Felicità

Meeting di Rimini 2003

Quel desiderio che rinasce in ogni regime
 

 

di Giorgio Vittadini
Presidente della Compagnia delle Opere




“Mettere a tema il desiderio, vuol dire domandarsi
di questa cosa così grande, così universale,
ma così difficile da mantenere,
quindi innanzitutto descrivere chi e come
questo desiderio lo coltiva.”

Devo dire la verità, quando ho letto il titolo del prossimo Meeting sono rimasto stupito perché mette a tema una cosa così generale e che rischierebbe di essere generica come la felicità, ma la mette a tema con una domanda: “C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?”.


Sembrerebbe una domanda banale: chi non desidera la vita e giorni felici? Chiunque di noi dovrebbe farlo. Invece a tema e’ il desiderio. Dobbiamo ammettere che il desiderio di felicità, che pur ci muove, nella vita è la prima cosa che, al limitare dell’età adulta, di fronte alle difficoltà e al dolore della vita, sembra scomparire.


Pensate che proprio la Bibbia, da cui e’ tratta la frase, a un certo punto dice: “L’uomo è fatto per la vita, ma cerca la morte”. A un certo punto della vita è come se l’uomo negasse questo desiderio.


Mettere a tema il desiderio, vuol dire domandarsi di questa cosa così grande, così universale ma così difficile da mantenere: quindi descrivere, innanzitutto, chi lo coltiva e come. Perché difendere questo desiderio, guardare dove vive, quali sono i punti in cui emerge, non è un problema del poeta, del regista o dell’artista: è il problema di chiunque, perché è punto di sviluppo, di progresso.


È il motivo per cui uno non si accontenta della realtà che c’è, ma cerca qualcosa che ancora non c’è: una società più giusta, una scoperta scientifica che possa migliorare le condizioni di vita, anche se non sai ancora come saranno. È uno sguardo sull’infinito che diventa un modo per vivere meglio nella vita quotidiana: un utensile che renda la vita più facile, una teoria filosofica che permetta di guardare all’esistenza meglio, un amore che non finisca, una fede che duri; un Dio che non sia come gli dei pagani, gelosi della felicità degli uomini, o il “dio serpente” che addirittura ne vuole la distruzione, ma un Dio amico.

Di tutto questo si può parlare parlando del desiderio: si può parlare delle canzoni ma anche delle scoperte scientifiche, di economia, arte, cultura, religione, ideologie. La prima cosa di cui vuol parlare il Meeting è la descrizione di questo desiderio: vuole domandarsi come nasce, in chi resiste, perché si può desiderare. Vuole descrivere il nesso tra questo desiderio e la vita di tutti i giorni, le grandi scoperte, i passaggi dell’umanità, perché e come, nella vita dell’uomo, va e viene. Il Meeting descrive il desiderio come qualcosa che riguarda la vita quotidiana: l’economia, la politica, ogni aspetto dell’umano. La cultura che viviamo e da cui veniamo ha sentito proprio nel desiderio il motore di ogni azione umana.

Descriveremo poi come tale desiderio muore nell’uomo, come viene ridotto, come la società lo fa morire, addirittura come l’ideologia rende la distruzione del desiderio un suo punto fondamentale. Io mi ricordo quando vidi “Urla del silenzio”, un film che parlava della Cambogia di Pol Pot, in cui si uccidevano le persone che avevano gli occhiali e dove i bambini sparavano agli adulti, dove sembrava che il fine fosse la distruzione del desiderio.


Anche questo vorrà documentare il Meeting, perché purtroppo vediamo ancora questo tutti i giorni. In certe religioni che hanno come immagine il “dio serpente”, il dio che distrugge, in un certo modo di vedere l’economia e la politica, ma anche di fare arte, cinema: un modo che ha come punto di partenza la distruzione del desiderio e il pensiero che nasce da tale distruzione. Dovremo esprimerlo, perché esprimerlo, in qualche modo, sarà anche un domandarsi se è vero che ha le sue ragioni questa ricerca di morte da parte dell’uomo.

Ma io vengo da una cultura che nasce dall’esperienza cristiana e da un carisma in cui credo, quello di don Giussani che, prima ancora di parlar di fede, ha in questo desiderio il suo punto importante.


Pensate che don Giussani ha avuto il coraggio di andare a parlare ai democristiani nel 1987 ad Assago. Comincio’ il suo intervento parlando del desiderio, che è un po’ come andare a vendere i frigoriferi agli eschimesi. Eppure allora parlò di desiderio, riportando dentro l’esperienza religiosa tutto un mondo che ne era al di fuori. Non per niente Giussani si è formato anche con Leopardi, con Montale, Pasolini, Pavese, e nei suoi libri cita Thomas Mann, come anche altri autori atei ma ricchi di questo desiderio, più grandi del loro stesso pensiero. Giussani dice che il desiderio, l’esistenza stessa del desiderio, è il segno che si avvera.


