for violin or cello and digital elaborations
on quadraphonic tape
For the violin or cello: the staff down with
the violin key (above the staves for tape), is for left hand, the others
staves above for the bow; it’s not shown the resulting intensity, but separately
bow’s velocity and pressure, with two graphics: above, the velocity (from
maximum to zero- from high to low), below pressure (from zero to maximum=distorted).
At zero, velocity and pressure are joined, and the resulting intensity
is zero; the extreme of velocity alone is flautato, and of pressure is
extreme distortion, that’s stopping bow’s motion. Apart from this extreme
case, the distance between the two graphics give the resulting intensity.
The uppermost graphics is for the zone of string between tasto (extreme
down = the zone exactly in the middle of the vibrating string between finger
and the bridge, ‘clarinet tone’) and ponte (on high = ponte more as possible).
The square note half white half black is an action
of finger between sfiorato (as for overtones) and normal note pressure,
resulting in a rough flautato.
The violinist synchronises himself with the tape
by means of a chronometre and the short description of the electronic music
below his part. The relationship space-time is constant.
Duration: 15’35’’
Program note
Si parte dal violino come strumento aperto, laboratorio
di acustiche metafore. Esso viene sfregato lungo tutta l’estensione delle
corde; le traiettorie dei vari parametri seguono analogicamente dei grafici
tracciati a mano libera. L’elaborazione digitale ha principio dalla stessa
idea esplorativa, che viene organizzata in modo più cristallino
e via via più astratto ed emancipato da criteri di imitazione di
un modello acustico. Per rendere chiaro questo processo, all’inizio il
percorso del suono è seguito in tutti i suoi elementi: si descivono
punto di eccitazione, risonanze simpatiche e formanti della cassa acutica,
e i cammini che conducono il suono diretto e riflesso all’orecchio; questi
ultimi tengono conto della posizione delle sorgenti (più ‘violini’
in movimento), della dimensione della ‘sala’ e della velocità del
suono, e vengono riflesse secondo la stessa geometria ottica di una stanza
in cui ogni parete è coperta da uno specchio. L’aspetto formalmente
più peculiare è che tutte le tecniche di produzione del suono
modellano il timbro secondo principi analoghi a quelli del violino suonato
su tutta la corda (dal tasto al ponte, si annullano delle armoniche e i
loro multipli) e sfiorato per isolare delle armoniche e i loro multipli.
L’ordine di queste lungo la corda non è lineare, è simmetrico,
può essere analizzato matematicamente con le serie di Farey, e musicalmente
esplorato in mille percorsi. Sia sul violino, sia in un filtro digitale
a pettine, sia in un banco di oscillatori o di filtri regolati sullo stesso
principio. Qui la costruzione formale dinamica conta più delle somiglianze
timbriche, molto approssimative; importa contemplare nei fenomeni acustici
l’accenno a possibilità di coincidenze, di incroci di linee di vita
interiore e fruttuosa: cercare nel timbro, qui modellabile e reso modello
anche ideale, nuova armonia e melodia, che mette in crisi i concetti di
nota, polifonia, di timbro stesso.
L’astrazione del modello ‘glissato d’armonici’ permette
di intonare separatamente ogni componente (le armoniche vengono riaccordate,
compresse, ritardate, invertite) o di distribuirle nello spazio intorno
agli ascoltatori, tutte cose che rendono il timbro sempre più un
fenomeno complesso polifonico. Lo stesso modello o serie di armonici può
filtrare altri suoni, combinando le loro caratteristiche timbriche con
le proprie. Sono utilizzate delle voci che leggono i testi qui di seguito
riportati. Viceversa, anche i testi diventano un modello timbrico, che
colora di vocali e consonanti i suoni di violino e simili, spesso in dimensioni
temporali dilatate.
Texts :
(...) insegnare a vedere abissi, là
dove sono luoghi comuni,(...)
(Karl Kraus, citato da Webern)
(...) imprimendo alle parole in uso una inclinazione
che le porta a trascendersi, a far valere quel residuo di potenza rivelativa
che esse contengono.
C’è in noi una grammatica generativa
non esaurita dalle grammatiche apprese a scuola, una grammatica in cui
già ferve la lingua di domani, un domani senza scadenza, quando
ciascuno parlerà e tutti lo udranno nella propria lingua.
(Ernesto Balducci, contributo a Danilo Dolci
“Comunicare”)
guardando le venature di una foglia, penso
le mani di Gaspare
guardando le mani di Gaspare, penso le venature
di una foglia
(M.M.G., da un quaderno)
Attimi dove si riflette il canto,
Lì puoi comunicare o stare quieto -
Tanto la mano dona e nell’incanto
Si riflette l’anima aperta. Mieto,
Per la profondità del velo, intanto,
Miriadi di ogni sorta d’orme: lieto
Sprofondare di memoria per quanto
S’alza la litanìa. Affonda il concreto
Nell’essenza e riporta la matrice
D’ogni sorta di suono fra le pieghe
Del palmo, quasi a renderlo strumento.
Similmente riportava Euridice
Fuori dall’Erebo Orfeo con il lèghein
Disperso. E perse pure lei nel vento.
(Francesco Sirio Carapezza, “Attimi dove si riflette
il canto”, a G.D., 5 marzo xc5)