; come già indicato infatti, la
nuova disciplina accademica si trova ora preceduta (e surclassata) da una lunga lista
di vere e proprie ‘Teologie’ di ben altra portata e significatività; il fatto,
poi, di essere affiancata ad una “Filosofia del Diritto”, anch’essa preceduta da
corsi di ben altra specificità, contribuisce ancor maggiormente a suggerire
di queste due materie un profilo di semplice ‘mediazione’ tra le discipline fondamentali
‘pure’ (Teologie e Filosofia) ed il cuore dell’ambito tecnico-giuridico.
La scelta posta alla base delle riforma del 2002 appare dunque evidente: prima di
iniziare gli studi canonistici occorre conoscere la Teologia vera e propria, poiché
ciò che caratterizza come proprium il Diritto canonico ab imis fundamentis
non è la Teologia ‘interna’ allo stesso Diritto canonico ma quella che lo precede:
fondamentale, dogmatica, cristologia, ecclesiologia, sacramentaria… confermando il
principio che la specializzazione in Diritto canonico presuppone una vera —per quanto
generale— formazione teologica. Ben diversa è invece la ‘gestione’ del dato
teologico all’interno dell’orizzonte giuridico… di essa può legittimamente occuparsi
una specifica disciplina denominata (eventualmente) “Teologia del diritto canonico”.
Il ‘nodo’ del problema Quanto sin qui illustrato a partire dalla recente riforma degli studi canonistici
ecclesiastici risulta sufficiente per rendersi conto che il Decreto coinvolge materia
ancora oggetto di contesa dottrinale, apportando in tal modo un contributo decisivo
(ed autoritativo) ad una delineazione più oggettiva della questione, quando
addirittura non la risolva del tutto: Diritto canonico e Teologia devono senza dubbio
alcuno rapportarsi, ma rimanendo ciò che più propriamente sono in se stessi.
L’indicazione del Decreto del settembre 2002 assume in questo modo un valore epistemologico
di primaria importanza esplicitando come il vero ‘tema’ da affrontare nel rapporto
tra Teologia e Diritto canonico riguardi in realtà soltanto il ‘come’ le due
discipline autonome interagiscano reciprocamente: è questo l’oggetto proprio
di una ‘vera’ Teologia del Diritto canonico; per il resto la Teologia deve restare
tale e così pure il Diritto canonico, pena lo scadere nel ‘teologismo’ che
"consiste nel considerare l’interpretazione teologica come l’unica versione
veritiera o adeguata del reale. Questo spirito porta il teologo ad opporre artificialmente
la lettura teologica ad altre letture, come se l’unica lettura legittima fosse la
sua. Egli critica il ‘materialismo’ o la ‘parzialità’ delle altre letture, come
se quella teologica fosse la lettura totale ed esaustiva della realtà… Si dà
teologismo laddove una teologia ha la pretesa di incontrare dentro le proprie
mura tutto ciò che è necessario per esprimere adeguatamente il Politico
[ed il Canonico]" .
"Procedere come se la Teologia dovesse dare ordini alle altre discipline è
non solo un anacronismo, per di più inutile, ma anche l’espressione di quell’eccesso
che tenta di saper tutto e che nella Teologia assume la figura del ‘teologismo’.
In ambito d’incontro con le scienze, il ‘teologismo’ si caratterizza per questa volontà
panlogista di spiegare tutto e totalmente col ricorso esclusivo alle forze spirituali
o ai fattori soprannaturali. In tal modo non sospetta la necessità di introdurre,
tra i fenomeni in questione ed il significato teologico, le innumerevoli mediazioni
disvelate dalle scienze" .
Pare pertanto possibile affermare che il maggior apporto del Decreto di riforma sia
da individuarsi sotto il profilo epistemologico poiché il Decreto permette,
se pur indirettamente, di risolvere finalmente l’annosa questione della definizione
delle caratteristiche della scienza canonistica in quanto a ‘natura’, ‘oggetto’ e
‘metodo’… elementi senza dei quali non potrebbe esistere come scienza autonoma.
Distinguendo accuratamente il Diritto canonico (secondo ciclo di studio) dalle sue
necessarie ed abbondanti premesse teologiche (primo ciclo), risulta evidente che
la Canonistica è scienza giuridica, con oggetto giuridico, metodo giuridico
e contenuto teologico (ecclesiologico-sacramentale), secondo il chiarissimo insegnamento
di T. Jimenez Urresti, convinto avversario dell’impostazione pan-teologista della
Scuola di Monaco-Lugano.
