Dio
e la
guerra

Dare a Cesare
quello che è di Cesare... 


... e a Dio quello che è di Dio. Nella Chiesa dei primi secoli il fondamento di parole spacciate come frutto della modernità. Una verità troppo facilmente tradita

di Raffaello Vignali

Il sociologo ceco Vaclav Belohradsky, durante un’intervista, disse: «Tradizione europea significa non poter mai vivere al di là della coscienza riducendola a un apparato anonimo come la legge o lo Stato. Questa “fermezza” della coscienza è un’eredità della tradizione greca, cristiana e borghese. L’irriducibilità della coscienza alle istituzioni è minacciata nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa, degli Stati totalitari e della generale computerizzazione della società. Infatti è molto facile per noi riuscire a immaginare istituzioni organizzate così perfettamente da imporre come legittima ogni loro azione. Basta disporre di un’efficiente organizzazione per legittimare qualunque cosa. Così potremmo sintetizzare l’essenza di ciò che ci minaccia: gli Stati si programmano i cittadini, le industrie i consumatori, le case editrici i lettori, ecc. Tutta la società, un po’ alla volta, diviene qualcosa che lo Stato si produce». Tale brano fu riportato sul Volantone di Pasqua di Cl di qualche anno fa.



L’irriducibilità della coscienza allo Stato

Fin dall’inizio della storia cristiana si è posto il problema del rapporto con lo Stato. San Paolo rimandò a casa uno schiavo fuggito, che aveva convertito, consegnandogli una lettera per il suo padrone, di nome Filemone (anche lui cristiano): in essa gli ricordava che, ormai, non poteva più considerarlo uno schiavo, ma un fratello e un amico. Mai prima di lui un cittadino romano aveva osato affermare così drasticamente un criterio diverso da quello proprio della mentalità antica, sancita anche dal Diritto romano, che considerava gli schiavi appena come utensili.

Così nella Lettera a Diogneto, rispondendo all’accusa dei pagani di non considerare gli idoli come dei e, per questo, di eludere le comuni responsabilità sociali, un anonimo autore del II secolo affermava che i cristiani non sono portatori di una dottrina «frutto di considerazioni ed elucubrazioni di persone curiose, né si fanno promotori, come alcuni, di una qualche teoria umana», ma sono i testimoni stupefatti che «il Creatore di tutto (...) non inviò agli uomini come qualcuno potrebbe immaginare, un servo, un angelo, un arconte, (...) ma lo stesso Artefice e Autore di tutto (…). Fu inviato nella mitezza e nella bontà, come un re manda suo figlio re, fu inviato come Dio, come uomo tra gli uomini, per salvare convincendo, non per sopraffare, poiché la violenza non si addice a Dio». Per questo l’autore poteva sottolineare che i cristiani «obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi», introducendo un’acuta osservazione sul valore che ha la coscienza nella concezione della persona e della vita, ben al di là della semplice osservanza delle norme esteriori.



Si potrebbero evidentemente citare altri casi, anche estremamente significativi, riguardo a questo aspetto.



Ma forse vale più la pena ricordare un fatto, un episodio, che nei manuali di storia non era pressoché segnalato neppure quando i nuovi programmi scolastici non avevano ancora cancellato, con un colpevole colpo di spugna, secoli del faticoso cammino dell’uomo per affermare il suo significato. Nel 390, Teodosio, che prima di diventare uno dei più grandi imperatori cristiani era stato un grande condottiero, ricevette la notizia che a Tessalonica erano stati uccisi dei soldati romani. Immediatamente, come previsto dal codice di guerra, ordinò una rappresaglia: furono organizzati dei giochi nel circo di quella città e, una volta iniziati, vennero chiuse le porte e i cittadini trucidati ferocemente. Il vescovo di Milano, Ambrogio, quando lo seppe, scomunicò l’imperatore. Allora Teodosio venne a Milano e rimase inginocchiato fuori della cattedrale, finché il grande Vescovo non gli concesse il perdono. Fu un punto di svolta decisivo nella storia: per la prima volta nel mondo occidentale si poneva un limite al potere assoluto e totale dello Stato, e questo limite era il valore della persona che la coscienza cristiana aveva fondato. Lo Stato rinunciava alla sua sacralità, accettando che gli uomini dessero a Dio quello che è di Dio, pur continuando a pretendere che dessero a Cesare quello che è di Cesare.



L’idea occidentale di libertà

Se la storia è un processo, cioè un cammino, e se certi episodi costituiscono lungo questo cammino delle vere e proprie pietre miliari, questo fatto fu uno di quegli episodi: questa separazione fra Stato e sacro segnava il crepuscolo definitivo e inevitabile dell’antica idea di Stato e nello stesso tempo l’aurora dell’idea occidentale di libertà. Da quel momento si ebbe la presenza di due realtà, che non potevano rivendicare a sé il carattere della totalità. Lo Stato diventa “laico”, cioè si arresta di fronte al limite della coscienza che pesca altrove la sua consistenza; la Chiesa, da parte sua, riconosce l’autorità dello Stato nel suo campo, ad esempio nella amministrazione della giustizia civile. Ovviamente, l’equilibrio tra queste due realtà non si è sempre mantenuto nel corso dei secoli; e quando ciò è successo, si sono avuti anche periodi di grande scontro tra esse. Tuttavia, sempre sono sorti uomini e movimenti che hanno impedito che Chiesa e Stato si fondessero, a causa dell’invasione dello spazio reciproco, dando così luogo a un potere totalitario. Alcuni esempi di ciò sono: Cluny e Citeaux nei secoli a cavallo dell’anno mille, Bartolomeo de Las Casas all’epoca dei conquistadores, Massimiliano Kolbe, se si vuole un esempio recente.



