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Le mani in pasta

 

Centotrentasette anni fa, John Henry Newman scriveva: «Ad osservare il mondo in lungo e in largo, le vicissitudini della sua storia, la molteplicità delle razze umane, i loro inizi, le sorti, la reciproca alienazione, i conflitti; le imprese, o il procedere senza meta; i progressi e gli acquisti casuali, la conclusione impotente di situazioni lungamente trascinate; la grandezza e miseria dell’uomo, la vastità delle sue aspirazioni, la brevità della sua vita, il velame che copre il suo destino futuro, le delusioni dell’esistenza, la sconfitta del bene, il successo del male, il dolore fisico, l’angoscia morale, la prevalenza e la forza del peccato, si ha una visione che dà sgomento e vertigine, che opprime col senso di un mistero profondo, che è assolutamente al di là della soluzione umana» (J. H. Newman, Il cuore del mondo, Bur 1994).

Il clima di guerra e di terrore che in queste settimane vive il mondo, la paura che serpeggia ovunque, rendono quelle parole attuali in ogni coscienza umana. Così non si può dire di esser vivi e cristiani in questo momento storico tanto grave senza avvertire lo “sgomento” e la “vertigine” di cui parla Newman. È una visione più vera e realista di tante presunte analisi speciali e di tanti “scenari” disegnati dai media e dagli opinion leaders.

Il Papa ha usato parole che scuotono per giudicare questo momento.

Due mesi fa scrivemmo che in questa circostanza siamo richiamati a scoprire chi ci salva. La domanda a Cristo per la vita del mondo e per la verità della nostra esistenza è l’azione più chiara e utile che possiamo compiere.

Ma il giudizio cristiano non si esprime come puro auspicio, non resta a qualche metro da terra senza mischiare le mani con il farsi concreto e ambiguo della storia. Il cristiano non è il comodo osservatore di una partita altrui, poiché «tanto lui sa già come stanno le cose». I cristiani non sono persone che credono di vivere già in Paradiso. Si entra nella mischia come tutti, dentro le approssimazioni e le contraddizioni che toccano ogni situazione umana, personale, sociale e politica. Qualsiasi posizione di distacco, di non compromissione di fronte ai problemi cela una presunzione intorno alla missione del cristiano: come se il giudizio che nasce dalla fede coincidesse con una svalutazione delle circostanze della vita, personale, sociale e politica.

La fede muove l’uomo al realismo, non alla fuga utopica. Amare il mondo e gli uomini non per quel che sono, ma per quel che dovrebbero essere è la radice del moralismo e dell’utopia che generano sempre violenza. Nello schierarsi dentro le vicende del mondo, chi è toccato dall’avvenimento cristiano è più inquieto nel cercare ragioni adeguate e profonde, e nel tenere presenti tutti i fattori in gioco. Si troverà in compagnia di uomini che dinanzi alle questioni sociali e politiche militano dalla stessa parte anche in nome di ragioni più superficiali o parziali. Ma non per questo lascerà il campo.

Quanto più le vicende sono gravi, tanto più nella vita della Chiesa non mancano l’esempio né il richiamo di Pastori che sanno prendere posizione. Come hanno fatto il Papa e il cardinale Ruini in questi mesi, richiamando gli Stati Uniti - impegnati nella difesa della loro, e nostra, libertà contro il terrorismo - al loro dovere storico, in quanto grande potenza, di favorire e garantire, per quel che è possibile, «una pace giusta e duratura».

Editoriale - Tracce
Novembre 2001