Welfare
Society

Perché fissarsi sull'art. 18?

Dall’impresa sociale alla libertà di educazione, il popolo vuole politica non girotondi. Per sanità, assistenza, scuola e lavoro urgono riforme fuori dagli schemi.

Giorgio Vittadini,
(Presidente della Compagnia delle Opere),



Nei paesi sviluppati, come nella tradizione italiana, fino alla legge Crispi, non è mai esistito il Welfare state. Per parlare di qualcosa di nuovo e diverso dalla sanità, dall’assistenza, dalle scuole si pensi a come vengono affrontati i settori dei trasporti, del gas, dell’energia, dell’acqua, nell’Italia soffocata dalla mortifera antinomia tra privato e statale. Vi sono 6000 pagine su Internet alla voce non-profit utilities, dove si parla di depuratori, ferrovie, reti di gas, che vengono tutti gestiti da società pubbliche e private, con la partecipazione di utenti, con investitori sociali. Si parla di municipalità che si muovono in un’ottica privatistica. Si discute del possesso delle infrastutture e della gestione delle stesse, di concessioni, di appalti. Il problema è di natura tecnologica, economica, giuridica. Nulla, o quasi nulla, di questo dibattito avviene in Italia, a destra o a sinistra, localmente o a livello nazionale. Perché accade questo? Perché ridursi, in questo Paese, alla monocultura di uno stato inefficiente e ingiusto, di un privato che a livello locale crea solo monopoli o oligopoli?
Manca una soggettività culturale, un desiderio, un’identità che voglia usare le cose e finalizzarle ad un ideale che comprenda i temi pubblici e privati, che li ami e li usi per un’esperienza più grande, più autentica. Occorre riconoscere che c’è un popolo ricco di bisogni, di esigenze, di esperienze, di proposte concrete e non solo teoriche. È una espressività sociale che non può essere ridotta a un gioco di parte e di potere, dove si rimanda sempre “al dopo” la risoluzione del problema. E si rimanda sempre a chi ha il potere, che sia il privato “forte” o un pubblico onnipresente. Invece, una buona politica deve delimitare il perimetro delle possibilità, mediare tra le linee emergenti, controllare la qualità e la legalità. A questo punto, riallargando il discorso a sanità, assistenza, scuola, e ricomprendendo la pubblica utilità, solo raramente la libertà di scelta dell’utente viene garantita, viene esercitata fino in fondo diventando così un principio di azione. Il finanziamento pubblico che avvenga come buono scuola, come voucher nell’assistenza, come esenzione fiscale, non può che seguire questo principio della libera scelta, configurandosi come il modo in cui le tasse (attraverso cui le persone pagano i servizi collettivi) vengono spese. Se la persona sceglie l’operatore statale diviene spesa pubblica, se la scelta è verso il sistema profit diviene sostegno all’opera.

Fedeli al libro bianco
Purtroppo, in un momento in cui si sostiene di contenere la spesa pubblica, siamo in un paese in cui il girotondo invoca la dittatura dell’istituzione nella scuola chiamandola pubblica; le leggi sull’assistenza danno soldi a pioggia per favorire le burocrazie e i deficit dell’amministrazione dei grandi comuni. Invece, la legge popolare sul lavoro, nel solco dei provvedimenti che il governo sta introducendo sulla flessibilità, è un primo esempio che va nella giusta direzione, come del resto tutto il libro bianco. Ma allora perché fissarsi sull’articolo 18, sia a destra che a sinistra?
La legge sull’impresa sociale approvata dal governo e all’esame del Parlamento non è stata ancora compresa nella sua importanza, nella sua centralità, anche da chi continua a parlare di riforme del welfare. Si può dire invece che rappresenti per il nostro Paese un’autentica rivoluzione. Come molte realtà crescono quasi nella disattenzione generale, così, se realmente attuate, queste leggi mostreranno la loro forza di cambiamento, vincendo ogni logica di schieramento e ogni spirito di parte.

Giorgio Vittadini,
Tempi, Numero: 16 - 18 Aprile 2002