In questa sezione dunque non ci occuperemo di partiti, ma di qualcosa di più importante: le idee di fondo dei più importanti sistemi politici nati nella storia per comprendere in che modo possiamo creare una società più giusta, più libera e più serena.
Questo è il coro unanime che intonano non soltanto i responsabili
economici e la maggior parte dei responsabili politici, ma anche gli intellettuali
e i giornalisti che hanno accesso ai principali media in capo audiovisivo,
nella stampa, nella grande editoria, generalmente in mano a gruppi industriali
o finanziari. Il pensiero dissenziente è stato non già proibito,
bensì costretto in un regime di quasi clandestinità. Ecco
la libertà di espressione della quale si compiacciono i sostenitori
del nostro sistema liberale.
La principale virtù del capitalismo risiede nella sua efficienza
economica. MA a beneficio di chi? E a quale prezzo? Esaminiamo i fatti
nei paesi occidentali, che sono la vetrina del capitalismo, mentre il resto
del mondo ne costituisce piuttosto il retrobottega. Dopo il grande periodo
di espansione nel XIX secolo, dovuto all’industrializzazione e al feroce
sfruttamento dei lavoratori, l’evoluzione così come si è
determinata nel corso degli ultimi decenni ha portato alla quasi sparizione
della piccola proprietà contadina, divorata dalle grandi aziende
agricole, e ha prodotto tra le altre conseguenze l’inquinamento, la distruzione
del paesaggio e il degrado della qualità dei prodotti (e questo
a spese del contribuente poiché l’agricoltura ha continuato a ricevere
sovvenzioni). Ha portato alla sparizione quasi completa del piccolo commercio
al dettaglio, soprattutto a favore della grande distribuzione e degli ipermercati.
Ha favorito inoltre la concentrazione delle industrie in grandi aziende,
prima nazionali e poi sovranazionali, con proporzioni tali da superare
talvolta la capacità finanziaria di intere nazioni. Queste aziende
fanno la legge (o pretendono di farla), prendendo provvedimenti al
di sopra degli stati per rafforzare il loro potere già privo di
controlli. La United Fruit è “proprietaria” di diversi stati dell’America
Latina.
I dirigenti capitalisti potevano temere che la sparizione della piccola
proprietà contadina, dell’artigianato e della piccola borghesia
industriale e commerciale facesse ingrossare le file del proletariato.
Ma il “modernismo” ha fugato i loro timori, con l’automazione, la miniaturizzazione,
l’informatica. Dopo lo spopolamento dei campi, stiamo assistendo a quello
di fabbriche e uffici. Siccome il capitalismo non sa e non vuole condividere
profitto e lavoro (lo vediamo dalle reazioni indecenti e isteriche del
padronato sulle “35 ore”, provvedimento peraltro timidissimo), arriviamo
ineluttabilmente alla disoccupazione e al suo strascico di disastri sociali.
Quanto più numerosi sono i disoccupati, tanto minori sono le
indennità di disoccupazione e tanto meno durano. Quanto meno numerosi
sono i lavoratori, tanto più si prevede di ridurre le pensioni.
Sembra logico e ineluttabile. Ed è così, se ci si limita
a ripartire l’onere della solidarietà solo sui salari. Ma se si
prende in considerazione il prodotto nazionale lordo che è aumentato
di più del 40% in meno di 20 anni, mentre la massa salariale ha
continuato a diminuire, le cose vanno in tutt’altro modo! Ma questo non
rientra nella logica capitalista.
Quasi 20 milioni di disoccupati in Europa, ecco il bilancio positivo
del capitalismo! E il peggio deve ancora venire. Le grandi imprese europee
e statunitensi, i cui utili non sono mai stati così cospicui, annunciano
licenziamenti in massa. Occorre “razionalizzare” la produzione: lo impone
la concorrenza!
I cantori del liberalismo – del “modernismo” – esaltano il Regno Unito
e gli USA quali campioni del successo economico e della lotta contro la
disoccupazione. L’abbattimento delle protezioni sociali, la precarietà
dell’occupazione, i bassi salari e il taglio delle indennità ai
disoccupati (che così spariscono dalle statistiche) saranno forse
l’ideale del signore Madelin, ma non credo proprio che siano l’ideale dei
lavoratori del suo paese.
Negli USA, il paradiso del capitalismo, 30 milioni di abitanti (più
del 10% della popolazione) vivono sotto la soglia di povertà e tra
questi i neri rappresentano la maggioranza.
Per favorire gli investimenti produttivi, nell’industria o nei servizi,
il capitalismo dichiara di volerli rendere concorrenziali rispetto agli
investimenti finanziari e speculativi a breve termine. In che modo? Tassando
questi ultimi? Niente affatto. Abbassando i salari e gli oneri sociali!
