Ordinamento economico capitalistico

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Ordinamento Economico Capitalistico



AVVERTENZA:
In questa sezione di articoli vogliamo affrontare alcuni sistemi economico-politici, in particolare il liberalismo e il socialismo per giungere infine alla dottrina sociale cristiana. I cristiani non sono esenti dalla politica, perchè sono chiamati ad esprimere scelte di libertà e giustizia incarnate e non eteree. Ogni volta che esprimiamo una opinione facciamo politica. Fare politica non significa necessariamente occuparsi dei movimenti partitici! E noi non lo faremo,

In questa sezione dunque non ci occuperemo di partiti, ma di qualcosa di più importante: le idee di fondo dei più importanti sistemi politici nati nella storia per comprendere in che modo possiamo creare una società più giusta, più libera e più serena.



 
 
Il liberalismo economico (paleoliberalismo) fondato da Adam Smith (1723 – 1790) compendiava la sua concezione dell’ordinamento economico in 5 tesi:
 
 

a)      Esiste un ordine “naturale” dell’economia. Sotto l’influsso della filosofia deistica dell’illuminismo, il paleoliberalismo credeva nell’uomo “naturale”, nelle forze “naturali” e in un ordine “naturale” della società e dell’economia. Come il cosmo è ordinato e armonico, così anche l’economia possiede un suo ordinamento naturale prestabilito, un’ “armonia prestabilita”, in cui tutto procede spontaneamente nel modo giusto, qualora si permetta alle forze naturali di svilupparsi. L’uomo non dovrebbe intervenire in tale sistema, cercando di pianificare l’economia, altrimenti creerebe un gran disordine. Secondo Adam Smith la preoccupazione per la felicità universale di tutte le creature ragionevoli e sensibili è compito di Dio e non dell’uomo (1). Jean Baptiste Say (1767-1832), che cercò di diffondere in Francia la dottrina dello Smith, affermava che le leggi dell’economia non sono <<opere dell’uomo>>, ma <<risultano dalla natura delle cose con la stessa sicurezza delle leggi del mondo fisico>>; esse non sarebbero inventate, ma semplicemente scoperte (2). Frederic Bastiat (1801-1850) indulse al medesimo ottimismo e paragonò la <<mècanique céleste>> del cielo stellato alla << mècanique sociale>> dell’ordinamento naturale dell’economia, che proclama la sapienza di Dio (4).
 
 

b)     La nostra ragione può cogliere l’ordinamento “naturale” dell’economia. La fede nell’ordinamento naturale dell’economia si accompagnava alla fiducia nella ragione, che è in grado di riconoscere nel modo giusto tale ordinamento. Già il fisiocrate PaulPierre Le Mercier de la Riviere (+ 1801) aveva affermato che la conoscenza delle leggi naturali risulta facile all’uomo, perché la natura avrebbe concesso ad ognuno <<una parte sufficiente del lume della ragione>> (5).
 
 

c)      Il principio fondamentale dell’ordinamento economico liberista è l’idea individualista della libertà. I legami imposti dal regolamento delle corporazioni e dal dominio feudale vennero infranti. Al loro posto si predicò la libertà dell’uomo e della sua proprietà, della contrattazione e della concorrenza, del commercio e della professione. Lo Stato – così richiedeva Adam Smith nel 1776 – dovrebbe eliminare tutti i sistemi che favoriscono e che limitano. Allora si stabilirebbe spontaneamente il sistema chiaro e semplice della libertà naturale. I compiti dello Stato sarebbero limitati alla protezione del Paese dai nemici esterni, alla creazione di un diritto sicuro all’interno e alla istituzione di organismi pubblici improduttivi, ma indispensabili (per es. scuole e strade). Nel campo dell’economia invece ogni dirigismo e ogni pianificazione statale produrrebbero soltanto danni; non esisterebbero infatti due caratteri che vadano tanto poco d’accordo, come quelli del mercante e del principe; i governi sarebbero infatti sempre e senza eccezione dei grandi scialacquatori, perché spenderebbero i soldi degli altri. Espressione dell’esigenza di una completa libertà economica fu la parola d’ordine: Laissez faire, laissez passer (5).
 
