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Brevi note sulla riforma dello studio del Diritto canonico



In data 2 settembre 2002 la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha emanato un Decreto , approvato in forma specifica ("contrariis quibuslibet non obstantibus") dal romano Pontefice, “con cui viene rinnovato l’ordine degli studi nelle Facoltà di Diritto canonico” e negli Istituti di Diritto Canonico comunque dipendenti dalla stessa Congregazione; il Decreto di fatto opera semplicemente la sostituzione dell’ Art. 76 della Cost. Ap. Sapientia Christiana del 1979 , e degli Artt. 56 e 57 degli acclusi Regolamenti, aggiungendo all’articolato percorso della normazione dello studio di questa disciplina ecclesiastica —quattro riforme nell’arco di soli 85 anni — una nuova tappa di grande importanza, che non sarà certo definitiva, ma potrebbe finalmente godere di buona stabilità.
Gli elementi più vistosi e significativi che caratterizzano la nuova riforma sono sostanzialmente due:
1) l’introduzione dello studio non formale della lingua latina lungo tutto l’iter di formazione,
2) l’introduzione dello studio di specifiche materie teologiche nel c. d. ‘primo ciclo’ di studi.
In tal modo il Decreto, al di là delle diverse ‘premesse’ e considerazioni addotte nella parte introduttiva per giustificare le scelte operate, introduce una novità sostanziale nello studio del Diritto Canonico: la decisa apertura alla Teologia, superando d’impeto tutte le possibili attese e previsioni lungamente discusse ed argomentate da più parti soprattutto nell’ultimo quarantennio.

La lingua latina
Lo studio ‘significativo’ della lingua latina s’impone come una necessità tecnica irrinunciabile sia per gli ecclesiastici che per i laici che si avvicinano oggi al Diritto Canonico; tanto, infatti, la formazione primaria che secondaria in Europa non contemplano più la conoscenza della lingua latina come elemento (‘pedagogico’ e) ‘propedeutico’ per gli studi umanistici ‘superiori’ ed il resto del mondo (Asia, Africa, nord America, Oceania) lo ignora quasi del tutto. Il fatto, tuttavia, che il latino rimanga la lingua ufficiale della giuridicità cattolica (anche orientale) pone la questione linguistica in modo serio, ben al di là della necessaria conoscenza di almeno due lingue ‘moderne’ oltre la propria, già richiesta da anni per conseguire la Licentia docendi. Un canonista infatti che non sia in grado di accedere direttamente al testo ‘ufficiale’ della norma ed alle sue fonti dottrinali, storiche e giurisprudenziali (soprattutto per quanto concerne i Tribunali pontifici) non sarebbe (e di fatto oggi non è) in grado di svolgere in modo neppure sufficiente il proprio lavoro, foss’anche a livello c.d. ‘pratico’; il tutto ‘aggravato’ dalla considerazione che, non solo la maggioranza assoluta dei laici già laureti in Diritto Civile, ma anche buona parte degli ecclesiastici che provengono dal Corso Istituzionale di Teologia hanno alle spalle una formazione di natura ‘tecnica’ e non più ‘liceale’ com’era invece al tempo del pieno funzionamento dei ‘Seminari minori’ da cui quasi esclusivamente si accedeva agli studi Teologici.
Il latino viene pertanto introdotto dal Decreto di riforma degli studi canonistici come materia obbligatoria nei primi due ‘cicli’ in modo diretto: “lingua latina” e nel ‘terzo ciclo’ in forma ‘mediata’: “latinità canonica” .

