ISLAM



Gli ultimi cristiani



«Quando l’Occidente e l’Islam si scontrano, ne fanno le spese anche i cristiani che vivono nel mondo arabo». William Dalrymple ricostruisce le vicende della minoranza cristiana in Oriente che sta scomparendo. Documenta le persecuzioni, le fughe e le abiure, per paura, degli ultimi tre anni, in Pakistan, India, Turchia, Libano e Palestina. «Basterebbero nove aerei jumbo per portare via tutti i cristiani rimasti a Gerusalemme».
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di William Dalrymple
 

Venti chilometri a Nord di Islambad, non lontano dagli impianti nucleari pachistani di Wah, sorgono le rovine dell'antica città di Taxila. Oggi non ha molti visitatori, ma un tempo era la capitale di una dinastia di greci‑battriani, discendenti delle legioni di Alessandro Magno, governati da una successione di re dai nomi splendidamente improbabili: Pantaleone re dell'India del Nord, Diomede del Punjab, Eliocle re di Balkh e Menandro di Kabul. La città era una colonia ellenica, disposta con cura in una griglia di linee rette, come una scacchiera.

Secondo la tradizione, fu in questo luogo che il cristianesimo venne predicato per la prima volta in India. I cristiani di qui vi racconteranno che San Tommaso ‑ l'apostolo scettico che rifiutava di credere alla resurrezione di Cristo finché non avesse "toccato con mano i fori lasciati dai chiodi e la ferita lasciata dalla lancia" ‑ raggiunse l'India dalla Palestina dopo la resurrezione, e che fu lui a battezzare i loro antenati.

Qualche tempo fa a Taxila gli archeologi hanno trovato una croce del Secondo secolo che ora si trova nella cattedrale anglicana di Lahore. Anche in altri luoghi del Pakistan ci sono echi suggestivi delle antiche leggende: a Thatta, per esempio, nella provincia di Sind, c'è una comunità musulmana sufita che sostiene di discendere dai primi cristiani convertiti da San Tommaso e di avere reliquie e libri che lo provano. Purtroppo, nessun estraneo é mai stato autorizzato a vedere queste "prove".

Ma nonostante le antiche origini del cristianesimo locale, sul suo futuro oggi pende un grosso punto interrogativo. Il massacro a sangue freddo di 16 cristiani, soprattutto donne e bambini, compiuto a Bahawalpur il 28 ottobre scorso é solo l'ultima di una lunga serie di atrocità contro la piccola minoranza cristiana del Pakistan, appena 4 milioni di persone in un paese con 140 milioni di abitanti.
 

Leggi entro l'empietà

Anche se la costituzione pachistana sancisce la libertà di religione, le famose leggi contro l'empietà in vigore nel paese ‑ sezioni 295 B e C del codice penale ‑ prescrivano il carcere a vita per chiunque profani una copia del Corano e la pena di morte per chiunque insulti o critichi il profeta Maometto. Poiché di fatto per emettere una sentenza di colpevolezza non occorre nessuna prova oltre alla parola dell'accusatore, le leggi sono state spesso usate da individui che avevano motivi di rancore personale contro un non musulmano innocente per muovere false accuse.

Nel 1988 il vescovo John Joseph si uccise pubblicamente in segno di protesta, e - anche se nessuno è stato giustiziato in base a queste norme ‑ attualmente sono in corso numerosi processi. E intanto si moltiplicano gli attacchi ai cristiani condotti da zeloti musulmani.

Questo spargimento di sangue cristiano non è un fenomeno limitato al Pakistan. Due anni fa un'ondata di violenze anticristiane oltre la frontiera con l'India provocò l'incendio di oltre 40 chiese della regione di Dangs, nel Gujarat. Le persone convertite al cristianesimo si ritrovarono oggetto di un vero e proprio ostracismo, e si calcola che queste pressioni abbiano determinato la riconversione all'induismo di circa 2500 persone su una popolazione cristiana regionale che conta fra 20 e 30mila fedeli. Il 23 gennaio 1999, poco dopo l'appello dei primo ministro nazionalista indù dell'India, Aial Behari Vajpayee, a "un dibattito nazionale sulle conversioni", Graham Staines, un australiano che lavorava da vent'anni in una colonia di lebbrosi nello stato di Orissa, è stato bruciato vivo mentre dormiva nella sua jeep. Anche i cristiani del Medio Oriente negli ultimi tempi sì sono trovati in difficoltà. Per alcune centinaia di anni, sotto il capriccioso dominio del sultano, le diverse fedi dell'impero ottomano erano vissute se non in perfetta armonia, almeno in una sorta di equilibrio pluralistico. Con lo sgretolamento finale dell'impero all'inizio del Ventesimo secolo, le sue frange ‑ i Balcani, l'Anatolia orientale, il Levante ‑ furono abbandonate a se stesse. Gli effetti di questo crollo si fanno sentire ancora oggi, e più intensamente che mai.

