Fratelli nella notte

Gruppo Biblico di Evangelizzazione




Fratelli nella Notte



 
 
 
 

Quanto segue è l'intervista rilasciata dal patriarca ortodosso di Antiochia e tratta dalla rivista Jesus di Gennaio 2002. Il patriarca ortodosso rilancia il dialogo con Roma nel momento di massima crisi del movimento ecumenico e invita i cristiani d'occidente a mettersi in ascolto della tradizione orientale, dove sinodalità e rispetto dele diversità sono considerate ricchezze e non limiti alla comunione.

Beatitudine, ad Antiochia, dicono gli Atti degli Apostoli, i seguaci di Gesù vennero chiamati per la prima volta "cristiani". Che cosa significa per voi?

<<Quello che Luca vuole affermare non sono idee o "principi", ma è la realtà stessa dell'incarnazione. Noi vediamo il Signore camminare lungo le strade della nostra terra, che fu la sua terra. Per questo abbiamo apprezzato molto il gesto di Giovanni Paolo II di venire pellegrino in Terra Santa e a Damasco. Il cristianesimo non è soltanto un questione di intelletto, ma anche di presenza, di incarnazione, per l'appunto. Per le nostre Chiese, che sono quasi ovunque minoranza in Paesi mussulmani, la principale forma di testimonianza è la presenza, l'esseerci, ossia l'esserci per gli altri. Certo da un lato questo è dovuto all'impossibilità di predicare apertamente il cristianesimo ai musulmani (la legge islamica infatti non lo consente, ndr), ma a noi sembra una realtà più profonda, legata ll'incarnazione. Il Medio Oriente, infatti è un crocevia di culture, un via vai di civiltà: un luogo di incontro. Perciò per noi non è affatto casuale che il Verbo abbia voluto prendere carne proprio tra di noi. Noi orientali siamo "esseri in dialogo", ed è una tale umanità che Cristo ha assunto>>.
 
 

Eppure non sono pochi quelli che, anche di recente, hanno preconizzato la scomparsa del cristianesimo in Medio Oriente...

<<Si, siamo pochi, ma non importa: il Signore non disponeva certo di migliaia di apostoli. Eppure da un piccolo gregge, neanche tanto esaltante a sentire i racconti evangelici, l'Evangelo ha potuto essere testimoniato e predicato fino ai confini della Terra. Gesù, di fronte alle difficoltà, non ha mai ritenuto di dover abbandonare la propria "geografia", ma è rimasto a testimoniare la volontà e l'amore di Dio nella sua terra. Noi crediamo che, fin dai tempi della Pentecoste, lo Spirito Santo sia stato effuso anche su noi arabi (At 2, 11) e che tra gli arabi ci sia chiesto di portare la luce del volto di Cristo. Certo, il passato non è del tutto cancellato, e a volte può pesare. Ad esempio, poichè ai tempi delle crociate una parte dei cristiani orientali si alleò con i latini contro i propri concittadini musulmani, ancor oggi vi sono alcuni che accusano i cristiani, tutti i cristiani di "aver fatto le crociate". Perciò non ci stanchiamo di spiegare ai musulmani che noi siamo sempre stati qui, che siamo arabi come loro, che ne abbiamo condiviso e continuiamo a condividerne pienamente la storia>>.
 
 

Forse anche in Occidente i cristiani avranno qualcosa da imparare da chi, come voi, è da sempre minoranza?

<<Nel mondo intero i cristiani stanno diventando minoranza. Ciò probabilmente accade perchè ridiventino apostoli. Oggi ci vuole coraggio, bisogna liberarsi di ogni timore e vergogna. Non dobbiamo aver paura, noi non cerchiamo la nostra gloria: la gloria sarà resa a Dio solo, per vie che lui stesso conosce e che sono più grandi di noi. A noi è chiesta una profonda conversione e fedeltà al Vangelo. Ciò che ci sembra di aver imparato e di poter dire anche a voi occidentali, è che ciò che importa è che i cristiani prendano sul serio la loro fede, senza vergogna nè paura. L'essenziale è essere cristiani. Spesso il grande assente è proprio Gesù Cristo... Ci sostituiamo a lui, invece di far sì che i nostro volti diventino trasparenza del suo amore per gli uomiini. La cosa più importante è cominciare a rendere più presente il Signore anzitutto in noi stessi>>.
 
 

E tuttavia non mancano difficoltà e problemi concreti...

<<Al contrario di quel che si ritiene in Occidente, non abbiamo difficoltà di alcun genere se vogliamo costruire una chiesa. I problemi sorgoo se vogliamo mettere in piedi iniziative che puntino apertamente a strappare all'Islam qualcuno dei suoi fedeli. Teoricamente è difficile avere il permesso di costruire una scuola, anche se poi da noi, in Oriente, tra la legge e le sue interpretazioni rimane sempre un certo margine... Siamo anche ammessi a parlare alla radio e alla televisione, come tutti i responsabili delle diverse comunità cristiane>>.
 
 

Nel mondo occidentale si tende a identificare "arabo" con "musulmano". Non crede che sia una verità molto parziale?