Le discipline teologiche
Di ben altra portata sostanziale è, invece, l’introduzione diretta dello studio delle discipline teologiche nella formazione di base del canonista; sono queste, infatti, la vera novità del nuovo Art. 76a) dell’aggiornata Cost. Ap. Sapientia Christiana che le introduce per una durata di ben due anni, facendone di fatto l’ossatura portante di tutto il ‘primo ciclo’, restituendo in tal modo alla ‘Licenza’ ed al ‘Dottorato’ la specifica, ed assodata, natura di ‘specializzazioni’ rispetto alla formazione teologica già conseguita, come già per le altre ‘scienze sacre’, secondo lo schema: Baccalaureato in Filosofia, Baccalaureato in S. Teologia, Licenza, Dottorato, come organicamente previsto dagli Artt. 47, 72,81 della Cost. Ap. Sapientia Christiana .
Quanto richiesto dalla nuova formulazione dell’Art. 56, 1° dei Regolamenti assume un rilievo del tutto speciale non solo rispetto alla precedente situazione ma, più ancora, nell’equilibrio generale del nuovo corso di studi canonistici, in quanto le nuove materie introdotte non sono discipline ‘genericamente teologiche’ ma vere e proprie ‘Teologie’:
Introduzione alla S. Scrittura,
Teologia fondamentale: rivelazione divina, sua trasmissione e credibilità,
Teologia trinitaria,
Cristologia,
Trattato sulla grazia,
Ecclesiologia (in modo speciale),
Teologia sacramentale: generale e speciale,
Teologia morale: fondamentale e speciale,
affiancate, per altro, da “elementi di filosofia” quali: Antropologia filosofica, Metafisica ed Etica; le Istituzioni generali di Diritto Canonico completano in senso giuridico un quadro che non lascia dubbi circa la ‘natura’ e ‘portata’ della propria consistenza.

La sostanza della riforma
Già nel 1979 le Norme applicative della Cost. Ap. Sapientia Christiana avevano previsto per la prima volta l’insegnamento di "elementi di sacra teologia (specialmente di ecclesiologia e di teologia sacramentaria)", indicando così quali avrebbero dovuto essere i contenuti teologici da offrire ai futuri canonisti, iniziando in tal modo a ricomporre, seppur timidamente, il ‘divorzio’ tra Diritto e Teologia, introdottosi in seguito alla promulgazione del CIC pio-benedettino e delle conseguenti norme per il suo studio; il CIC ’17 infatti, secondo vari studiosi contemporanei,
"segnerebbe il punto di massima separazione fra diritto e teologia, fra diritto e morale, esprimerebbe un singolare e inatteso processo di “secolarizzazione" del diritto della Chiesa che, contro ogni intenzione, lo avrebbe avvicinato alla pur sospetta cultura della “modernità”" .

Di fatto l’introduzione nel 1979 degli “Elementi di Sacra Teologia” tra le discipline complementari a quelle ‘codiciali’ costituiva un’applicazione delle direttive conciliari di OT 16 integrando gli indirizzi esegetici e storici di base con quelli, soprattutto ecclesiologici, espressi dal Vaticano II principalmente nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium.
Lunga era già stata negli anni ’60 e ’70 la discussione circa le componenti teologiche e giuridiche del Diritto canonico fino alla ‘nascita’ di una nuova disciplina canonistica: la “Teologia del Diritto (canonico)” cui molti, incoraggiati anche da interventi pontifici di vario genere e natura, iniziavano a far concreto riferimento ed affidamento sull’onda della c.d. Scuola di Monaco (K. Mörsdorf, W. Aymans, A. Rouco Varela, E. Corecco et alii). La nuova disciplina tuttavia, del tutto ignorata nelle disposizioni sia pontificie che della Congregazione, non riuscì in quell’occasione a diventare ‘accademica’ e dovette accontentarsi di rimanere in limine rispetto all’ordinamento degli studi canonistici stabilito dalla Cost. Ap. Sapientia Christiana. Nonostante i Regolamenti e gli Ordo studiorum di diverse Facoltà ed Istituti di Diritto Canonico utilizzarono la formula quale sinonimo dei previsti “Elementi di Sacra Teologia”, questo non comportò l’adozione della prospettiva monacense che voleva la “Teologia del Diritto” quale necessaria ‘fondazione epistemologica’ del Diritto canonico e base indiscussa di qualunque attività canonistica, anche a livello metodologico… in fondo si trattò di un semplice ‘espediente’ terminologico che non trovò neppure l’approvazione degli stessi autori maggiormente interessati a questa prospettiva; scrive, a proposito delle situazione più generale che aveva portato a questo esito all’inizio degli anni ’80, C.M. Redaelli:
"un primo modo di pensare che ha confuso la situazione invece di chiarirla è quello che ha visto nella rivendicazione della qualificazione teologica del diritto canonico e della canonistica una scorciatoia per superarne la crisi. Può sembrare strano e ingenuo, ma in un momento storico caratterizzato da una profonda difficoltà del diritto della Chiesa e della canonistica con un sostanziale rifiuto da parte del popolo di Dio e, di contro, da un diffuso consenso e valorizzazione ecclesiale della teologia, poter dire che il diritto canonico ha un fondamento teologico, ha basi teologiche ecc. e che la canonistica è —magari sui generis— una scienza teologica, era come affermare che diritto e canonistica sono qualcosa che valgono nella Chiesa. Il semplicismo dell’argomentazione può far sorridere: eppure almeno parte del dibattito sulla teologicità del diritto canonico è stata condizionata, più o meno implicitamente, da questa impostazione o, se si vuole, da questo desiderio di riabilitare il diritto, la canonistica e ... i canonisti, dando a tutto e a tutti una generica, ma ambita, qualificazione teologica.
Evidentemente una tale impostazione non porta lontano: non spiega, al di là del termine, in che cosa consista la teologicità della canonistica; non porta a dare un’autentica e convincente fondazione al diritto ecclesiale; non inserisce in maniera seria ed efficace la canonistica nel quadro delle scienze teologiche" .

