Mi sono sempre sentito discepolo ideale di chi pensa
e ricerca, se necessario anche in solitudine, non desiderando che il bene
comune. Semmelweis (1818-1865) sfidò fino in fondo “il pericolo
di voler troppo bene agli uomini” (Céline). Combattendo da medico
contro l’infezione puerperale, che rendeva ogni nascita in ospedale una
fatale incognita, egli scoprì un rimedio profilattico, tuttora valido;
scrive al proposito Guido Ceronetti: “Quale ostetrico egizio, siberiano,
tolteco o pellirrossa avrebbe mai osato toccare una puerpera con le mani
fresche di contatto con un parente, uno sciacallo, un cane, un rospo, un
topo morto? Solo l’Ostetricia europea del secolo più illuminato
e raffinato (...) è stata capace di elevarsi a tanto.” Circondata
nel suo ospedale da ignoranza e presunzione, la scoperta di Semmelweis
divenne occasione di conflitti accademici che lo portarono al silenzio,
alla follia e alla morte.
Vita, passione e morte di Semmelweis sono cantate
(è il caso di dirlo) da Céline in quella che è stata
la sua tesi di laurea in medicina. A tratti di questa prosa ho accostato
delle frasi di Zamjatin della sua opera su Meyer, altro ‘eretico’, scopritore
del secondo principio della termodinamica; infine, frammenti dal Wiglielmo
Spengler dell’artista palermitano Andrea Cusumano (
).
Alla musica, l’impegno di costruirsi un percorso
emozionante da seguire. Da un ritmo di respirazione su un’unica nota centrale,
si dipartono, simmetricamente in alto e in basso, altri suoni che o erano
già presenti nel puro suono iniziale, o comunque lo contengono.
Il corpo del suono, così ingrandito e messo a nudo, mette in comunicazione
gli interpreti, qui tutti solisti, dislocati a tutte le distanze e direzioni
possibili in una sala; essi cooperano per un organismo unitario, in cui
ogni singola voce melodica può diventare un insieme armonico contemporaneo,
o può essere ritrovata, ovunque, sparsa nello spazio mentre l’armonia
generale si ritrova nella parte di ogni singolo interprete.