Negli ultimi decenni, tutt'e tre le regioni hanno sofferto per massacri locali di proporzioni sconvolgenti. Al pluralismo è subentrata una polarizzazione selvaggia. Alla spicciolata o con grandi esodi, le minoranze religiose sono fuggite verso luoghi dove possono ritrovarsi in maggioranza e quelle troppo poco numerose per porsi questo obiettivo hanno completamente abbandonato la regione, cercando posti meno carichi di storia, come il Nord America e l'Australia.

L'islam storicamente ha dimostrato urna straordinaria tolleranza per le minoranze religiose: per convincersene, basta confrontare il trattamento relativamente privilegiato dei cristiani sotto il dominio musulmano con la sorte dell'unica minoranza religiosa totalmente diversa della cristianità, gli sfortunati ebrei europei. Ancora nel Diciassettesimo secolo, gli ugonotti in esilio che fuggivano dalle persecuzioni religiose in Europa scrivevano con ammirazione della politica di tolleranza praticata in tutto il mondo islamico. Come disse M. de la Motraye, "non esiste paese sulla terra dove l'esercizio di tutte le religioni sia più libero e meno soggetto a limitazioni che in Turchia". La stessa società tollerante che aveva accolto le centinaia di migliaia di poveri ebrei scacciati dai bigotti re cattolici di Spagna e Portogallo proteggeva i cristiani d'Oriente nelle loro antiche terre ‑ malgrado le crociate e l'ostilità quasi permanente dell'Occidente cristiano.
 

Coesistenza pacifica

Solo alla fine del Ventesimo secolo a questa tolleranza è subentrato un irrigidimento delle posizioni islamiche. Dopo secoli di coesistenza generalmente pacifica, con i loro vicini musulmani, la situazione degli ultimi cristiani d'Oriente oggi è sempre più difficile. Quasi ovunque in Medio Oriente, per tutta una serie di ragioni ‑ in parte per la pressione economica, ma più spesso a causa della discriminazione e a volte di una vera e propria persecuzione ‑ i cristiani se ne stanno andando.

Ancora un secolo fa, quasi un quarto della popolazione mediorientale era composta dai cristiani. In una città come Istanbul la loro incidenza saliva quasi alla metà. Ma oggi i cristiani sono una piccola minoranza di 14 milioni di persone che cercano disperatamente di restare a galla fra 180 milioni di non cristiani, mentre il loro numero diminuisce anno dopo anno a causa dell'emigrazione. Negli ultimi vent'anni, almeno due milioni di persone hanno lasciato il Medio Oriente per costruirsi una nuova vita in Europa, Australia e America.

A Istanbul, gli ultimi discendenti dei bizantini stanno abbandonando quella che un tempo era la capitale della cristianità. Nella parte orientale della Turchia la chiesa siriana ortodossa si è praticamente estinta. I suoi antichi monasteri sono deserti o in procinto di essere abbandonati. I cristiani che sono riusciti a raggiungere l'Occidente parlano di estorsioni in cambio di protezione, espropri di terra e frequenti omicidi. In Libano, i maroniti hanno perso la lunga guerra civile e la loro morsa sul potere politico è stata definitivamente spezzata. La maggioranza dei maroniti oggi vive all'estero, in esilio.
 

Cristiani in Palestina

Lo stesso vale per i cristiani palestinesi, poco più a sud: mezzo secolo dopo la creazione della Stato di Israele ci sono meno cristiani palestinesi in Medio Oriente che al di fuori di esso. La situazione si é talmente deteriorata che basterebbero nove aerei jumbo per portare via tutti i cristiani rimasti a Gerusalemme. Si. dice cha a Sydney ci siano più cristiani nati a Gerusalemme che nella stessa capitale israeliana.

Il problema è che, come i loro compatrioti musulmani, sono arabi in uno Stato ebraico, e per questo vengono trattati da cittadini di seconda classe nel loro stesso paese, considerati con un misto di disprezzo e sospetto dai loro padroni israeliani. Ma a differenza della maggior parte dei musulmani sono professionisti istruiti, e per loro è relativamente facile emigrare. Cosa che fanno in massa. In Egitto, anche i copti vivono fra grandi difficoltà e timori; sono costretti a subire una certa discriminazione già con il regime attuale, e sono ben consapevoli elle le case potrebbero peggiorare moltissimo se cadesse il presidente Mubarak e una rivoluzione islamica portasse al potere i fondamentalisti.