<<Gli arabi sono stati cristiani molto prima di essere musulmani, e sempre, al loro interno, hanno una componente cristiana che ha giocato un ruolo estremamente significativo per la storia e la cultura dei loro Paesi. Non dobbiamo dimenticare che vi sono cristiani (come noi, i melkiti, i siro-ortodossi e i siro-cattolici) che hanno pregato e pregano in arabo, che hanno prodotto opere letterarie di assoluto valore in quella lingua, e che si sentono pienamente solidali con il popolo arabo e partecipi del suo destino. D'altro canto, non va neppure dimenticato che la maggioranza dei musulmani non appartiene alle etnie arabe e che soltanto con grande difficoltà ha accesso alla nostra lingua>>.
 
 

Quando si leggono discorsi e documenti della Chiesa di Antiochia, si ha la percezione che esa abbia un ruolo particolare da giocare in campo ecumenico. A cosa è dovuta questa "vocazione" antiochena?

<<In primo luogo, vale ciò che ho appena detto: anche se non sempre le nostre Chiese sono state particolarmente ecumeniche, noi arabi cristiani siamo essenzialmente persone per cui il dialogo è costitutivo del loro essere più profondo. Ma vi è anche altro. Abbiamo sofferto, e anche se la sofferenza è ancora del tutto finita, l'aver superato momenti difficili è una ricchezza e una risorsa importante, per noi come per altri cristiani in altre terre. La nostra terra, per grazia di Dio, ha sempre attirato ogni sorta di cristiani, in tutte le epoche: abbiamo avuto missionari cattolici, protestanti, anglicani. I primi misionari ci riconobbero cmoe Chiesa. Ma poi, a un certo punto, vi fu anche chi iniziò a sostenere che pe essere cattolici non si poteva essere ortodossi... E così, in molti nostri villaggi sorsero due chiese: la seconda veniva costruita perchè la prima cessasse di esistere. A un certo punto, la logica era tale che tutto veniva compiuto al fine di dividere l'unica famiglia cristiana, e non di promuoverne l'unità. Oggi, grazie a Dio, la situazione è cambiata quasi ovunque in modo radicale. L'altro è percepito come un fratello. E quando ciò accade, è come se una famiglia si ritrovasse. Oggi ad Antiochia, il lavoro ecumenico è al cuore di ogni pastorale: non a caso siamo stati tra i primi promotori del Consiglio ecumenico delle Chiese che del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, e non ignoriamo nè Roma, nè il Papa. Ci sentiamo di famiglia con tutti, e crediamo che l'Ortodossia, con questo spirito, abbia un ruolo molto serio da giocare>>.
 
 

Allude alla tradizione sinodale delle vostre Chiese?

<<A quella e non solo: siamo abituati ad avere dinanzi a noi l'altro, il diverso, e ad amarlo. Del resto, se non ci fosse l'altro, come faremmo ad amare, chi ameremmo? È insano e inumano pensare a un amore senza il diverso. Il Signore non ci hchiede altro che l'amore, per lui e per il prossimo, per ogni prossimo. Tutti i cristiani devono sapere che il peggio che può capitare alla Chiesa non è la dversità e la discussione, ma la mancanza di comunione, ossia di un'unità, che è fatta di diversi che si amano. Non ci si piò intendere solo sulla base delle convinzioni, bisogna amarsi!>>.
 
 

Lei è conosciuto anche pe la sua franchezza nel porre all'Occidente gli interrogativi e i problemi che più stanno a cuore agli ortodossi. Che cosa, a suo avviso, separa oggi maggiormente le Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente?

<<Gli scismi che hanno lacerato la tunica della Chiesa, ovunque nel mondo come nella nostra sede di Antiochia, sono intollerabili. I rappresentanti della Chiesa cattolica l'hanno detto assieme a noi nel documento di Balamand, nel 1993. In tale dichiarazione, insieme, abbiamo affermato che l'uniatismo non può essere un "modello per giungere all'unità". Da allora, il consenso è sembrato sgretolarsi e le posizioni sono andate via via irrigidendosi. Dobbiamo vegliare affinchè non si riaprano ferite ancora non del tutto cauterizzate>>.
 
 

Ce ne vuole accennare?
<<Diverse Chiese ortodosse lamentano la ripresa di un proselitismo che esse definiscono aggressivo. È necessario assumere iniziative coraggiose e profetiche per sbloccare una situazione che rischia di impantanarsi. Siamo convinti che sarà possibile abbandonare la strategia del proselitismo solo adottando un'autentica teologia della riconciliazione, in cui il fratello è percepito come uno che dimora nel cuore stesso di Cristo. Altrimenti, il nostro parlare di "Chiese sorelle" diventa un linguaggio privo di rilevanza e di significati concreti. Noi perciò ci auguriamo che simili pietre di inciampo non coninuno a intralciare il prosieguo del dialogo tra le nostre Chiese. Questo dialogo, una vola ripreso, dovrà altresì essere esteso a un punto che ci sembra cruciale, ossia quello degli anatemi lanciati dal Concilio Vaticano I contro coloro che non riconoscono l'infallibilità papale. iamo oggetto anche noi di tali anatemi, che sottendono un'ecclesiologia differente dalla nostra? Sarebbe importante esplicitarne  la portata reale nell'attuale comprensione teologica della Chiesa cattolica chiarendo entro quali margini potremo muoverci tutti insieme per aiutare il Papa a ridefinire l'esercizio del suo ministero di servo dell'unità d'amore che dovrebbe regnare nella chiesa e tra le Chiese>>.



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