Nonostante tutte le delusioni, più grande di ogni caduta e di ogni cinismo, in un uomo che sia uomo questo desiderio rinasce nel cuore. L’amore per la tua donna dopo che sei stato offeso, insultato e hai rotto, ricomincia: non più ingenuo nel senso infantile, ma ricco della fatica e dell’errore.

Attraverso amici americani, mi è arrivata una lettera da un detenuto in un carcere di massima sicurezza in America, nel North Carolina, e ho iniziato una corrispondenza.
Questo detenuto, dopo aver letto una pagina di don Giussani, esprimeva il desiderio di conoscerlo di più: “È dura vivere in un carcere - mi scriveva - e certe volte non ce la faccio. Di solito non scrivo o ricevo lettere dall’Italia perché mi vergogno di parlare del mio errore”. Però poi parlava del desiderio di vita e mi chiedeva dove sono nato, dove vivo e com’è l’Italia.
Questo desiderio lo si vede in gente che ha sbagliato, lo si vede in un progetto che è venuto meno. Certe volte non rimane solo il cinismo, ma qualcosa di più grande a cui non riesci a rispondere. Dice una canzone che cantiamo spesso: “Quando l’uomo ha già sbagliato, quando l’odio e l’ingiustizia hanno già trionfato, c’è bisogno di qualcuno che ci liberi dal male, di qualcuno che realizzi questo”.

Dice Giussani che la pretesa per me, la pretesa dell’uomo di una risposta, di un amore che duri, di un progetto politico che non sia violenza, di una costruzione sociale che sia buona, di un’azienda che dia benessere, di una società per tutti, di una pace possibile, rinasce in qualunque regime. Mi ricordo che una volta parlavo con lui descrivendo certi regimi e lui mi disse che in qualunque regime, qualunque sia la violenza, prima o poi rinasce nel cuore di un uomo, anche non educato, questa cosa più grande di qualunque violenza, questa cosa strana: il desiderio.
Perché rinasca e si ricostruisca, qualunque sia l’errore e la violenza - dentro o fuori di noi -, è forse il punto più originale di questo titolo: che il desiderio permane e rinasce, che è più grande del problema della morte.

Questo impeto alla vita, che non c’è solo nell’arte, nella poesia e nel cinema, anche se lì è proprio documentato, ma c’è anche in un uomo che lotta per la giustizia, che riprende a costruire dopo una guerra, che decide di non fermarsi dopo un terremoto, che vuole migliorare di una briciola la sua vita e quella degli altri, che pensa che un amore non finisce solo perché fai fatica ad essere come quando eri giovane.
È questa ripresa la cosa più interessante che vorremmo documentare in questo Meeting, con tutti quelli che la possono documentare. Noi siamo fatti di questo, non siamo il mondo puro, siamo quelli che sbagliano, che tradiscono il desiderio, ma che in qualche modo sentono che qualunque errore si faccia, qualunque violenza si subisca o si commetta, qualunque sia l’assetto sociale, questa è la legge: che la felicità, la giustizia e la verità rinascono, anche se io non sono capace di portarle.
Questa è la cosa di cui vorremmo parlare insieme, con il vostro contributo, come suggerisce la seconda parte della lettera del carcerato che mi dice: “Sono rimasto colpito leggendo questi brani di Giussani che mi sono arrivati attraverso un libro: colpito di come parla di Gesù, soprattutto di come parla della Sua sofferenza, che lui per primo ha vissuto come ho vissuto io. E di come però dica: ‘Non abbiate paura, io ho vinto il mondo’.”

Al Meeting parleremo anche di quello che abbiamo incontrato, la risposta sommessa di un uomo che si è messo assieme ad altri uomini ed ha fatto il falegname, e di fronte al dolore degli uomini ha pianto e infatti piange con noi di fronte a queste sofferenze.
Quasi strano per un Dio, che si mette a fare l’uomo in un’apparente impotenza. È risorto, ma avendo condiviso fino in fondo questo, avendo dato a questa domanda una risposta che non è un teorema, ma una vita di condivisione.

Quindi invitandoci innanzitutto a fare la stessa cosa: a metterci assieme tra la gente “che ha buona volontà” - tra la gente che desidera, potremmo dire da stasera -, sentendo una fratellanza, una risposta che, anziché dividere, apre, mette insieme.

Il nostro Paese, anche politicamente, è la convergenza di questo desiderio. Un Paese dove laici, socialisti e cristiani hanno costruito tante opere per cui, invece di essere rivali, hanno tentato di tenere vivo questo desiderio. Parleremo anche di questa risposta, cercando di documentarne gli aspetti più intimamente vicini all’uomo, quella compagnia che dà una speranza ed apre a chiunque e vuole sentire chiunque.

Come gli altri, più degli altri, questo sara’ il Meeting di tutti, il punto dove ognuno può portare la sua verità, il suo desiderio, il punto dove ognuno è disposto ad ascoltare, piu’ che altrove.

La trascrizione dell’intervento non è stata rivista dall’autore
 

Meeting di Rimini 2003: «Quel desiderio che rinasce in ogni regime», di Giorgio Vittadini, 24 Febbraio  2003

 

Click qui per tornare indietro a "galatro_home"