Welfare Society

«Capitalismo popolare»

Più realismo e meno utopie
Voler bene agli ultimi e ai deboli
non equivale ad aiutarli
 

 
di Giorgio Vittadini,
(Presidente della Compagnia delle Opere),


    Sembra a molti che girotondini, cattocomunisti, no global e vetero-comunisti siano gli unici reali difensori dei deboli. Sembra a molti che la loro lettura della realtà sia giusta ma difficilmente attuabile perché legata agli interessi dei proletari, dei sottoproletari, degli esclusi in genere.

In realtà le analisi di queste aggregazioni politiche e sindacali sono spesso confuse e parziali e le loro strategie politiche inefficaci.

    Alcuni esempi lo dimostrano. A livello internazionale l’idea che la globalizzazione aumenti ovunque il divario tra Nord e Sud del mondo è smentita dal fatto che negli ultimi dieci anni gli indici riguardanti povertà, sviluppo, indicatori sociali, peso nell’export e presenza del settore secondario sono migliorati per il terzo mondo; gli indici di fecondità sono diminuiti anche e soprattutto nei paesi cattolici. Attaccare la globalizzazione solo da questo punto di vista significa, in realtà, volere che i paesi del terzo mondo rimangano produttori agricoli con tecniche preistoriche ed esportatori di materie prime senza possibilità di trasformarle; significa volere per loro fame e povertà.

    Non solo, ma identificare Stati Uniti e paesi occidentali come unici responsabili dello sfruttamento equivale a coprire le colpe di molti altri paesi, spesso musulmani integralisti o marxisti. Tali paesi perseguono lo sviluppo mediante lo sfruttamento dell’uomo nel lavoro, al pari e peggio di multinazionali (vedi Corea e Cina); sono dittature militari oppressive e in perenne e sanguinosa guerra (come in parte dell’Africa decolonizzata); inquinano più dei paesi occidentali (vedi ancora la Cina). Perché non chiedersi, invece, a quali condizioni sia possibile perseguire uno sviluppo al servizio e non contro l’uomo concreto?

    Analogamente, sul fronte interno, quali sono le conseguenze della difesa della rigidità del mercato del lavoro, dell’attacco all’interinale e a nuove forme di contratto, diverse da quelle del lavoro subordinato, del sostegno a un sistema pensionistico, previdenziale e assistenziale obsoleto e clientelare?

    Sono il peggioramento della situazione socio-economica italiana grazie all’aumento del costo del lavoro (già insostenibile di fronte alla concorrenza con i paesi che sfruttano il lavoro) e al decremento del tasso di occupazione (già il più basso d’Europa).

    Donne, giovani, lavoratori del Mezzogiorno,  in generale le fasce più deboli, sono così tenute lontane dal lavoro. Vi è da chiedersi inoltre perché al Nord, a fronte di disoccupati, mancano operai e si deve ricorrere quasi esclusivamente agli immigrati e mentre servirebbero investimenti al Sud le imprese delocalizzano all’estero.

Statalismo di maniera e inefficienze

    Nella scuola, nell’università, nell’assistenza, nella sanità la difesa di uno statalismo di maniera copre le inefficienze e l’inefficacia di parte dell’apparato pubblico e si oppone, contro ogni tradizione italiana, allo sviluppo di realtà no profit con gravi conseguenze per la qualità e l’equità dei servizi.

    Infine, nel campo giudiziario, l’estrema sinistra non sembra scandalizzata dall’uso di due pesi e due misure che salva imprenditori e politici potenti ma “amici”.

    In definitiva, l’uomo simbolo di questa sinistra non è il debole, ma il reduce del ’68, il protagonista dei film di Nanni Moretti, insoddisfatto, scettico e deluso e, quindi potenzialmente arrabbiato. L’origine delle analisi parziali sta in questa perenne risorgente utopia che pensa di risolvere il male che è in noi identificandolo  con un nemico da combattere. Più faticosa, più lunga, più contraddittoria, ma molto più vera è la strada di chi, ricco o povero che sia, ricerca Qualcuno e qualcuno che lo liberi dall’incapacità di realizzare il bene che pure intuisce. Questa è la condizione che fa costruire da subito senza aspettare rivoluzioni grondanti di sangue o di nuova ingiustizia. Questa è la vera strada degli ultimi.
 

 

Welfare Society: «Capitalismo popolare. Più realismo e meno utopie. Voler bene agli ultimi e ai deboli non equivale ad aiutarli», Giorgio Vittadini, il Foglio 6 febbraio 2003