Islam

 

Tolleranza.
L'altro Islam
 

 

di Magdi Allam


Il bambino iracheno Halim Nawaf. La bambina saudita Wajdan Naser. Due piccole vittime dei recenti odiosi attentati terroristici a Bassora e a Riad. Le immagini del loro candido sorriso commuovono e scuotono le coscienze degli arabi. Per la prima volta si levano delle voci illuminate e coraggiose non soltanto contro questo terrorismo che vede dei musulmani massacrare altri musulmani, ma contro il terrorismo tout court . Si dice, in modo chiaro, basta all'ipocrisia che vorrebbe attribuire a Israele e all'America la responsabilità di tutti i mali dell'Islam. Si denuncia, in modo inequivocabile, il marcio che si annida nelle menti e negli animi dei burattinai del terrorismo. Si respinge, in modo categorico, la tesi dello scontro tra le civiltà, sollecitando l'affermazione di una cultura del dialogo, della tolleranza e della pacifica convivenza.
Tutto ciò sta avvenendo all'interno stesso del mondo arabo, nei media arabi, in lingua araba, a beneficio dell'opinione pubblica araba. E' vero che a tutt'ora restano delle voci isolate. Che rischiano di rimanere emarginate, soffocate poco dopo l'ondata emotiva del trauma degli attentati.
Voci che andrebbero invece aiutate a consolidarsi e a diffondersi. Un tentativo che si propone il convegno «Lumi dall’Islam contro il fondamentalismo», che si terrà venerdì all’Istituto di cultura italiano di Bruxelles, in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera.
«Altro che scontro di civiltà, questi terroristi vogliono il potere, vogliono trasformare l'Iraq in un nuovo Afghanistan dei Talibani - taglia corto Abdel Rahman al-Rashed, editorialista e ex direttore del quotidiano saudita Asharq al Awsat -. Se oggi gli americani abbandonassero l'Iraq, esploderebbe una guerra civile che si protrarrebbe per vent'anni. Sarebbe come emettere una sentenza di morte nei confronti degli iracheni. Abbandonandoli alle volpi politiche e alle milizie affamate di potere. In una parola sarebbe una catastrofe».
Lo scrittore del Qatar Abdel Hamid al-Ansari è più che mai deciso: «Dico ai fautori della moderazione e del compromesso che è giunto il momento di smetterla con la litania dell'oppressione americana e delle condizioni di oppressione e di assenza delle libertà. Il terrorismo non ha nulla a che fare con queste motivazioni e cause. Il terrorismo è un'ideologia aggressiva che odia la vita e le persone, che si radica in menti e animi squilibrati e frustrati». Al-Ansari attacca duramente le televisioni satellitari arabe «che si sono trasformate in megafoni del terrorismo, facendoci credere che questo terrorismo si giustificherebbe con la causa palestinese, la presenza straniera, la parzialità degli americani, la repressione politica e la crisi economica». Per sradicare il terrorismo, è la tesi dello scrittore arabo, «dobbiamo rivoluzionare i programmi scolastici, innestandoci il pensiero riformatore, la cultura della tolleranza, l'apertura verso le altre civiltà, l'accettazione della globalizzazione».
A suo avviso l'offensiva del terrore che abbraccia sia gli attentati di New York e Madrid sia le stragi in Iraq e in Arabia Saudita, è «la punta dell'iceberg che cela il marcio presente nel mondo arabo». Andiamolo a vedere. L'ultimo rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo del mondo arabo offre dei dati inquietanti. Settanta milioni di persone, un quarto degli arabi, vive al di sotto della soglia della povertà, vale a dire con meno di due dollari al giorno. Ciò significa che in vent’anni questa fascia di popolazione è aumentata del 40%, evidenziando il logoramento del ceto medio. Il Prodotto nazionale lordo dell’insieme dei 22 Paesi arabi è inferiore a quello dell'Italia. Sessantacinque milioni di adulti, pari al 40% del totale, sono analfabeti. Solo il 3,5% delle donne sono presenti in Parlamento, una percentuale inferiore a quella dell'Africa centrale e meridionale. Il 51% dei giovani vorrebbe emigrare in Occidente. Oltre 15 mila medici sono riparati all'estero tra il 1998 e il 2000. L'insieme dei libri tradotti in arabo in tutti i Paesi arabi è inferiore a 10 mila, che corrisponde al totale delle opere che ogni anno in Spagna vengono tradotte in spagnolo.
Dati oggettivi che accompagnano e spiegano questa stagione di oscurantismo e di fanatismo che caratterizza il mondo arabo. E che, per esempio, ha messo in seria difficoltà Sawsan al Omri, maestra in una scuola elementare di Gedda, quando una sua allieva le ha chiesto a bruciapelo: «Maestra, i giovani che si sono fatti esplodere due giorni fa a poca distanza dalla nostra scuola provocando un gran numero di morti, che fine hanno fatto? Andranno all'Inferno o in Paradiso? Sono dei terroristi o dei martiri?». Ebbene Sawsan ha confidato di non essere riuscita a rispondere, di aver ingiunto alle scolare di non fare più domande e di concentrarsi nella lettura del libro.
Più coraggiosa è certamente Mouna al-Tahhawi, direttrice del sito Internet femminile a-news : «Io non accetto la teoria del complotto che vorrebbe far credere che i sionisti e gli americani sarebbero responsabili di quanto accade in Iraq. Chi sta dietro agli attentati suicidi in Iraq sono gli stessi che compiono gli attentati suicidi che uccidono i musulmani e i non musulmani nel mondo». E conclude: «Gli attentati suicidi sembrano essere diventati la scorciatoia preferita dai musulmani per risolvere i loro problemi. E' un errore ingiustificato. Indipendentemente dall'identità delle vittime. Noi dobbiamo condannare gli attentati terroristici ovunque accadano. Non possiamo limitarci a condannarli quando succedono nelle capitali musulmane e prendono di mira i musulmani sunniti. Dobbiamo condannarli anche quando le vittime sono sciiti, curdi e occidentali».
Là c'è un limite. Nemmeno gli intellettuali arabi riescono a infrangere il tabù di Israele. Nessuno si spinge al punto di denunciare apertamente gli attentati terroristici che massacrano gli israeliani. I media arabi sono allineati nel definire i kamikaze palestinesi dei «martiri». Forse un'eccezione è la voce di Hani Nashqabandi, direttore della rivista femminile Sayyidati , che ha così titolato un suo commento al discusso film La passione di Mel Gibson: «Gli ebrei sono innocenti!». La sua tesi è che «se la mitizzata lobby ebraica non è riuscita a impedire la produzione di un film che li denuncerebbe come deicidi vuol dire che noi arabi dobbiamo ricrederci. Dobbiamo prendere atto che il mito di una lobby ebraica che dominerebbe il mondo è una grossa bugia. Una bugia che noi arabi continuiamo a inculcarci. Dobbiamo probabilmente confessare che, se noi siamo odiati nel mondo, ciò si deve al fatto che siamo noi i primi a odiare noi stessi. Siamo noi che non siamo in grado di gestire la nostra vita. E che probabilmente preferiamo il divertimento e il gioco del calcio alla causa palestinese!».
 

 

Islam: «Tolleranza. L'altro Islam», di Magdi Allam, Il Corriere della Sera, 28 Aprile 2004

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