Welfare Society

Finanziaria 2006: meno società, più Stato

 

 

Raffaello Vignali, Presidente Compagnia delle Opere

Il Governo Prodi ha varato la sua prima legge finanziaria e l’ha inviata alle Camere: si tratta di un provvedimento assai difficile da condividere, sia nella impostazione generale che nei contenuti specifici.
Innanzitutto è una legge più “politica” che finanziaria: più preoccupata della sopravvivenza del Governo e quindi dei rapporti di equilibrio interno alle forze della maggioranza che del rigore e dello sviluppo; che opera una redistribuzione del reddito poi smentita nei fatti dall’aumento delle tasse locali; che premia dipendenti pubblici e sindacati e punisce i presunti ricchi, mentre non colpisce gli evasori e i veri ricchi.

Insomma, una legge più da lotta di classe da Anni Sessanta, che da sviluppo per gli anni Duemila. Ma è veramente questo ciò che serve all’Italia di oggi?
Quello che ci fa rientrare realmente in Europa non è appena il (pur positivo) rientro nel parametro di Maastricht sul rapporto deficit/pil: tutta Europa sta investendo sul capitale umano, apre spazi alla società, alle imprese, al desiderio delle persone di dare un contributo attivo per avviare una nuova fase di crescita. Questa è la prospettiva di sviluppo di cui il Paese ha bisogno.

Ma questa prospettiva non si realizza certo togliendo ingenti risorse alla società e allo sviluppo (pare che il prelievo ammonterà a circa 1 punto del Pil) per affidarle allo Stato e ad apparati elefantiaci, costosi e inefficienti (paradigmatico l’esempio della scuola: tra i paesi dell’OCSE, siamo ai primi posti per spesa statale e agli ultimi per qualità dell’apprendimento). Né attraverso il perseguimento di una presunta giustizia sociale che rende tutti uguali perché tutti poveri e poco istruiti.

Questa prospettiva accade, al contrario, se si realizza una forte mobilità sociale che premi il merito, cioè dando più libertà e più responsabilità alle persone, alle famiglie e alla società, perché tutti attraverso l’educazione e il tentativo di costruzione e di risposta ai bisogni contribuiscano ad un modo di vita più soddisfacente per tutti.
Per quanto riguarda lo sviluppo, abbiamo bisogno cioè di un sistema che aiuti le imprese nel loro difficile compito di reggere alla competizione internazionale.

I piccoli imprenditori, vero tessuto economico e occupazionale del paese, sono colpiti nel loro reddito personale e nel reddito dell’impresa, trattati come elementi antisociali, buoni solo per il fisco, invece di essere sostenuti nella loro opera. Se sono positivi i provvedimenti proposti da Bersani per sostenere l’innovazione attraverso il credito d’imposta e la creazione di fondi che aiutino finanziariamente le imprese, lo stesso non si può dire del TFR tolto alle imprese a beneficio dei conti dell’INPS: così si produce solo un forte danno patrimoniale che peggiora le condizioni già difficili di finanziare l’esistenza e lo sviluppo delle imprese.

Puntare sull’educazione come fattore di reale sviluppo economico e sociale significa innanzitutto qualificare la spesa, dove è già alta, non aumentarla: abbiamo bisogno non di nuovi insegnanti, ma di insegnanti nuovi che abbiano a cuore i ragazzi e la loro educazione e di un sistema che assicuri percorsi diversificati (non unitari, né tanto meno unici) di istruzione liceale, tecnica e di formazione professionale, secondo i talenti di ciascuno e che consenta libertà di scelta da parte delle famiglie. Così come abbiamo bisogno di più risorse da investire per la qualità dell’istruzione universitaria e post universitaria.

Sul fronte del Welfare, poi, occorre passare da uno Stato gestore ad uno Stato regolatore che valorizzi le risorse reali della società. Che senso ha parlare in astratto di soglie di reddito e di ricchezza senza tenere in debito conto delle famiglie prima che dei singoli, della loro composizione reale e delle spese che queste effettivamente sostengono per i figli e gli anziani a carico? Così come abbiamo bisogno di rendere il settore non profit più forte e autonomo dagli apparati pubblici per dare risposte innovative e organiche ai bisogni delle persone e delle famiglie: il 5x1000, introdotto lo scorso anno con un ampio consenso parlamentare, e che andava in questa direzione, è scomparso dalla finanziaria.

Non vogliamo, né serve all’Italia, uno Stato che domini e regoli tutto e che voglia realizzare una “società di dipendenti”, sottomessi al potere di turno, nella quale, come diceva Eliot, sia inutile essere buoni. Abbiamo invece, più che mai bisogno di sussidiarietà, cioè di più Società e meno Stato: un contesto sociale, economico e politico che favorisca la libertà, la responsabilità e l’impegno delle persone, delle famiglie, delle imprese. E lasci decidere a questi dove allocare le risorse. Per il bene di tutti.
 

 

Welfare Society: «Finanziaria 2006: meno società, più Stato. Il Governo Prodi ha varato la sua prima legge finanziaria e l’ha inviata alle Camere: si tratta di un provvedimento assai difficile da condividere, sia nella impostazione generale che nei contenuti specifici. Innanzitutto è una legge più “politica” che finanziaria: più preoccupata della sopravvivenza del Governo e quindi dei rapporti di equilibrio interno alle forze della maggioranza che del rigore e dello sviluppo; che opera una redistribuzione del reddito poi smentita nei fatti dall’aumento delle tasse locali; che premia dipendenti pubblici e sindacati e punisce i presunti ricchi, mentre non colpisce gli evasori e i veri ricchi», Raffaello Vignali, Presidente Compagnia delle Opere, Novembre 2006

 

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