Ciao,
Ti ringrazio per essere rimasto con me a parlare. Troppe volte mi hanno lasciato qua sull’altare.
Ricordi, quando ci incontrammo alla Verna tanti anni fa; eri solo un ragazzo, non avevi ancora gli occhi aperti e non avevi scoperto la paternità e la maternità di Dio. Per te il cristianesimo era solo un codice morale, ma Chi e ripeti Chi fosse Dio non lo sapevi. Anche io ero come te; non che fossi un cattivo ragazzo, ma non avevo colto la profondità della vita, tutto era per me un lontano pallore.
Mi ricordo quell’anno in cui buttasti via tutte le tue convinzioni per
ripartire da zero, io ero vicino a te e ricordo la tua sete di conoscenza
e il tuo malessere interiore; quel tuo sentirti prigioniero dell’incertezza,
del non-senso l’ho vissuto anch’io … un anno di prigionia fisica e spirituale
a Perugia, dove sono crollate tutte le mie convinzioni, i miei idoli.
Potevo diventare uno scettico, abbandonarmi alla rassegnazione e vivere
una vita mediocre, ma solo dopo capii che il mio Maestro mi voleva, sì,
cavaliere, ma in un altro modo.
Ripensa alla tavola di casa tua, … quanti giochi, quanti libri di studio
ha sostenuto … è una tavola come piace a me: rotonda. Si amavo la
tavola rotonda. La tavola rotonda è centrale non può essere
messa in disparte. Amavo la tavola rotonda, quella di Re Artù,
dove non c’era né un capo, né un sottoposto, né un
padrone, né un ospite. Tutti siamo alla pari attorno ad una tavola
rotonda … e questo la rende ancora più scomoda per chi cerca il
potere!
Ero fatto così, la vita mi piaceva così e così
vedevo e volevo vedere la Chiesa. Fu proprio Gesù a chiamarmi a
realizzare questo ideale e mi disse: “Francesco ripara la mia casa”.
Dopo Perugia cominciai a vedere sul serio e ad assaporare il succo della
vita e capii il senso del salmo “Hanno occhi e non vedono”. Io non avevo
visto! Ora si che vedevo il sole, la luna, la terra, le fontane, la natura
… prima no! Mi erano passati accanto come cose dovute, decodo di paesaggio.
Io le avevo fissate… come si fissa un estraneo.
Ora mi parlavano,
le sentivo vicine,
le amavo,
mi commuovevano.
Tutto mi sembrava nuovo, sempre più nuovo.
E non solo la natura, mi accorsi della sofferenza, come non mi era
mai capitato, mi accorsi dei poveri e dei lebbrosi; volevo aiutarli, stargli
vicino, essere uno di loro e lottare come uno di loro.
Dio mi trasformava giorno dopo giorno, per permettermi di guardare oltre, sempre oltre, per non fermarmi mai alle apparenze.
Quando cominciai a chiamarti eri ancora molto lontano dal mio ideale
di semplicità e di umiltà. Mi dicesti che era proprio
questo che ti attraeva del mio stile di vita, perché era differente
dal tuo.
Ma abbiamo in comune una grande passione per il Vangelo: è a
quello che devi puntare prima di tutto. E’ nel Vangelo che io vedevo l’andare
oltre, l’andare oltre a tutte le culture, a tutte le costruzioni umane,
a tutte le civiltà. Il Vangelo lo sentivo eterno, la cultura e la
politica le sentivo nel tempo, compresa la cultura cristiana. Ma il Vangelo
era un’altra cosa:
- è la pazzia di un Dio che perde sempre, e si fa crocifiggere
per salvare l’uomo;
- è la pazzia di uomini che gridano alle beatitudini
anche se nel pianto, nell’indigenza e nella persecuzione.
* Quando diventerai ricco delle tue sole convinzioni e delle tuoi soli
diritti e ragioni ritorna al Vangelo.
* Quando diventerai ricco di sospetti e di ingratitudine ritorna al
Vangelo.
* Quando sarai ricco di insicurezze, delle tue paure ritorna al Vangelo.
* Quando diventerai ricco di te stesso torna al Vangelo.
Proprio nella povertà che io scelsi come sposa, trovai 2 cose:
la libertà
la fiducia.
Finalmente potevo essere libero davvero, libero di amare, libero di incontrare senza schemi e pregiudizi, di incontrare la gente nelle piazze e nei campi. E’ lì che il cristianesimo conta davvero. Povertà, per me, era la spinta a tirarmi fuori dallo spirito borghese che è di tutti i tempi e che si chiama egoismo, prepotenza, orgoglio, sensualità, idolatria, schiavitù.
Ma per me non esisteva la “povertà” astratta, esistevano i poveri, esisteva Gesù povero e soprattutto era un mezzo per dimostrare la mia fiducia in Dio e nella vita. Fu questo che dissi a mio padre Pietro di Bernardone quando mi spogliai davanti al Vescovo di Assisi. Essere povero, per me, voleva dire aver fiducia nel Padre Celeste e credere nel Padre voleva dire farmi povero, rinunciare a tutto ciò che mi impediva di essere unito ad ogni essere umano.
Oh, ricorda che non ho mai chiesto a nessuno di vivere come volevo io. Ma a chi mi voleva seguire proponevo questo cammino e questo impegno di ricercare la libertà dalle cose, di non vivere da proprietario-padrone, ma come un gestore e di non dimenticare mai che Dio è Padre e Madre anche quando la vita di tutti i giorni ti urla il contrario.
Infine: vivi la vita in pienezza e profondità con gioia.
Ricordi quanti digiuni ho fatto nella mia vita? Ma ricorderai anche di
quando, in fin di vita, feci venire quella mia amica Jacopa, da Roma. Desideravo
tanto rivederla e desideravo tanto anche riassaggiare quel dolce che mi
faceva quando ero presso di lei a Roma.
La vita deve essere assaporata per quanto possiamo, deve essere gustata,
senza ingordigia e con semplicità.
Il mio Maestro mi ha sempre insegnato che esiste una sola regola: fare
tutto con amore. Così non conta se mangi o se fai digiuno, ma
se digiuni, digiuna per amore e se mangi, mangia con amore. Rispetta il
cibo che hai davanti, rispetta chi te lo ha preparato con cura.
Tutto ciò vale per ogni cosa, come ti ha sempre insegnato anche la tua mamma. Devi sapere che te l’ho posta accanto perché fosse per te oltre che madre, anche maestra di vita francescana, lei che ha sempre vissuto come francescana rinunciando e privandosi di molte cose e sempre per amore e con amore.
Fratello mio, cerca la perfezione della carità e non scoraggiarti
mai. Io ti sarò sempre vicino.