Un filo rosso unisce tutti questi diversi esodi. Il cristianesimo è una religione orientale. E' nato a Gerusalemme e ha ricevuto la sua sovrastruttura intellettuale ad Antiochia, Damasco, Alessandria e Costantinopoli. Al concilio di Nicea del 325 dC, dove vennero a lunga discusse le parole del Credo, parteciparono più vescovi della Persia e dell'India che dell'Europa occidentale. Ma oggi, per vari incidenti della storia, il centro di gravità del cristianesimo si è spostato in Occidente. E i cristiani che rimangono in Oriente si sentono divisi tra i loro correligionari in Europa e negli Stati Uniti, e i forti rapporti culturali che li legano ai loro compatrioti d'Oriente. Il massacro del 28 ottobre è il segnale più fosco di questa crescente tensione.

In India sono state soprattutto le mosse dell'Occidente ‑ in questo caso gli insensibili missionari americani a scatenare la furia degli indù e la loro rivolta del 1999 contro i cristiani. Il Movimento missionario nazionale dell'India, che ha sede in Tennessee, nel suo sito web racconta come "Satana sia riuscito a nascondere la sua morsa sulla gente con una sottile patina di religiosità"; mentre il texano Vangelo per l'Asia spiega che gli indù dei Gujarat "vivono ancora come schiavi di Satana". Questo genere di iniziative provoca la disperazione delle chiese indiane ufficiali.

Nel mondo dell'islam il contrasto con l'Occidente è più marcatamente politico. Nulla riesce a unire il mondo islamico, normalmente spaccato e diviso, o a rivolgerlo contro le proprie comunità cristiane, quanto un attacco statunitense all'uno o all'altro prostrato paese musulmano. Durante la guerra del Golfo, le manifestazioni di "morte all'America" si propagarono dal Maghreb all'Indonesia, causando ulteriori tensioni per numerose comunità cristiane d'Oriente, soprattutto i copti in Egitto e i greco‑ortodossi di Istanbul. Questa volta può andare molto peggio, come dimostra il massacro di Bahawalpur.
 

Fine di un'epoca

Nella guerra del Golfo gli Stati Uniti potevano sostenere di essere intervenuti per aiutare un paese arabo ‑ il Kuwait - contro un altro, l'Iraq. Questa volta Stati Uniti e Gran Bretagna hanno attaccato uno Stato musulmano non solo per uccidere Bin Laden, ma per sostituire il suo governo con un esecutivo più manovrabile ‑ una faccenda completamente diversa. È proprio il genere di avventura occidentale contro i paesi islamici che i cristiani d'Oriente hanno imparato a temere maggiormente e, come al tempo delle crociate, sono sempre loro a pagare per l'islamofobia dell'Occidente.

Il professor Kamal Salibi, cristiano libanese, è uno storico mediorientale che ha riflettuto a lungo sul dilemma dei cristiani d'Oriente. La sua opinione è che i cristiani se ne stiano andando soprattutto perché sono spossati da tanta tensione: non ne possono semplicemente più. "C'è un po' la sensazione di fine di un'epoca fra i cristiani di tutto il Medio Oriente", mi ha detto quando sono andato a trovarlo a Beirut un paio d'anni fa. "La sensazione che 14 secoli in cui hanno avuto tutto il tempo per dimostrare di valere e di essere meglio degli altri siano un periodo abbastanza lungo. I cristiani arabi sono spesso persone intelligenti, qualificate e istruite. Ora vogliono solo andarsene da qualche altra parte".
 

Identità culturale

Gli ho chiesto se pensava che la partenza dei cristiani avesse veramente importanza. "È un problema molto grave", mi ha risposto. "Ogni volta che un cristiano se ne va, nessun altro cristiano viene a prendere il suo posto, e questa è una pessima cosa per il mondo arabo. Sono gli arabi cristiani a mantenere il nostro mondo 'arabo' invece che 'musulmano'. A partire dal Diciannovesimo secolo, gli arabi cristiani hanno avuto un ruolo cruciale nella definizione di un'identità culturale araba laica. Non a caso molti protagonisti del nazionalismo arabo laico furono cristiani: uomini come Michel Aflaq, che fondò il partito baathista, o George Antonius, che scrisse "Il risveglio arabo". Se gli arabi cristiani continueranno a emigrare, gli arabi si troveranno in una posizione molto più difficile per difendere il mondo arabo dal fondamentalismo".