Quanto non conseguito nel 1979 viene però raggiunto con l’Art. 56, 2°, b) del Regolamento del 2002: la “Teologia del Diritto canonico” diventa disciplina accademica all’interno del secondo ciclo di studi per la Licenza.
Il fatto è tuttavia ben poco significativo sia sotto l’aspetto formale che, molto maggiormente, sotto quello sostanziale; come già indicato infatti, la nuova disciplina accademica si trova ora preceduta (e surclassata) da una lunga lista di vere e proprie ‘Teologie’ di ben altra portata e significatività; il fatto, poi, di essere affiancata ad una “Filosofia del Diritto”, anch’essa preceduta da corsi di ben altra specificità, contribuisce ancor maggiormente a suggerire di queste due materie un profilo di semplice ‘mediazione’ tra le discipline fondamentali ‘pure’ (Teologie e Filosofia) ed il cuore dell’ambito tecnico-giuridico.
La scelta posta alla base delle riforma del 2002 appare dunque evidente: prima di iniziare gli studi canonistici occorre conoscere la Teologia vera e propria, poiché ciò che caratterizza come proprium il Diritto canonico ab imis fundamentis non è la Teologia ‘interna’ allo stesso Diritto canonico ma quella che lo precede: fondamentale, dogmatica, cristologia, ecclesiologia, sacramentaria… confermando il principio che la specializzazione in Diritto canonico presuppone una vera —per quanto generale— formazione teologica. Ben diversa è invece la ‘gestione’ del dato teologico all’interno dell’orizzonte giuridico… di essa può legittimamente occuparsi una specifica disciplina denominata (eventualmente) “Teologia del diritto canonico”.

