La Spagna degli anni Trenta
La Spagna degli anni Trenta era ancora una realtà precapitalistica, ad
eccezione di alcune zone fortemente industrializzate. Ai pochi grandi proprietari
terrieri, infatti, si contrapponeva la massa di braccianti agricoli, operai
e minatori, tra cui trovavano terreno fertile le teorie e i movimenti socialisti;
tra i ceti medi urbani, invece si facevano strada, oltre a quelli socialisti,
anche i movimenti democratico-repubblicani e anticlericali. Alle elezioni politiche
del 1931 i repubblicani e i socialisti alleati ottennero una importante affermazione,
che segnò la caduta della dittatura di Primo de Rivera e del re Alfonso
XIII. La destra cattolica, però, grazie anche al favore dell'esercito,
tornò al potere l'anno seguente. La situazione politica e sociale era
incandescente. Nel 1934, per reprimere i moti insurrezionali dei minatori (ottobre
spagnolo), intervenne la legione straniera comandata dal generale Francisco
Franco.
La costituzione
del Fronte Popolare
Le elezioni del febbraio 1936 segnarono una netta contrapposizione tra la destra
e la sinistra: una coalizione assai composita di gruppi riconducibili in senso
ampio alla sinistra e alleati sotto la comune denominazione di "Fronte
popolare" ottenne 4700000 voti contro i 3997000 voti del "Fronte nazionale"
delle destre e i 49900 voti del centro. Fallito l'esperimento di destra, la
Spagna ritentava la strada del governo di sinistra, governo che questa volta
assumeva come in Francia, la forma del Fronte popolare, favorita anche dall'Internazionale
comunista. Al Fronte partecipavano le forze che avevano dato vita al governo
nel 1931-33: repubblicani e socialisti, affiancati dal piccolo partito comunista,
dal POUM (Partito Obrero de Unificacion Marxista - Partito Operaio di Unificazione
Marxista), che raccoglieva i comunisti antistalinisti, e dagli anarchici. Uno
schieramento, dunque, assai eterogeneo, dilaniato da tutte le divisioni che
attraversavano allora la sinistra internazionale: non solo quella che contrapponeva
il riformismo moderato all'intransigenza rivoluzionaria, ma anche quella che
divideva come nemici giurati i comunisti "ortodossi", che accettavano
il ruolo di Stato-guida dell'Unione Sovietica di Stalin, dai comunisti trockisti,
o quella altrettanto dirompente, che vedeva il centralismo marxista scontrarsi
duramente con l'anima libertaria degli anarchici. La stessa decisione di alcuni
esponenti anarchici di entrare a far parte del governo, anteponendo la difesa
dello Stato democratico agli stessi loro principi, era destinata a creare gravi
contrasti all'interno del movimento anarchico.
Le difficili
condizioni di governo
Il programma del Fronte popolare aveva un carattere di netta impostazione "democratico-borghese",
e prevedeva:
- . l'amnistia per i reati politici;
- l'abrogazione di alcune leggi repressive ( emanate nel "bienio negro")
- l'avvio di un programma di lavori pubblici per alleviare la disoccupazione
e di provvidenze a favore dei contadini
- misure di revisione fiscale
- controlli sulle attività finanziarie e bancarie
- ampliamento della legislazione sociale
La vittoria del Fronte popolare provocò comunque una radicale risposta
da parte delle destre, che minacciarono il colpo di Stato.
Una volta giunto al governo, lo schieramento di sinistra rivelò appieno
le contraddizioni tra le sue diverse componenti: anarchici e comunisti dissidenti
del POUM catalano erano decisi a proseguire e intensificare le pressioni dal
basso verso la collectivisacion e l'immediata instaurazione del socialismo,
mentre i repubblicani e comunisti mettevano al primo posto la difesa contro
la minaccia di destra e si battevano per porre sotto controllo la conflittualità
sociale. I socialisti e la UGT (Union General de Trabajadores), che non avevano
una chiara linea politica, tentavano ostinatamente di mediare tra le due componenti,
causandone spesso ostilità.
L'insurrezione
militare
I primi mesi successivi alla vittoria del Fronte popolare videro una rapida
radicalizzazione del conflitto sociale e politico. Operai e contadini diedero
sfogo a una rabbia lungamente repressa, moltiplicando gli attacchi contro gli
antichi proprietari e la Chiesa e dando vita a un'ondata di scioperi e di occupazioni
di terre e di fabbriche. La destra, per parte sua, andò unificandosi
sotto la guida delle sue componenti più aggressive e violente: la Falange
(organizzazione fondata nel 1933 sul modello del partito fascista, la quale
iniziò una violenta attività terroristica assumendo un preciso
profilo paramilitare) e gli alti gradi dell'esercito, che non avevano mai abbandonato
l'idea del colpo di Stato. Fu proprio un gruppo di ufficiali spagnoli in Marocco,
capeggiato dai generali Francisco Franco ed Emilio Mola, a dare inizio, tra
il 17 e il 19 luglio 1936, ad una sollevazione militare contro il governo repubblicano,
assumendo come pretesto l'uccisione del leader dei monarchici ad opera di socialisti,
i quali volevano vendicare un loro compagno ucciso dalla Falange.