È anche un modo per rendere concorrenziali l’Occidente con il Terzo
mondo. Del resto nel Regno Unito hanno ricominciato a far lavorare i bambini.
Infatti, questo paese, per molti aspetti vassallo degli USA, non ha ratificato
il trattato che vieta il lavoro minorile.
Preso nel circolo infernale della concorrenza il Terzo mondo dovrà
abbassare ancora i costi e affondare ulteriormente i suoi abitanti nella
miseria. Poi sarà nuovamente il turno i suoi abitanti nella miseria.
Poi sarà nuovamente il turno dell’Occidente, e così via finchè
il mondo intero sarà nelle mani di pochi grandi gruppi sovranazionali,
a maggioranza statunitense e non si avrà quasi più bisogno
dei lavoratori, ma solo di una élite di tecnici. Allora per il capitalismo,
il problema sarà quello di trovare i consumatori, al di fuori di
quest’élite e di quella degli azionisti, e sarà anche quello
da temere a bada la delinquenza che la miseria avrà portato.
L’accumulazione del denaro – che di per sé rappresenta soltanto
un’idea astratta – impedisce la produzione di beni di investimento e di
beni primari. Il libro nero del capitalismo sta giù scritto davanti
a noi, nel suo “paradiso”. Ma che ne è del suo inferno, il Terzo
mondo? Le devastazioni compiute in un secolo e mezzo dal colonialismo e
dal neocolonialismo non si possono calcolare, così come non si possono
stimare i milioni di morti che gli sono imputabili. Ne sono colpevoli tutti
i grandi paesi europei e gli USA. Schiavitù, repressioni spietate,
torture, appropriazioni; furto di terre e di risorse naturali da parte
delle grandi compagnie occidentali, statunitensi o multinazionali, o dei
potenti locali al loro soldo; creazione o smembramento artificiale di paesi,
imposizione di dittature; monocoltura in sostituzione delle colture alimentari
tradizionali; distruzione dei modelli di vita e delle civiltà ancestrali;
deforestazione e desertificazione, disastri ecologici, carestia; cacciata
delle popolazioni verso le megalopoli, dove sono in agguato la disoccupazione
e la miseria.
Le strutture di cui si è dotata la comunità internazionale
per regolare lo sviluppo delle industrie e del commercio sono interamente
nelle mani e al servizio del capitalismo: la Banca mondiale, il Fondo monetario
internazionale, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico,
l’Organizzazione mondiale del commercio, e ora l’Accordo multilaterale
sugli investimenti. Questi organismi sono serviti solo a indebitare i paesi
del Terzo mondo e a imporre loro il credo liberale. Hanno permesso lo sviluppo
di sfacciate fortune locali, ma non hanno fatto che accrescere la miseria
delle popolazioni (1).
Tra qualche decennio il capitalismo internazionale non avrà quasi
più bisogno di manodopera. L’automazione incombe! I laboratori statunitensi
studiano le colture in vitro che distruggeranno definitivamente il Terzo
mondo agricolo (e forse la stessa agricoltura francese, la seconda nel
mondo per le esportazioni). Non saranno i beni ciò che i lavoratori
di tutto il mondo finiranno per spartirsi, ma la disoccupazione.(2).
Servizi essenziali, quali l’istruzione, la sanità, l’ambiente,
la cultura, la mutua assistenza, non saranno più assicurati perché
non genereranno profitti e non interesseranno il settore privato. Resteranno
a carico degli stati o delle comunità locali, cui il liberalismo
vuole togliere ogni potere e ogni mezzo economico.
Quali sono i mezzi di espansione e di accumulazione del capitalismo?
La guerra (o la protezione, sull’esempio della mafia), la repressione,
la spoliazione, lo sfruttamento, l’usura, la corruzione, la propaganda.
La guerra contro i paesi ribelli che non rispettano gli interessi occidentali.
Quello una volta che fu appannaggio del Regno Unito e della Francia, in
Africa e in Asia(gli ultimi soprassalti del colonialismo nelle Indie, nel
Madagascar, in Indocina, in Algeria hanno fatto milioni di morti), è
oggi appannaggio degli USA, il paese che pretende di comandare il mondo.
Gli USA proprio per questo, non hanno smesso di praticare una politica
di eccesso di armamenti (che pure vietano agli altri). Abbiamo visto in
azione questo imperialismo in tutti gli interventi diretti o indiretti
degli USA in America Latina, e particolarmente in America Centrale (Nicaragua,
Guatemala, Salvador, Honduras, Grenada), in Asia, in Vietnam, in Indonesia,
a Timor (genocidio più esteso in proporzione, di quello dei khmer
rossi in Cambogia – circa due terzi della popolazione – e perpetrato con
l’indifferenza, se non con la complicità dell’Occidente), nella
guerra del Golfo ecc. (3).
