Non è facile parlare
di un film come Battle Royale: specie per uno che non sappia a cosa va
incontro guardandolo, la prima mezz’ora costituisce un vero pugno nella
stomaco. Dopo un breve prologo che illustra il retroscena storico-sociale
nel quale gli eventi hanno luogo, siamo catapultati assieme al
protagonista nel bel mezzo di una situazione assolutamente agghiacciante,
cui non possiamo far altro, proprio come lui, che assistere passivamente.
Il film è in
sostanza il racconto dei 3 giorni nei quali il “gioco” si svolge.
L’obiettivo della storia, più che un’analisi sociologica delle ragioni che
possono stare dietro al varo di un provvedimento così radicale o delle
implicazioni morali della violenza istituzionale contrapposta a quella
individuale (in effetti vediamo molto poco della società che è stata
capace di produrre una tale risposta ai suoi problemi), è invece
focalizzato sugli effetti che tale sistema ha sulle persone: nei 42
studenti che vediamo costretti a partecipare al “gioco” possiamo trovare
ogni sorta di reazione alla situazione disperata che li vede coinvolti, e
un tema sul quale il regista indugia spesso e volentieri è il mostrare per
contrasto, attraverso svariati flashback, come i rapporti di conoscenza,
amore, amicizia che i ragazzi avevano nella vita di tutti i giorni vengano
stravolti nel nuovo, drammatico, contesto.
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