L’apporto del grande canonista spagnolo aveva raggiunto proprio in questo contesto
la sua massima espressione distinguendo accuratamente diversi ‘livelli’ della Teologia:
quella propriamente detta e quella di ‘secondo grado’ che ha per oggetto le cose
umane e le creature in quanto riferite a Dio come proprio principio e fine in un
orizzonte ampio quanto le realtà terrene ed umane, che possono così diventare
tutte ‘oggetto’ indistinto e generico di Teologia; sono le c.d. ‘Teologie aggettivate’,
dette anche ‘teologie dei genitivi’:
"negli ultimi decenni son venute formulandosi molte [di queste Teologie], tra
di esse le teologie della storia, della politica, della rivoluzione, della liberazione;
…e la teologia del Diritto canonico. Esse hanno reso di attualità il
tema del loro metodo: della loro ragione formale logica, del regime interno del loro
procedere, della loro critica scientifica o epistemologia" .
In realtà queste c.d. ‘Teologie’ di secondo grado costituiscono un’altra
realtà teologica, non certamente ex æquo con la Teologia propriamente
detta, la quale ha per oggetto la Rivelazione divina, occupandosi principaliter
de Deo, principalius de rebus divinis… proprio ciò che la riforma del settembre
2002 articola con chiarezza: prima la Teologia vera e propria in tutte le sue componenti
più autentiche e profonde, poi l’integrazione del fenomeno giuridico (specialmente
canonico) all’interno del rapporto Dio Salvatore-umanità redenta (Popolo di
Dio).
Conseguenze epistemologiche La scelta netta operata dal sommo Legislatore attraverso lo strumento normativo
più alto a sua disposizione, la Costituzione Apostolica , supera senz’appello
il sostanziale ‘teologismo’ che aveva caratterizzato il pensiero dei discepoli di
K. Mörsdorf portandoli a creare una ‘loro’ Teologia del Diritto:
"il problema dell’esistenza del “ius canonicum” è un problema essenzialmente
teologico: appartiene al contenuto centrale della teologia, perché appartiene
al contenuto essenziale della fede. Non può essere risolto al di fuori di questa.
Sarebbe di conseguenza scorretto affrontarlo partendo con presupposti metodologici
di ispirazione filosofica, sia di tipo giusnaturalistico, come ha fatto la scuola
del “ius publicum ecclesiasticum” sia di tipo filosofico sociale. Il “locus
theologicus” del diritto canonico è il mistero dell’Incarnazione che si
ripropone nella storia attraverso il mistero della Chiesa. … Il diritto è una
realtà teologico-soprannaturale, ma come tale è anche una realtà che
deve incarnarsi nella storia, assumendo forme giuridiche anche umane" e
"il merito di detta impostazione sotto il profilo metodologico consiste indubbiamente
nel fatto che la prova dell’esistenza del diritto ecclesiale viene offerta operando
su un fondamento nettamente teologico, che vuol rompere con ogni precomprensione
di tipo filosofico-sociologico di marca giusnaturalista" .
Proprio di una Teologia del Diritto così concepita M. Zimmerman aveva efficacemente
segnalato le ristrettezze e la ‘degenerazione’:
"per certi teologi critici delle istituzioni ecclesiali la teologia sola è
in grado di apportare rimedio alla crisi del diritto attuale, letta come crisi del
diritto canonico. Non è affatto l’ordine giuridico ad essere in crisi ma l’ordine
giuridico ecclesiale considerato non come strutturalmente ma come ontologicamente
diverso, un ordine giuridico che ha perso in qualche modo il suo luogo d’inserimento
in questo mondo, il mondo dell’uomo. Qualche volta come in Corecco, sembra che teologia/rivelazione/fede/diritto
divino si confondano. Per di più la volontà di teologizzare può giungere
fino al metodo. Il diritto canonico non è dunque più una scienza giuridica
fornita d’un metodo giuridico conseguente. Il metodo preconizzato da Corecco e Rouco
Varela deve svilupparsi nel rifiuto di “tutte le precomprensioni filosofiche formali
del diritto”. Liberata da questo rifiuto preliminare e ponendosi nella pura fede
svincolata del “sociale umano (biologico)”, la teologia del diritto canonico può
cogliere la società ecclesiale come “socialità generata unicamente nella
grazia e conosciuta solamente nella fede”. Un diritto sacralizzato …che si risolve
teoricamente nell’equivalenza diritto divino/salvezza/legislazione e praticamente
nell’affermazione del potere del vescovo di cui il diritto non è, alla fine,
che l’ornamento della sacralità" .
Alle caratteristiche —e pretese— di ‘questa’ Teologia del Diritto canonico non pare
rispondere in nulla la nuova disciplina ‘omonima’ introdotta nel secondo ciclo di
studi dalla recente riforma, che la pone come semplice disciplina complementare (per
quanto obbligatoria) all’interno di un quadro caratterizzato senza esitazioni dalla
piena giuridicità; d’altra parte già il Sinodo dei Vescovi del 1969 aveva
stabilito con chiarezza, quale primo principio per la revisione del CIC ’17, che
il Codice di Diritto Canonico avesse natura ‘giuridica’ a tutti gli effetti… Ciò
che la nuova decisione pontificia circa le modalità di studio superiore del
Diritto Canonico sancisce definitivamente distinguendo con chiarezza tra la (previa)
formazione teologica di base, da attuarsi nel primo ciclo di studi (irrinunciabile
per tutti i canonisti), e la vera formazione ‘giuridica’ dei successivi due cicli
di studio.