La guerra non si fa soltanto con le armi, ma può assumere forme
inedite: per esempio, gli USA non hanno esitato a sostenere la setta Moon
in Corea nella sua lotta contro il comunismo, come anche i fascisti nell’Italia
del dopoguerra e non hanno esitato ad armare o sovvenzionare gli integralisti
islamici (i fratelli musulmani o i talebani in Afghanistan). La guerra
può anche prendere la forma delle sanzioni contro altri stati indocili
(Cuba, Libia, Iraq), tanto onerose per le popolazioni (parecchie centinaia
di migliaia, addirittura milioni di morti in Iraq).
La spoliazione è la causa evidente del ricorso alla forza. Se
si vuole svaligiare una casa in presenza dei suoi abitanti, è meglio
possedere un’arma.
Le pratiche del capitalismo sono simili a quelle della mafia, ecco perché
quest’ultima prolifera così bene nel suo humus.
Come la mafia, il capitalismo protegge i dirigenti docili che lasciano
sfruttare spudoratamente il proprio paese dai grandi gruppi statunitensi
o sovranazionali. In tal modo, quando non le introduce esso stesso, consolida
le dittature (tanto più efficaci delle democrazie nel proteggere
i beni delle imprese).
Le sue armi sono indifferentemente la democrazia o la dittatura, il
commercio o il gangsterismo, l’intimidazione o l’omicidio. Così
la CIA è probabilmente da considerarsi la più grande organizzazione
criminale su scala mondiale.
Altra pratica mafiosa è l’usura: come la mafia presta denaro
al commerciante che non potrà mai liberarsi del suo debito e finirà
per prendere la sua bottega (o la vita), così si inducono i paesi
a investire, spesso artificiosamente, e ad acquistare armi per la lotta
contro gli stati indocili. Essi dovranno poi rimborsare gli interessi accumulati
dal debito e i creditori diventeranno facilmente i padroni della loro economia.
Repressione e sfruttamento procedono di pari passo: repressione antisindacale
(che una volta era legale e attualmente non è confessata, ma costantemente
esercitata), sorveglianza repressiva, milizia padronali criminali (4),
sindacati “gialli” (sostenuti dal padronato) e repressione contro ogni
contestazione operaia radicale (5). La possibilità di sfruttare
impone questo costo. E sappiamo, da Marx, che lo sfruttamento del lavoro
è il motore del capitalismo. Le economie occidentali sottopongono
il Terzo mondo alle peggiori forme di sfruttamento: la schiavitù
e, al loro stesso interno, l’asservimento degli immigrati clandestini.
La corruzione: le multinazionali dispongono di tale forma di influenza,
anche finanziaria e politica sul complesso dei dirigenti pubblici o privati
che soffoca qualsiasi resistenza.
La propaganda: per imporre il suo credo e giustificare l’eccesso di
armamenti, gli atti delittuosi e i crimini sanguinosi, il capitalismo invoca
sempre concetti generali: difesa della democrazia, della libertà,
lotta contro la dittatura “comunista”, difesa dei valori dell’Occidente,
mentre il più delle volte non difende altro che gli interessi di
una classe possidente, che vuole impadronirsi delle materie prime, dettar
legge sulla produzione di petrolio o controllare luoghi strategici. Questa
propaganda è diffusa da governanti economici e politici, da una
stampa e da media asserviti. Sono i “cani da guardia” già
denunciati da Nizan. Ed è il “tradimento dei chierici” contro il
quale si scaglia Julien Benda (6).
Assertori del liberalismo, lodatori degli USA, dico a voi! Non ho udito
la vostra voce contro la distruzione del Vietnam, né contro il genocidio
indonesiano, né contro le atrocità perpetrate in nome del
liberismo in America Latina; non l’ho udita neppure contro l’appoggio statunitense
al colpo di stato di Pinochet, uno dei più sanguinosi della storia
(7), né contro la condanna a morte dei sindacalisti turchi. La vostra
indignazione è stata alquanto selettiva: Solidarnosc, ma non il
Disk, Budapest, ma non l’Algeria, Praga, ma non Santiago, l’Afghanistan,
ma non Timor. Non vi ho visto indignarvi quando uccidevano comunisti o
semplicemente persone che volevano dare il potere al popolo o difendere
i poveri. E non vi odo chiedere perdono per la vostra complicità
e per il vostro silenzio.
Maurice Cury
[Tratto da “Il libro nero del capitalismo”, Est. 1998, Titolo originale:
“Le livre noir du capitalisme”]
Nd.r: Maurcive Cury è poeta, romanziare, saggista, sceneggiatore
di cinema e televisione, autore radiofonico e teatrale. Ultime pubblicazioni:
Les orgues de Fiandre, La jungle et le desert, Le Liberalisme totalitaire
Bibliografia : (1) P. Paraire, Le Village monde et son château, Le Temps des
Cerises, Pantin, 1995
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