 

d)     Il motore naturale dell’economia è l’interesse personale. <<Io non ho mai saputo – affermava Adam Smith – che sia stato fatto molto bene da coloro che affettano di commerciare per il bene pubblico>>. Chi invece persegue il proprio interesse, promuove nel contempo anche quello della nazione in una maniera molto più efficace che se mirasse intenzionalmente a questo. Solo l’azione di uomini liberi e interessati produrrebbe benessere. L’esperienza di tutti i tempi e di tutti i popoli concorderebbe infatti nel dire che il lavoro svolto dagli schiavi, benché comporti solo il costo del loro mantenimento, alla fine si rivela come il più costoso di tutti, perché chi non può guadagnare niente per sé, non ha altro interesse che quello di mangiare il più possibile e di lavorare il meno possibile>> (6).
 

La dottrina dell’”altruismo dell’egoismo” propugnata da Adam Smith ebbe effetto di una rivelazione per molti contemporanei. Frédéric Bastiat esaltò questa legge come la <<rivelazione più sublime dell’imparziale Provvidenza di Dio nei confronti di tutte le sue creature>> (7). A sua volta Hermann Heinrich Gossen (1810-1858) disse che, come Dio ha messo ordine nei suoi mondi con la forza di gravità, così crea <<ordine tra i suoi uomini>> con l’interesse personale. Sarebbe questo a tener unita la società umana, il <<legame che abbraccia gli uomini e li costringe a promuovere in reciproco scambio il bene del prossimo contemporaneamente al proprio>>. Purtroppo l’interesse personale sarebbe stato misconosciuto fino al punto di essere bollato come <<avidità di piaceri>>: <<Sino a questo punto l’uomo può smarrirsi, quando trascura le rivelazioni che il Creatore fa in maniera eterna, immutabile e ininterrotta nella creazione, e assume al loro posto come regola statuti umani>> (8).
 

L’idea che <<gli interessi e le inclinazioni naturali dell’uomo coincidano nel modo più esatto con gli interessi generali>> (Adam Smith) è frutto dell’ideologia illuminista del teismo. Il singolo – scrive Adam Smith - <<mira solo al proprio guadagno>>, ma mentre agisce così <<è condotto da una mano invisibile… a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni>>; si potrebbe per conseguenza dire di noi che siamo collaboratori della divinità e che contribuiamo per quanto sta in nostro potere a realizzare i piani della Provvidenza (9). Nel secolo XIX Johann Heinrich von  Thunen (1783-1850) affermava nel medesimo senso che l’uomo, mentre ritiene di <<perseguire  semplicemente il proprio interesse>>, sarebbe in realtà <<uno strumento in mano a una potenza superiore>> e lavorerebbe <<spesso senza saperlo, a una costruzione grande e artistica>> (10).
 
 

e)      Il timone ordinatore dell’economia è la concorrenza. Per trasformare l’egoismo in altruismo la misteriosa <<mano invisibile>> di Dio si serve di un mezzo semplice, cioè della concorrenza. Come l’interesse personale è il motore che fa girare l’economia, così la concorrenza è il timone che mette ordine e che guida i molteplici interessi particolari ad armonizzarsi e a tendere al bene comune. Ognuno, afferma sempre Adam Smith, è pienamente libero di perseguire a proprio modo i propri interessi – fintanto che non lede la giustizia – e di far concorrenza con la propria professione e il proprio capitale ad altri. Dal momento che la concorrenza è la garante del bene comune, bisognerebbe opporsi alla fame di sovvenzioni di molti mercanti, che fanno la corte allo Stato per ottenere dei privilegi monopolistici. L’eliminazione della concorrenza sarebbe infatti vantaggiosa per alcuni, ma sarebbe sempre contro gli interessi generali (11).
 
 


1.            A. Smith: op. cit., lib. 2, cap. 3, 4 e 9
2.            Traité d’économie politique, p. 12s.
3.            Œuvres completes, Parigi 1855, vol. 6, p. 10s.
4.            L’ordre naturel et essentiel des sociétés politiques, Parigi 1767, p. 81.
5.            Op. cit., lib. 3 cap. 2.
6.            Ivi, lib. 4, cap. 2, II, p. 444.
7.            Op. cit., p. 327.
8.            Entwicklung der Gesetze des menschlichem Verkehrs, Berlino, 1889, pp. 3 e 227.
9.            Op., cit., lib. 4, cap. 2, II, p .444
10.          Der isolierte Staat, I, p. 327.
11.          Op. Cit., lib. 4, cap. 7.
 
 
 
 
 


 
 
 



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