Giovanni Damiani

I fenomeni sono la teoria

per violino e flauto in sol / ottavino

Il modello del pezzo, la sua ‘origine’, è la serie degli armonici producibili su tutta la lunghezza della corda del violino; il risultato, necessariamente semplificato, è esposto all’inizio del pezzo
Gli armonici più deboli e lontani possono uscire con un’appropriata tecnica d’arco, con particolare pressione, e usando una porzione di dito quanto più piccola possibile, per centrare l’esatto punto nodale.
In questo pezzo si deve cercare di integrare la serie più ampia di fenomeni armonici in una teoria rigorosa, dove il rigore è segnato dall’inclusione dei fenomeni più instabili, minimi  e transitori. Mostrare le corrispondenze tra le diverse regioni della corda, rendere chiara la logica musicale e matematica dell’ordine non lineare di queste divisioni intere o armoniche: è l’aspetto logico da trarre dalla partitura, in particolare nella prima parte, nelle serie che il violino continuamente ripropone e che il flauto ‘analizza’ estrapolandone diverse facce dello stesso fenomeno del sorgere ordinato degli armonici. Da p.3, terzo sistema, il flauto cerchi di riprodurre questa seria di armonici, sugli stessi fondamentali o posizioni del violino: la tecnica, il risultato, l’aspetto e la tensione psichica sono completamente diversi, ma è identica la struttura di fondo, e sono comuni tutte le relazioni tra fondamentali e armonici selezionati.
 Alle pp.5 e 6 il violino fa centro sulla metà della IV corda e compie delle escursioni sempre più grandi intorno ad essa, da realizzare il più precisamente possibile per mostrare poco a poco le strette corrispondenze e affinità speculari tra le due metà della corda. Il fenomeno era stato già esposto ‘artificialmente’ da flauto e violino uniti, a p. 4, secondo e terzo sistema. Queste due ‘esposizioni’ di simmetrie in formazione e in movimento sono separate da una ‘depressione’ statica, in cui il violino si sofferma sugli armonici più instabili, interferenti tra loro, e sul loro sorgere da posizioni nulle, morte (di cui logicamente è indicata solo la posizione). A metà del pezzo vi è un intervento del violino solo, che parte da atmosfere sonore un po’ più familiari; ma la mimesi del mondo esterno dura poco, e si ritorna presto alla più difficile riflessione sulla struttura, sul nuovo ordine di relazioni. Vi è forse ancora più complessità, per esempio quando il violino suona armonici in movimento su 2 corde, ma al fine di un maggiore abbandono alla ricchezza delle possibilità combinatorie della serie originaria.

N.B.: La partitura non è in suoni reali
Il violino  suona su due pentagrammi e usa, oltre alla chiave normale, quelle con indice di ottava e di quindicesima sopra. La nota     indica pressione intermedia tra sfiorato e pressato, per ottenere un suono non sporco, ma con un alone di armonici, più dolce del suono al ponticello.

Avviso per la notazione del violino

Per semplicità, le altezze degli armonici sono indicate con le alterazioni del temperamento equabile; posizioni e suoni normali crescenti con ↑, calanti con ↓ ; l’esatta posizione va trovata in relazione agli armonici da produrre; la nota d’effetto è sempre indicata, e ad essa è di solito unito il valore ritmico, perché si seguano e si ascoltino queste, e non le posizioni. Queste ultime sono sempre indicate con note bianche romboidali, tranne che nei movimenti lineari (glissati) prolungati, e dove è lasciata  all’interprete la ricerca delle posizioni più efficaci (il che non lo esime da fare altrettanto in altri casi che mi siano sembrati a torto più efficaci nel modo indicato).
 Si possono usare tre tecniche di dito, scegliendo per ogni caso la più adatta :
1)    Glissato di dito o sua punta più piccola possibile, anche con pressione d’arco, ascoltando quasi uno per uno gli armonici che escono, in un continuo feedback per approssimarsi all’effetto indicato; ben vengano anche piccoli armonici non indicati: ma si mantenga il ritmo o scorrimento complessivo;
2)    rapido spostamento di un dito
3)    articolazione di dita.
La prima tecnica è preferibile per la maggior parte dei casi; lo scorrimento ritmico  essere fluido, solo mediamente uniforme, com’è del resto nella natura di questi armonici o dei suoni multipli del flauto: suoni di colore e peso diverso, trascorrenti l’uno nell’altro attraverso passaggi appena udibili. La notazione di altezze, ritmi e dinamiche è limitata e schematica rispetto ai complessi fenomeni timbrici che si producono; ma serve come spunto, come stimolo per l’analisi e le associazioni generative musicali, evitando il mero abbandono percettivo privo di conoscenza: abbandono al timbro, se inteso come puramente irrazionale e indeterminato, e alle azioni e gesti che lo creano, senza sapere come.
Per cercare di capire i fenomeni  timbrici come un tutto unico è anche indispensabile porre la massima attenzione ai suoni più instabili, deboli, confusi, e cercare di avvantaggiarli rispetto agli armonici più noti, attraverso accorgimenti tecnici e di dinamica, velocità, ecc. (come indicato espressamente a p.5), e con una disposizione psichica già comunicativa dell’appena udibile. Se ciò avesse solo il fine di una conoscenza puntuale, avrebbe più senso in un esperimento da laboratorio; il poterne fare una musica è dovuto al fascino e all’importanza che , così mi sembra, questa apertura a tutte le facce del suono ha, a livello percettivo ed etico; è  dovuto al fatto che questa serie teoricamente infinita di parziali dà un ordine coerente di successione temporale, che si va chiarendo nel corso del pezzo.
Il titolo è tratto da una delle Maximen und Reflexionen di Goethe (la n.488), di cui ecco la traduzione completa:
“La cosa più elevata sarebbe: comprendere che tutto ciò che è fattuale è già teoria. L’azzurro del cielo ci rivela la legge fondamentale della cromatica. Non si cerchi nulla dietro ai fenomeni: essi stessi sono già la teoria.”