In effetti, se si esce dalla logica intrinsecista ed autoreferenziale (in realtà
positivistica ed autoritaria) di un Diritto autofondante, anche se in modo ‘teologico’,
si deve senz’altro ammettere che i ‘contenuti’ di qualunque ordinamento giuridico
gli rimangono ‘esterni’ (per quanto non estranei) e vanno ricercati al livello filosofico,
per il diritto statuale ed internazionale, ed anche teologico per il diritto canonico.
Conseguenze didattiche La nuova “Teologia del Diritto” introdotta dal Decreto del 2002 ‘in coda’ ai
corsi di Teologia stricte dicta appare ormai con chiarezza nella sua vera
natura di ‘teologia impropria’ (o ‘di secondo grado) ben diversa tanto dagli "elementi
di sacra teologia (specialmente di ecclesiologia e di teologia sacramentaria)",
indicati nella prima stesura della Sapientia Christiana, quanto dalla pan-teologista
‘Teologia del Diritto canonico’ lungamente propugnata della Scuola di Monaco-Lugano…
Cosa dunque dovranno insegnare dall’anno accademico 2003-2004 i Docenti di questa
nuova materia canonistica?
La domanda non è oziosa.
Probabilmente la via da percorrere sarà quella della riflessione metodologica
sulle modalità di rapporto-integrazione tra la Teologia vera e propria che,
ragionando sulla Rivelazione, individua e seleziona i dati irrinunciabili per la
vita ecclesiale, e la Scienza giuridica che, secondo le ‘tecniche’ proprie, deve
approntare gli strumenti necessari per la loro significatività istituzionale
e pastorale nella concretezza del vissuto quotidiano delle diverse Comunità
ecclesiali.
La nuova disciplina accademica dovrà presentarsi come un ‘crinale’ tra le due
‘valli’ della Scienza teologica e della Scienza giuridica …un ‘crinale’ da cui scorgere
le precise specificità dell’uno e dell’altro ‘sapere’, individuando i migliori
‘valichi’ per la loro interconnessione, evitando accuratamente fondamentalismi e
corto-circuiti metodologici: non si fa Diritto in modo teologico né Teologia
in modo giuridico… ma ogni scienza dev’essere conosciuta e sviluppata secondo la
propria natura più specifica.
Spetta invece al livello ‘interdisciplinare’ fissare le modalità migliori per
l’incontro, lo scambio e l’eventuale sintesi tra le diverse discipline; il tentativo
di proporre qualcosa di simile dall’interno (o peggio, all’interno) di una singola
disciplina porta non solo a delegittimare la ‘sintesi’ proposta ma, più ancora,
l’intero impianto ‘sistematico’ di chi volesse giungere a tale meta; la ‘nuova’ Teologia
del Diritto canonico dovrà(potrà) costituire il primo livello interdisciplinare
tra le scienze del Diritto canonico e della Teologia, aprendosi progressivamente
al dialogo col resto del ‘sapere’ ecclesiastico.
E’ l’indirizzo stabilito a suo tempo dal Concilio:
"tutte le discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più
vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si ponga speciale cura
nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente
fondata sulla sacra scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo
e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo. Così
pure nella esposizione del diritto canonico e nell’insegnamento della storia ecclesiastica
si tenga presente il mistero della chiesa, secondo la costituzione dogmatica “De
Ecclesia” promulgata da questo concilio" .
E’ l’indirizzo che Giovanni Paolo II ha indicato con chiarezza nella Cost. Ap. Sacræ
Disciplinæ Leges con cui promulgava il primo dei Codici di Diritto canonico
revisionati a seguito del Vaticano II:
"Lo strumento, che è il codice, corrisponde in pieno alla natura della
chiesa, specialmente come vien proposta dal magistero del concilio Vaticano II in
genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo
senso, questo nuovo codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre
in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare.
Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio “canonistico” l’immagine
della chiesa, tuttavia a questa immagine il codice deve sempre riferirsi, come a
esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è
possibile, per sua natura.
Da qui derivano alcuni criteri fondamentali, che reggono tutto il nuovo codice, nell’ambito
della sua specifica materia, come pure nel linguaggio collegato con essa.
Si potrebbe anzi affermare che da qui proviene anche quel carattere di complementarità
che il codice presenta in relazione all’insegnamento del concilio Vaticano II, con
particolare riguardo alle due costituzioni, dogmatica Lumen gentium e pastorale
Gaudium et spes" .
E’ l’indirizzo che ancora stimati autori rifiutano di seguire pretendendo di ‘creare’
teologie a partire dal Diritto anziché facendo Diritto alla luce della Teologia
.
prof. Gherri Paolo
Inc. Teologia del Diritto canonico
Pont. Univ. Lateranense - Roma
pubblicato in: IL DIRITTO ECCLESIASTICO, CXIV (2003), 1503-1513.