Il ‘nodo’ del problema
Quanto sin qui illustrato a partire dalla recente riforma degli studi canonistici ecclesiastici risulta sufficiente per rendersi conto che il Decreto coinvolge materia ancora oggetto di contesa dottrinale, apportando in tal modo un contributo decisivo (ed autoritativo) ad una delineazione più oggettiva della questione, quando addirittura non la risolva del tutto: Diritto canonico e Teologia devono senza dubbio alcuno rapportarsi, ma rimanendo ciò che più propriamente sono in se stessi.
L’indicazione del Decreto del settembre 2002 assume in questo modo un valore epistemologico di primaria importanza esplicitando come il vero ‘tema’ da affrontare nel rapporto tra Teologia e Diritto canonico riguardi in realtà soltanto il ‘come’ le due discipline autonome interagiscano reciprocamente: è questo l’oggetto proprio di una ‘vera’ Teologia del Diritto canonico; per il resto la Teologia deve restare tale e così pure il Diritto canonico, pena lo scadere nel ‘teologismo’ che
"consiste nel considerare l’interpretazione teologica come l’unica versione veritiera o adeguata del reale. Questo spirito porta il teologo ad opporre artificialmente la lettura teologica ad altre letture, come se l’unica lettura legittima fosse la sua. Egli critica il ‘materialismo’ o la ‘parzialità’ delle altre letture, come se quella teologica fosse la lettura totale ed esaustiva della realtà… Si dà teologismo laddove una teologia ha la pretesa di incontrare dentro le proprie mura tutto ciò che è necessario per esprimere adeguatamente il Politico [ed il Canonico]" .
"Procedere come se la Teologia dovesse dare ordini alle altre discipline è non solo un anacronismo, per di più inutile, ma anche l’espressione di quell’eccesso che tenta di saper tutto e che nella Teologia assume la figura del ‘teologismo’. In ambito d’incontro con le scienze, il ‘teologismo’ si caratterizza per questa volontà panlogista di spiegare tutto e totalmente col ricorso esclusivo alle forze spirituali o ai fattori soprannaturali. In tal modo non sospetta la necessità di introdurre, tra i fenomeni in questione ed il significato teologico, le innumerevoli mediazioni disvelate dalle scienze" .

Pare pertanto possibile affermare che il maggior apporto del Decreto di riforma sia da individuarsi sotto il profilo epistemologico poiché il Decreto permette, se pur indirettamente, di risolvere finalmente l’annosa questione della definizione delle caratteristiche della scienza canonistica in quanto a ‘natura’, ‘oggetto’ e ‘metodo’… elementi senza dei quali non potrebbe esistere come scienza autonoma.
Distinguendo accuratamente il Diritto canonico (secondo ciclo di studio) dalle sue necessarie ed abbondanti premesse teologiche (primo ciclo), risulta evidente che la Canonistica è scienza giuridica, con oggetto giuridico, metodo giuridico e contenuto teologico (ecclesiologico-sacramentale), secondo il chiarissimo insegnamento di T. Jimenez Urresti, convinto avversario dell’impostazione pan-teologista della Scuola di Monaco-Lugano.
L’apporto del grande canonista spagnolo aveva raggiunto proprio in questo contesto la sua massima espressione distinguendo accuratamente diversi ‘livelli’ della Teologia: quella propriamente detta e quella di ‘secondo grado’ che ha per oggetto le cose umane e le creature in quanto riferite a Dio come proprio principio e fine in un orizzonte ampio quanto le realtà terrene ed umane, che possono così diventare tutte ‘oggetto’ indistinto e generico di Teologia; sono le c.d. ‘Teologie aggettivate’, dette anche ‘teologie dei genitivi’:
"negli ultimi decenni son venute formulandosi molte [di queste Teologie], tra di esse le teologie della storia, della politica, della rivoluzione, della liberazione; …e la teologia del Diritto canonico. Esse hanno reso di attualità il tema del loro metodo: della loro ragione formale logica, del regime interno del loro procedere, della loro critica scientifica o epistemologia" .
In realtà queste c.d. ‘Teologie’ di secondo grado costituiscono un’altra realtà teologica, non certamente ex æquo con la Teologia propriamente detta, la quale ha per oggetto la Rivelazione divina, occupandosi principaliter de Deo, principalius de rebus divinis… proprio ciò che la riforma del settembre 2002 articola con chiarezza: prima la Teologia vera e propria in tutte le sue componenti più autentiche e profonde, poi l’integrazione del fenomeno giuridico (specialmente canonico) all’interno del rapporto Dio Salvatore-umanità redenta (Popolo di Dio).

