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La crociata di Oriana

di Franco Cangini
 

Quel che Berlusconi non osa neppure pensare, sul conto dell'Islam, lo ha scritto Oriana Fallaci. Non un articolo, ma un grido del cuore amplificato da quattro intere pagine del «Corriere della Sera».

Affermazioni, le sue, che più politicamente scorrette non si può. Può permettersi di farle perché molto famosa, molto ammalata e provvista di un eccezionale olfatto giornalistico per l'opinione corrente. Quanto meno si ha da perdere, tanto più ci si può permettere il lusso della sincerità. Il presidente del Consiglio non poteva permettersi di dire che nella graduatoria delle civilizzazioni, quella occidentale si colloca al primo posto. Infatti, le reazioni sdegnate degli ulema, effettivi e onorari, lo hanno richiamato all'obbligo dell'ipocrisia. La Fallaci, invece, può permetterselo. Eccome.

Il suo ragionamento ha quattro capisaldi: 

1)     la nostra libera società è l'approdo di un percorso storico tormentato, partito tremila anni fa dalla Grecia, proseguito con la romanità e il cristianesimo, trasmutato nell'età moderna con il Rinascimento e, infine, giunto alla liberazione dell'uomo con la Rivoluzione americana. Tredici anni prima di quella francese; 

2)     l'America, con i suoi difetti, è la terra di tutte le libertà. La sua forza è nel patriottismo dei suoi cittadini, confermata dalla reazione popolare all'orrore dell'11 settembre; 

3)    l'Islam è la negazione di una società libera, vivaio di fanatici nemici della via occidentale alla modernità. La loro guerra contro il nostro mondo chiama in causa valori assoluti, esistenziali; 

4)     Italia ed Europa sbagliano ad aprirsi a una pericolosa presenza islamica, frutto «più che d'una emigrazione, d'una invasione condotta all'insegna della clandestinità». Per assicurarsi un futuro debbono ritrovare l'orgoglio della propria identità culturale.

L'insofferenza per l'immigrazione islamica è espressa dalla scrittrice con toni particolarmente vivaci, ma le sue tesi sono molto simili a quelle sostenute dal cardinale di Bologna Biffi e dal politologo Sartori. Chiaro che accusare l' Islam, in quanto religione e civilizzazione, di essere una fabbrica di fanatici assassini mette in seria difficoltà i governi dei Paesi musulmani amici ed è d'intralcio al tentativo di isolare la rete delle organizzazioni terroristiche. Di conseguenza avvicina il rischio, largamente previsto, di un catastrofico «scontro delle civiltà». Osama Bin Laden non chiede di meglio.

Ma Oriana Fallaci ha ragioni che la ragion politica necessariamente ignora. E' certo una cosa buona che il presidente Bush, e tutti i governanti occidentali in coro, garantiscano che la religione non c'entra e che, insomma, il terrorismo islamico è solo l'espressione di un disegno politico criminale. Una bestemmia contro il Corano. D'altro canto i diari dei diciannove «kamikaze» testimoniano un'altra verità.

Quei terroristi erano rampolli della buona borghesia islamica, giovani istruiti e, soprattutto, pii. Hanno lasciato dietro di sé una carneficina, ma anche parole di zelo religioso. Come queste: «Noi siamo di Dio, e a Dio ritorniamo». Dai governi arabi abbiamo sentito fin qui parole di condanna del terrorismo. Certamente sincere, poiché è il loro potere che Bin Laden vuole scalzare facendo leva sul sentimento religioso e sulle frustrazioni delle popolazioni. Ma ancora non abbiamo sentito un'autorità religiosa islamica disposta a sostenere che i terroristi commettono non solo un crimine ma anche un peccato contro Allah. Questo lo dice Bush, e fa bene a dirlo. Ma non basta a dimostrare che l'Islam non c'entra.

di Franco Cangini
Il Giorno, 30 Settembre
2001