Ultratrail du Mont Blanc

 

Mi chiamo Giovanna Bigagli, anch’io, insieme al mio ragazzo, Luca Carbone,  podista della “squadra lunghe distanze” e amante della montagna e della natura. Purtroppo per me 155 Km e 8.500 m. di dislivello positivo sono davvero troppi, anche solo a pensarci, quindi Luca si è lanciato nell’avventura, e io, per questa volta, sono rimasta a guardare, molto da vicino comunque, per cui vi posso raccontare immagini e sensazioni quasi con l’emozione di chi ha vissuto per intero questa esperienza che, se si escludono i primi 50 extraterrestri  classificati, non è una gara, bensì un cammino: è “il viaggio”, che va affrontato con lo spirito di chi vuole scoprire e soprattutto arrivare; un viaggio da percorrere con quella che io definisco la “filosofia del viandante”, il piacere di guadagnarsi la strada con le proprie gambe, la gioia di salire una cima per guardare giù, senza farsi portare le immagini da un televisore,  da un computer, o da un’automobile.

Ho letto il commento di Ilaria Pasa, la riconosco in una signora bionda che ho incitato nella salita al rifugio Bertone e nella discesa ad Arnuva, mentre pioveva; io ero lì a fare il tifo e ho pensato che avrei voluto essere al suo posto e avere la sua forza. Brava Ilaria, comunque sia andata.  Luca, il mio ragazzo, è di Genova come lei, e come lei viene dal mare ma ama molto la montagna, e in questa gara l’ho visto faticare sempre con il sorriso sulle labbra, l’ho visto arrivare a Chamonix stremato ma con lo zaino pieno di soddisfazione e di emozioni che credo non dimenticherà per diverso tempo. Luca è partito insieme al suo amico Marco Da Silva, con il quale aveva progettato la gara fin dall’anno scorso; l’intenzione era di stare insieme e cercare di arrivare al traguardo dandosi aiuto qualora ce ne fosse stato bisogno.

Venerdì sera alla partenza anch’io ho avuto i brividi: 2.000 concorrenti ed altrettante persone ad incitarli; quando li ho visti passare mi sono salite le lacrime agli occhi e mi sono chiesta: ce la faranno?

Prendo l’auto e vado a Les Houches, 8 Km, per rivederli. Passano correndo, con gli zaini carichi, Luca e’ sudato ma tranquillo. Non posso lasciarlo subito, quindi di nuovo in macchina e via verso Les Contamines, altri 30km pensando alla loro prima salita. A Les Contamines è una festa: musica, balli e tanta gente. I primi passano alle 21,10, Luca e Marco alle 23. Mi dice che sta bene, non fa freddo, il buio non lo preoccupa, dopo le notturne di sci-alpinismo fatte in inverno. Lo vedo sparire in mezzo alla folla di spettatori, e io torno in albergo a Courmayeur, ma dormo poco e penso ai loro passi nel silenzio.

Purtroppo Marco si è sentito male sabato mattina presto, prima ancora di arrivare a Courmayeur, e quando alle 7,15 rispondo al telefonino sento la voce di Luca sconfortata: “sono rimasto solo!” Ho pensato che, anche se c’erano altre 1.999 persone, sarebbe stata dura arrivare in fondo; gli dico di cercarsi un compagno, lui mi rassicura: sta bene, ha visto un tramonto stupendo che non cambierebbe con una notte in albergo! Ora si fa una doccia e mi aspetta al Rifugio Bertone, possibilmente con un panino al prosciutto, tanto per tirarsi su il morale.

Parto a piedi per il Bertone, incrociando tanti “coreurs”e guardo il loro nome sui pettorali: ale’ Pierre, Maurice, Thierry, Bertrand, Isabelle, finalmente arriva Luca insieme ad un altro italiano, Alessandro. Faccio con loro un pezzo di sentiero e li vedo sereni, neanche tanto affaticati dopo 77 km, parlano, dico a Luca di risparmiare il fiato e lui ribatte: “Lasciami parlare, altrimenti non mi passa!” Li devo salutare, ma invece di tornare in albergo prendo la macchina e salgo ad Arnuva, dove finisce la Val Ferret. Sono le 15, comincia a piovere, qui siamo al Km 89 e su tre persone che arrivano una si ferma. Decido di andargli incontro, mi faccio una bella salita, così dopo farò insieme a lui la discesa; la pioggia scende fitta  ma non mi interessa. Vedo passare tanti corridori, chi più sofferente chi meno, chi si appoggia ai bastoncini, chi va più spedito, ma tutti, quando li saluto, mi ringraziano: anch’io corro, so cosa significa, quando sei stanco, sentirti dire: bravo, forza, “bon courage”. Ecco finalmente Luca, si è messo la tuta da acqua, sembra un pastore d’altri tempi, mi sorride e mi fa: il panino al prosciutto? Gliene ho preparati due: li divora velocemente ed eccoci al punto di controllo, 3 ore e un quarto prima della chiusura del cancello, penso che dovrebbero farcela, mancano “soltanto” 66km!!!!

Alle 16,15, dopo avergli fatto un piccolo massaggio alle gambe con il mitico olio 31 lascio definitivamente Luca e Alessandro: li vedo salire sotto la pioggia, con la nebbia che già inghiotte il Col Ferret e quella fila di formichine che si arrampicano.

Lo risento alle 23,30, sta salendo verso il paese svizzero di Champec lungo un canalone di massi scivolosi, ma lui e Alessandro tengono duro; alle 8,45 di nuovo uno squillo: sono quasi a Vallorcine, Km 142, mi dice che non vede l’ora di arrivare.

Io vado a Chamonix: nel centro del paese, mentre lo aspetto continuo ad incitare quelli che arrivano, quasi tutti a gruppetti. Ci sono uomini e donne di ogni età, incredibile! uno spagnolo arriva con la bandiera del suo paese, due francesi si fermano a 300 mt dal traguardo per tirare fuori 2 razzi e arrivare tenendoli in mano, anche un italiano srotola la bandiera, quasi tutti sono pieni di fango e hanno il viso scuro, rischiarato da un largo sorriso di soddisfazione.

Finalmente, dopo 42 ore di cammino, arrivano Luca ed Alessandro, stanno correndo, io mi unisco a loro, dopo il traguardo Luca abbraccia me e il suo inaspettato compagno di viaggio, quasi non crede di essere arrivato, la stanchezza e l’emozione gli impediscono di parlare, è come in trance, lo piloto verso le docce, poi sale in macchina e, dopo qualche minuto di silenzio, mi dice: “mai più”.

Dopo 2 ore siamo in Piemonte, ricomincia a parlare, quel “mai più” non se lo ricorda e fa già progetti per la prossima volta: mentre guido lo sento dire di un passaggio difficile, un pezzo che avrebbe potuto correre di più, un punto dove si è fermato troppo, una salita che riaffronterà con passo più veloce…..  Ma le cose più belle che si ricorda sono il tramonto rosso al Col de Voza, il filo luminoso sui sentieri della notte, un bambino che gli corre dietro dopo avergli dato il 5, la cordialità e l’organizzazione di tutti i volontari; e io aggiungo: una sfida con sé stesso, la vittoria della propria volontà, la forza della solidarietà nell’affrontare tutti insieme quel viaggio.

 

Giovanna Bigagli