A  SILVIO

 

Silvio, rimembri ancora

quel tempo della tua vita mortale,

quando il governo splendea

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

e tu, lieto e pensoso, il limitare

dei Comunisti pensavi ?

Sonavan le quiete

stanze, e le vie dintorno,

al tuo perpetuo lavoro,

allor ch'alle riforme intento

sedevi, assai contento

di quel giusto avvenire che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

così menare il giorno.

 

Io i duri negoziati

talor lasciando le sudate carte,

ove il tempo mio primo

e di me si spendea la miglior parte,

d'in sui tetti della potente Arcore

porgea gli orecchi al suon della tua voce,

ed alla man veloce

che percorrea i faticati documenti.

Mirava il ciel sereno,

le vie dorate e gli orti,

e quinci Macherio da lungi.

Lingua mortal non dice

quel ch'io sentiva in seno.

 

Che pensieri soavi,

che speranze, che cori, o Silvio mio !

Quale allor ci appaia

la vita umana e il fato !

Quando sovviemmi di cotanta speme

una vendetta mi preme

crudele e inoppugnabile

e tornami a doler di mia sventura.

O Fausto, o Massimo,

perché non rendete poi

quel che diceste allor ? Perché di tanto

inganni gli elettori tuoi ?

 

Tu pria che tornasse il caldo

da Santoro e Mentana vinto,

perdevi, poveretto. E non vedevi

il fior dei voti tuoi;

non ti molceva il core

la dolce lode or del sapiente Fini

or dell'innamorato Rocco,

Nè teco i cugini Riformatori

parlavan d'alleanze.

 

Anche peria fra poco

la speranza mia dolce: agli anni miei

anche nagaro i Comunisti

la giovanezza. Ahi come,

come passata sei,

cara amica dell'età mia nova,

mia sudata speme !

Questo, é il mondo ? Questo

il federalismo, il rinnovamento, il risanamento,

onde cotanto ragionammo insieme ?

Questa la sorte dell'umane genti ?

Ma all'apparir del vero

Tu, misera, non cadrai: e con la mano

tanti voti e un governo forte

non tra molto mostrerai.