"Ma non è una battaglia già persa?". "Siamo tutti molto spaventati per la diffusione del  fondamentalismo", mi ha risposto il professore. "E naturalmente è inquietante leggere cosa sta succedendo in Algeria e in Alto Egitto. Ma questa non è la fine della storia". E sorridendo ha aggiunto: "Questa battaglia non è ancora finita".
 

William Dalrymple
Internazionale, 9 Novembre 2001

Nato in Scozia nel 1967, William Dalrymple é uno scrittore di letteratura di viaggio. Attualmente vive a Londra. Tra le sue opere tradotte in italiano: Delhi. Un anno tra i misteri dell'india (Rizzoli 2001), In India (Rizzoli 2000) e La montagna sacra (Rizzoli 1998) sulla civiltà del cristianesimo orientale.

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Commento:

 

I fenomeni descritti da William Dalrymple sono avvenuti nella totale indifferenza di un Occidente, che tanto si dice pronto a proteggere le altre minoranze religiose, quanto sembra disattento a difendere i cristiani là dove sono minoranza.


Vi è inoltre una grande confusione: si confonde la ragione, che è una dote, con la verità che è il contenuto per cui questa dote è fatta. Si dimentica che dall’Illuminismo proviene la celebrazione della Dea Ragione, ovvero dell’uomo misura di tutte le cose, e che proprio da questa pretesa nasce la violenza.


Si confonde con la massima tranquillità il suicidio con il martirio. Il problema non è se esistano tante verità misurabili, ma se esista un amore (poiché questo è l’unico senso possibile di una verità desiderata) più grande della nostra misura e in grado di salvare la fragilità che la caratterizza. È questo il vero senso della rivoluzione cristiana, che - come giustamente dice Il Foglio - le nostre pareti dovrebbero ricordarci esponendo il Crocifisso.


Il Crocifisso testimonia che il principio della tolleranza non è nella coesistenza e nella conciliazione di tante piccole e discutibili verità, ma nell’essere resi capaci di amare l’altro come se stessi.


Per farsi un’idea non peregrina di cosa sia la ragione e di come funzioni in rapporto alla verità, si invita a leggere attentamente tutto - dalla prima all’ultima pagina - L’Autocoscienza del cosmo, di Luigi Giussani (edizioni Rizzoli).

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  • William Dalrymple:
    Gli ultimi cristiani
    Internazionale (9 novembre 2001)
    «Quando l’Occidente e l’Islam si scontrano, ne fanno le spese anche i cristiani che vivono nel mondo arabo». William Dalrymple ricostruisce le vicende della minoranza cristiana in Oriente che sta scomparendo. Documenta le persecuzioni, le fughe e le abiure, per paura, degli ultimi tre anni, in Pakistan, India, Turchia, Libano e Palestina. «Basterebbero nove aerei jumbo per portare via tutti i cristiani rimasti a Gerusalemme».
     

  • Pier Aldo Rovati
    Sulle piste della ragione
    la Repubblica (13 novembre 2001)
    Prende spunto dalla pubblicazione del volume Attualità dell’Illuminismo, a cura di Eugenio Scalfari, che raccoglie un dibattito lanciato dal curatore un anno fa, con interventi di quelli che sono considerati i maggiori intellettuali italiani. Dice che come - seguendo Croce - non possiamo non dirci cristiani, così non possiamo non dirci figli dell’Illuminismo. La caratteristica fondamentale di questa figliolanza è «che la ragione non può essere divinizzata né scritta con la maiuscola, e che dunque confina subito con le ragioni al plurale e sostiene un’idea di verità non violenta né unica, implicando un’etica della tolleranza senza condizioni».
     

  • Magdi Allam
    Martirio, fede, disperazione
    la Repubblica (14 novembre 2001)
    Il “martirio” islamico avverrebbe o per disperazione, dovuta fondamentalmente all’indigenza economica (alle famiglie dei martiri danno la pensione), o per fede. Il tratto comune dei martiri è che sono giovani, single, manipolabili e “lavati” nel cervello.
     

  • Giù le mani dal crocifisso
    Il Foglio (15 novembre 2001)
    Giù le mani dal crocifisso, perché così «le pareti non parlano, e il loro mutismo non è corretto né scorretto, è semplicemente vuoto. Con il crocifisso appeso, le pareti degli edifici pubblici testimoniano a una società sempre più immemore e sempre più ignorante che “la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale […] una nuova qualità spirituale che fin allora era mancata all’umanità” (Benedetto Croce)».
    «La conciliazione intima di religione e cultura, di fede e ragione, si è realizzata nel mondo moderno nel rispetto dei simboli e non nel bandirli come segno di intollerabile differenza».