Conseguenze epistemologiche
La scelta netta operata dal sommo Legislatore attraverso lo strumento normativo più alto a sua disposizione, la Costituzione Apostolica , supera senz’appello il sostanziale ‘teologismo’ che aveva caratterizzato il pensiero dei discepoli di K. Mörsdorf portandoli a creare una ‘loro’ Teologia del Diritto:
"il problema dell’esistenza del “ius canonicum” è un problema essenzialmente teologico: appartiene al contenuto centrale della teologia, perché appartiene al contenuto essenziale della fede. Non può essere risolto al di fuori di questa. Sarebbe di conseguenza scorretto affrontarlo partendo con presupposti metodologici di ispirazione filosofica, sia di tipo giusnaturalistico, come ha fatto la scuola del “ius publicum ecclesiasticum” sia di tipo filosofico sociale. Il “locus theologicus” del diritto canonico è il mistero dell’Incarnazione che si ripropone nella storia attraverso il mistero della Chiesa. … Il diritto è una realtà teologico-soprannaturale, ma come tale è anche una realtà che deve incarnarsi nella storia, assumendo forme giuridiche anche umane" e
"il merito di detta impostazione sotto il profilo metodologico consiste indubbiamente nel fatto che la prova dell’esistenza del diritto ecclesiale viene offerta operando su un fondamento nettamente teologico, che vuol rompere con ogni precomprensione di tipo filosofico-sociologico di marca giusnaturalista" .

Proprio di una Teologia del Diritto così concepita M. Zimmerman aveva efficacemente segnalato le ristrettezze e la ‘degenerazione’:
"per certi teologi critici delle istituzioni ecclesiali la teologia sola è in grado di apportare rimedio alla crisi del diritto attuale, letta come crisi del diritto canonico. Non è affatto l’ordine giuridico ad essere in crisi ma l’ordine giuridico ecclesiale considerato non come strutturalmente ma come ontologicamente diverso, un ordine giuridico che ha perso in qualche modo il suo luogo d’inserimento in questo mondo, il mondo dell’uomo. Qualche volta come in Corecco, sembra che teologia/rivelazione/fede/diritto divino si confondano. Per di più la volontà di teologizzare può giungere fino al metodo. Il diritto canonico non è dunque più una scienza giuridica fornita d’un metodo giuridico conseguente. Il metodo preconizzato da Corecco e Rouco Varela deve svilupparsi nel rifiuto di “tutte le precomprensioni filosofiche formali del diritto”. Liberata da questo rifiuto preliminare e ponendosi nella pura fede svincolata del “sociale umano (biologico)”, la teologia del diritto canonico può cogliere la società ecclesiale come “socialità generata unicamente nella grazia e conosciuta solamente nella fede”. Un diritto sacralizzato …che si risolve teoricamente nell’equivalenza diritto divino/salvezza/legislazione e praticamente nell’affermazione del potere del vescovo di cui il diritto non è, alla fine, che l’ornamento della sacralità" .

Alle caratteristiche —e pretese— di ‘questa’ Teologia del Diritto canonico non pare rispondere in nulla la nuova disciplina ‘omonima’ introdotta nel secondo ciclo di studi dalla recente riforma, che la pone come semplice disciplina complementare (per quanto obbligatoria) all’interno di un quadro caratterizzato senza esitazioni dalla piena giuridicità; d’altra parte già il Sinodo dei Vescovi del 1969 aveva stabilito con chiarezza, quale primo principio per la revisione del CIC ’17, che il Codice di Diritto Canonico avesse natura ‘giuridica’ a tutti gli effetti… Ciò che la nuova decisione pontificia circa le modalità di studio superiore del Diritto Canonico sancisce definitivamente distinguendo con chiarezza tra la (previa) formazione teologica di base, da attuarsi nel primo ciclo di studi (irrinunciabile per tutti i canonisti), e la vera formazione ‘giuridica’ dei successivi due cicli di studio.

In effetti, se si esce dalla logica intrinsecista ed autoreferenziale (in realtà positivistica ed autoritaria) di un Diritto autofondante, anche se in modo ‘teologico’, si deve senz’altro ammettere che i ‘contenuti’ di qualunque ordinamento giuridico gli rimangono ‘esterni’ (per quanto non estranei) e vanno ricercati al livello filosofico, per il diritto statuale ed internazionale, ed anche teologico per il diritto canonico.

