Povertà

Vertice FAO: 
Giorgio Vittadini:
«Ai poveri non servono slogan.
Puntare sull'educazione»


«Il lavoro sulla persona fa meno rumore ma incide più di certi interventi finanziari che si perdono nelle burocrazie»

di Giorgio Paolucci,

Per il Terzo mondo, meglio global o no-global?

"Non ci sto al balletto degli slogan contrapposti e delle ideologie ognuna delle quali pretende di avere la ricetta giusta per risolvere i problemi. I poveri nonhanno bisogno di merce ma di interventi concreti". Giorgio Cittadini, presidente della Compagnia delle Opere propone anzitutto di guardare ai fatti.


Parliamo di fatti; ci sono milioni di persone alle prese con la fame e la sopravvivenza.

proviamo a ragionare in termini storici: il numero degli affamati e' sceso dagli 840 milioni del 1990 a 777 nel triennio '97-'99 e secondo le stime ONU dovrebbe ridursi di altri 200 milioni entro il 2015. Anche in termini percentuali i malnutriti, che nel 1950 erano la meta' degli abitanti del Terzo mondo, sono scesi al 17%.
La produzione alimentare ha tenuto testa all'incremento della popolazione. E' la conferma dell'intuizione di paolo VI: il vero nome della pace e' lo sviluppo. Il contrario di certe posizioni che teorizzano il pauperismo.

Anche se lo sviluppo spesso costa lacrime e sangue e impone al Sud del mondo le regole del Nord e paghe inferiori?

Quando un imprenditore brianzolo apre un'azienda in Brasile, pianta un seme che puo' portare frutto, anche se le condizioni di lavoro non sono le stesse applicate in Italia. Ma e' meglio questa globalizzazione strisciante e perfettibile che la condanna alla disoccupazione e al sottosviluppo. Chiedetelo agli interessati.

Ma non sarebbe meglio sviluppare modelli alternativi anziche' applicare quelli dei Paesi ricchi anche al Terzo mondo?

I poveri non si aiutano con i "sarebbe meglio" , ma con soluzioni realistiche e praticabili. Che in agricoltura, per esempio, vuol dire favorire lo sviluppo di tecniche compatibili ed innovative, anche con l'uso delle biotecnologie e delle sementi ogm sicure, favorire la formazione di persone capaci di applicare le moderne tecniche di coltivazione e trasformazione dei prodotti che diminuiscono la dipendenza dall'Occidente. Piu' che riproporre massimalismi e formule basate sull' "anti", come sento fare in queste ore, si deve promuovere l'educazione dell'uomo concreto, potenziare le cosiddette agenzie educative.

A chi si riferisce?

A tanti volontari che sono impegnati a fianco delle popolazioni dell'Africa e dell'America Latina, e alla grande tradizione dei missionari e della Chiesa che ha messo al centro dell'azione l'uomo nella sua globalita'. Questo lavoro fa meno rumore ma incide molto di piu' rispetto a certi interventi finanziari delle agenzie internazionali che si perdono nei meandri delle burocrazie statali o , peggio, danno soldi a governi che li spendono per comprare armi o per aiutare le guerriglie all'opera nei Paesi nemici.

E l'Italia cosa puo' fare?


Intervenendo al Meeting di Rimini del 2000, il presidente algerino Bouteflika chiese che l'Italia ricominciasse a fare cooperazione come negli anni Settanta ed Ottanta, incentivando gli accordi bilaterali e rilanciando la presenza di tanti piccoli e medi imprenditori che avevano favorito mille occasioni di sviluppo. Invece in questo campo siamo ancora paralizzati dall'effetto Tangentopoli: ci si e' fermati agli abusi che qualcuno ha commesso anziche' continuare nel solco di una politica meritoria. Si e' buttato via il bambino con l'acqua sporca.

Cosa chiede al vertice della Fao?

Che dia tanto spazio agli scienziati e a chi lavora nei paesi poveri, e il minimo necessario ai politici.

di Giorgio Paolucci, Avvenire - 07 giugno  2002

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