L'insurrezione militare raggiunse ben presto le città, permettendo ai
generali golpisti di controllare l'Andalusia. Era così iniziata la guerra
civile.
L'intervento
delle potenze fasciste
Fin dall'inizio gli insorti poterono contare sull'appoggio politico e militare
delle due potenze fasciste, Italia e Germania. Oltre ad aiuti economici la Germania
nazista inviò in Spagna la legione aerea "Condor", decisiva
per permettere il trasbordo di truppe dal Marocco alla madrepatria, sia per
conferire ai ribelli l'importante superiorità strategica aerea. L'Italia
fascista inviò 70000 "volontari", in gran parte contadini e
proletari reclutati con promesse e minacce, circa 800 aerei, 2000 cannoni e
quasi 8000 automezzi. A motivare l'appoggio dei nazifascisti a Franco non furono
solamente le affinità ideologiche e la volontà di allargare la
presenza fascista in Europa, ma anche la speranza di strumentalizzare il colpo
di Stato in Spagna in funzione antifrancese, costringendo la Francia a spostare
la difesa sulle frontiere meridionali e quindi ad allentare la guardia al confine
tedesco. Infine la fascistizzazione della penisola iberica doveva dimostrare
alla Gran Bretagna l'inutilità dei suoi sforzi di politica "europea",
spronandola a rinchiudersi sempre di più nell'ambito del suo Impero.
La posizione
della Chiesa cattolica
Un altro importante appoggio a Franco venne dalla Chiesa cattolica, quasi tutta
schierata in suo favore contro il "sacrilego" anticlericalismo della
repubblica. La convergenza tra nazifascisti e papato, sanzionata nel 1939 dalla
benedizione del nuovo papa Eugenio Pacelli, Pio XII al regime franchista, oltre
a indebolire le posizioni degli antifranchisti nei paesi occidentali, rafforzò
ulteriormente in quegli anni di grave tensione politica, il consenso interno
ai regimi fascisti.
Il contraddittorio
atteggiamento delle democrazie occidentali
Contrariamente ai regimi fascisti, le potenze democratiche non s'impegnarono
direttamente nel conflitto. Subito dopo l'inizio dell'insurrezione il governo
spagnolo aveva chiesto aiuto alla Francia, da poco retta anch'essa da un governo
di Fronte popolare. Ma il primo ministro francese, temendo una divisione del
proprio governo, aveva preferito assumere un atteggiamento prudente, proponendo
fin dal 1° agosto 1936 a tutte le potenze europee una politica di "non
intervento"; a questa decisione aveva aderito con entusiasmo la Gran Bretagna,
guidata da un governo conservatore. Solo l'Unione Sovietica, sotto la copertura
dell'Internazionale comunista, si impegnò direttamente a fianco del governo
repubblicano spagnolo, inviando volontari e materiali bellici.
La decisione delle potenze democratiche di lasciare che fossero gli spagnoli
a risolvere le proprie contraddizioni si tradusse in un duplice grave colpo
per la repubblica. Primo perché ponendo sullo stesso piano il governo
repubblicano e i militari ribelli, si finiva con il negare la legittimità
della repubblica; secondo perché non si impediva alle forze nazifasciste
di portare il loro auto ai ribelli, mentre alla repubblica veniva a mancare
l'aiuto delle democrazie occidentali su cui essa più contava. Ciò
influiva anche sulla politica sovietica in Spagna. Decisa ad aiutare il governo
legittimo sia direttamente, attraverso l'invio di denaro e armi, sia indirettamente,
favorendo il volontariato delle Brigate Internazionali filorepubblicane, l'Unione
Sovietica intendeva utilizzare la crisi spagnola per favorire la sua politica
di riavvicinamento alle democrazie occidentali in funzione antifascista. Questo
progetto produsse, oltre a molte esitazioni e svolte nella politica di aiuti,
anche le pressioni dell'Urss sui comunisti presenti in Spagna (nel Partito comunista
spagnolo o nelle Brigate Internazionali) per imporre una politica "rassicurante"
per le democrazie occidentali. Inoltre, il fatto che l'Unione Sovietica fosse
il solo paese apertamente dalla parte della repubblica, mentre Gran Bretagna
e Francia seguivano la politica della "non ingerenza" e gli Usa ponevano
l'embargo contro entrambi i belligeranti, oltre a rafforzare l'influenza del
piccolo Partito comunista spagnolo, faceva della guerra civile spagnola una
sorta di arena per il conflitto tra fascismo e comunismo.