Conseguenze didattiche
La nuova “Teologia del Diritto” introdotta dal Decreto del 2002 ‘in coda’ ai corsi di Teologia stricte dicta appare ormai con chiarezza nella sua vera natura di ‘teologia impropria’ (o ‘di secondo grado) ben diversa tanto dagli "elementi di sacra teologia (specialmente di ecclesiologia e di teologia sacramentaria)", indicati nella prima stesura della Sapientia Christiana, quanto dalla pan-teologista ‘Teologia del Diritto canonico’ lungamente propugnata della Scuola di Monaco-Lugano…
Cosa dunque dovranno insegnare dall’anno accademico 2003-2004 i Docenti di questa nuova materia canonistica?
La domanda non è oziosa.

Probabilmente la via da percorrere sarà quella della riflessione metodologica sulle modalità di rapporto-integrazione tra la Teologia vera e propria che, ragionando sulla Rivelazione, individua e seleziona i dati irrinunciabili per la vita ecclesiale, e la Scienza giuridica che, secondo le ‘tecniche’ proprie, deve approntare gli strumenti necessari per la loro significatività istituzionale e pastorale nella concretezza del vissuto quotidiano delle diverse Comunità ecclesiali.
La nuova disciplina accademica dovrà presentarsi come un ‘crinale’ tra le due ‘valli’ della Scienza teologica e della Scienza giuridica …un ‘crinale’ da cui scorgere le precise specificità dell’uno e dell’altro ‘sapere’, individuando i migliori ‘valichi’ per la loro interconnessione, evitando accuratamente fondamentalismi e corto-circuiti metodologici: non si fa Diritto in modo teologico né Teologia in modo giuridico… ma ogni scienza dev’essere conosciuta e sviluppata secondo la propria natura più specifica.
Spetta invece al livello ‘interdisciplinare’ fissare le modalità migliori per l’incontro, lo scambio e l’eventuale sintesi tra le diverse discipline; il tentativo di proporre qualcosa di simile dall’interno (o peggio, all’interno) di una singola disciplina porta non solo a delegittimare la ‘sintesi’ proposta ma, più ancora, l’intero impianto ‘sistematico’ di chi volesse giungere a tale meta; la ‘nuova’ Teologia del Diritto canonico dovrà(potrà) costituire il primo livello interdisciplinare tra le scienze del Diritto canonico e della Teologia, aprendosi progressivamente al dialogo col resto del ‘sapere’ ecclesiastico.
E’ l’indirizzo stabilito a suo tempo dal Concilio:
"tutte le discipline teologiche vengano rinnovate per mezzo di un contatto più vivo col mistero di Cristo e con la storia della salvezza. Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla sacra scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo. Così pure nella esposizione del diritto canonico e nell’insegnamento della storia ecclesiastica si tenga presente il mistero della chiesa, secondo la costituzione dogmatica “De Ecclesia” promulgata da questo concilio" .

E’ l’indirizzo che Giovanni Paolo II ha indicato con chiarezza nella Cost. Ap. Sacræ Disciplinæ Leges con cui promulgava il primo dei Codici di Diritto canonico revisionati a seguito del Vaticano II:
"Lo strumento, che è il codice, corrisponde in pieno alla natura della chiesa, specialmente come vien proposta dal magistero del concilio Vaticano II in genere, e in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè la ecclesiologia conciliare. Se poi è impossibile tradurre perfettamente in linguaggio “canonistico” l’immagine della chiesa, tuttavia a questa immagine il codice deve sempre riferirsi, come a esempio primario, i cui lineamenti esso deve esprimere in se stesso, per quanto è possibile, per sua natura.
Da qui derivano alcuni criteri fondamentali, che reggono tutto il nuovo codice, nell’ambito della sua specifica materia, come pure nel linguaggio collegato con essa.
Si potrebbe anzi affermare che da qui proviene anche quel carattere di complementarità che il codice presenta in relazione all’insegnamento del concilio Vaticano II, con particolare riguardo alle due costituzioni, dogmatica Lumen gentium e pastorale Gaudium et spes" .

E’ l’indirizzo che ancora stimati autori rifiutano di seguire pretendendo di ‘creare’ teologie a partire dal Diritto anziché facendo Diritto alla luce della Teologia .

prof. Gherri Paolo
Inc. Teologia del Diritto canonico
Pont. Univ. Lateranense - Roma


pubblicato in: IL DIRITTO ECCLESIASTICO, CXIV (2003), 1503-1513.