Gli italiani
nelle Brigate Inernazionali
In soccorso del Fronte Popolare, si schierarono anche i fuoriusciti italiani,
gli antifascisti in esilio, soprattutto aderenti a Giustizia e Libertà
(Carlo Rosselli organizzò una colonna di volontari fin dall'estate del
1936), gli anarchici come Camillo Berneri; i comunisti confluirono nelle Brigate
Internazionali, composte da uomini di diversa nazionalità ed anche di
differenti tendenze politiche. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati
nella Brigata Garibaldi, fu consistente, circa 3350 effettivi, e mise in campo
alcuni tra i maggiori esponenti dell'antifascismo: i comunisti Togliatti, Longo,
Di Vittorio e Vidali, il socialista Nenni, il repubblicano Pacciardi. Le Brigate
Internazionali erano guidate dal generale russo Emil Kléber.
Le divisioni
del fronte repubblicano
Mentre tra i ribelli si rafforzava l'autorità d Franco e si liquidavano
le divisioni interne alla destra attraverso la creazione di una sorta di "partito
unico", la Falange nazionalista, gli echi interni dell'internazionalizzazione
del conflitto divisero le forze repubblicane. I comunisti, forti dell'appoggio
dell'Unione Sovietica e dell'accordo con le forze moderate, pretendevano che
si ponesse fine alle lotte sociali interne, in nome dell'unità contro
il comune nemico; inoltre cercavano di giungere al più presto alla liquidazione
sia delle forze anarchiche sia del POUM, considerato una forza "controrivoluzionaria",
facendo anche ricorso all'assassinio politico. D'altra parte gli anarchici non
accettavano le richieste di pace sociale in nome dell'unità, anzi sostenevano
l'utilità di una radicale rivoluzione sociale contemporanea alla guerra
civile. Le divisioni culminarono nelle tragiche "giornate di Barcellona"
del maggio 1937: uno scontro armato tra i comunisti e le forze ufficiali della
repubblica da una parte, e le milizie anarchiche e del POUM dall'altra, che
si condusse con la liquidazione di fatto del POUM e un forte ridimensionamento
della forza degli anarchici.
Le vicende militari
Le lotte interne alla coalizione che reggeva la repubblica, lotte che coinvolgevano
anche le Brigate Internazionali, rafforzarono i ribelli. Questi riuscirono,
nell'agosto del 1936, con la conquista di Badajoz, in Estremadura, a congiungere
le forze del sud-ovest con quelle del nord e a minacciare Madrid, roccaforte
insieme a Barcellona delle forze lealiste. Ma Madrid resistette, grazie anche
alla combattività delle Brigate Internazionali e la guerra allora si
spostò a sud e a nord, nell'intento di isolare la capitale, con battaglie
sanguinosissime. Nel febbraio del 1937 le truppe fasciste occuparono Malaga;
nel marzo furono sconfitte a Guadalajara dalle Brigate Internazionali italiane;
il 26 aprile l'aviazione nazista rase al suolo con un bombardamento a tappeto
Guernica; il 19 giugno i fascisti riuscirono a conquistare Bilbao.
Nell'estate-autunno del 1937 tutto il nord-ovest del paese era sotto il loro
controllo. Nella primavera successiva, nonostante una disperata controffensiva
in Aragona, le forze della repubblica erano spezzate in due tronconi: da un
lato quelle che resistevano attorno a Madrid, dall'altro quelle che reggevano
la Catalogna. A questo punto, il generale avvicinamento delle democrazie occidentali
alle potenze fasciste, in seguito al patto anglo-italiano dell'aprile 1938 e
alla conferenza di Monaco del settembre 1938, favoriva un ulteriore indebolimento
della repubblica. L'ultima grande offensiva tentata dalle residue forze repubblicane,
ormai irreparabilmente divise al loro interno e demoralizzate, fu quella dell'Ebro,
tra il luglio e il novembre del 1938. All'inizio del 1939 cadde Barcellona e
alla fine di marzo Madrid.
L'affermazione
della dittatura franchista
Finita la guerra, ebbe inizio una pace contrassegnata da episodi di persecuzione
politica. Nella cosiddetta "feroz matanza" (feroce massacro), decisa
da Franco all'indomani della guerra, morirono 200000 "marxisti", cioè
antifascisti, mentre altre centinaia di migliaia furono condannati a pene varie
e altri 300000 presero la via dell'esilio. Si consolidava, così, un'altra
dittatura fascista destinata a essere la più duratura della storia europea.
Lo scontro tra bolscevismo e fascismo si era risolto in netto favore del secondo
e la guerra di Spagna aveva segnato il precipitare degli equilibri internazionali,
anche se pochi se n'erano accorti.
CRONOLOGIA ESSENZIALE