In un suo bellissimo libro, mai tradotto in Italia e dal titolo significativo, L’aventure européen, il nostro amico Léo Moulin, che si definiva agnostico, annotava: «Come l’uguaglianza, l’idea di libertà, le idee democratiche, l’ideologia e la sensibilità che vi sono connesse, si trovano, anch’esse, in germe nella dottrina cristiana, e talvolta anche più che in germe. Mi si dirà che la Chiesa è stata ed è voluta essere nei secoli una teocrazia; che ha sempre e dovunque esaltato il potere assoluto dei papi, sostenuto i re e i potenti, incoraggiato la reazione… Tutta la mia infanzia è stata cullata dalle imprecazioni di matrice anticlericale e del “libero pensiero” di una famiglia che mi presentava Gesù come la vittima dei preti e dei potenti. Ho mangiato del prete a ogni pasto per vent’anni. Questo dice lo storico e il sociologo che mi sforzo di essere, tanto nel bene che nel male, e più nel male che nel bene, si sente obbligato, in coscienza, di sfumare e, molto spesso, di contraddire questi ragionamenti pesanti. Per me, se la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ha potuto risuonare nei cuori degli uomini d’Occidente come un atto di fede, è perché essa era radicata da secoli nel terriccio storico dell’Occidente. Perché l’affermazione e lo sviluppo, nel corso dei secoli, in seno agli ordini religiosi dei principi democratici del diritto di eleggere i loro governanti e di dare loro notizia sulle questioni che li riguardano; il primato riconosciuto, in tutte le costituzioni dell’assemblea, summa potestas, autorità suprema e fonte di tutti i poteri; la messa a punto delle tecniche elettorali e deliberative con una straordinaria minuzia; l’organizzazione di sistemi di governo misti notevolmente equilibrati; la definizione di un regime di diritto che riconosce dei limiti di coscienza al dovere d’obbedire; il rispetto di un pluralismo certo; la definizione di un federalismo concreto, avevano, senz’alcun dubbio, aguzzato la sensibilità e il pensiero dell’Occidente verso delle forme democratiche di organizzazione. Qui, ancora, la correlazione che unisce la “grande forza” delle idee democratiche con il cristianesimo mi sembra difficilmente contestabile».



Per contro, ancora in Occidente, i regimi totalitari del XX secolo si sono posti generalmente un obiettivo: manipolare o annullare la coscienza degli uomini. Un politico tedesco affermava di aver udito da Hitler, nei primissimi tempi della sua ascesa al potere in Germania, queste parole: «Io libero l’uomo dalla costrizione di uno spirito diventato fine a se stesso; dalle sporche e umilianti autoafflizioni di una chimera chiamata coscienza e morale, e dalle pretese di una libertà di autodeterminazione personale, di cui ben pochi possono essere all’altezza». Evidentemente la sua lezione riuscì, se uno dei capi ultimi del Terzo Reich poteva fargli eco, in tutta tranquillità: «Io non ho nessuna coscienza! La mia coscienza si chiama Adolf Hitler». Su un altro fronte, basta ricordare alcuni passi del libro Vita e destino di Vasilij Grossman, o le indimenticabili pagine dei libri di Solzenicyn.



Ratzinger, l’Occidente e l’islam

A questo proposito, il cardinale Ratzinger scriveva nel suo saggio Chiesa, ecumenismo e politica: «La moderna idea di libertà è perciò un legittimo prodotto dello spazio vitale cristiano; essa non poteva svilupparsi in nessun altro ambito se non in esso. Bisogna anzi aggiungere: essa non è affatto impiantabile in qualsiasi altro sistema, come si può oggi constatare con chiara evidenza nella rinascita dell’islam. Il tentativo di innestare i cosiddetti criteri occidentali, staccati dal loro fondamento cristiano, nelle società islamiche, misconosce la logica interna dell’islam come la logica storica cui appartengono i criteri occidentali.



Un tale tentativo era perciò destinato al fallimento in questa forma. La costruzione sociale dell’islam è teocratica, quindi monistica, non dualistica. Il dualismo che è la condizione previa della libertà presuppone a sua volta la logica cristiana. Dal punto di vista pratico, ciò sta a significare: solo lì dove è preservato il dualismo di Chiesa e Stato, di istanza sacrale e politica, vi è la condizione fondamentale per la libertà. Dove la Chiesa diviene essa stessa Stato, la libertà va perduta. Ma anche lì dove la Chiesa viene soppressa come istanza pubblica e pubblicamente rilevante, viene a cadere la libertà, perché lì lo Stato reclama di nuovo per sé la fondazione dell’etica. Nel mondo profano, post-cristiano lo Stato avanza questa istanza non nella forma di autorità sacrale, ma come autorità ideologica».



Oggi, in Italia, lo Stato non ha la pretesa di porsi in alternativa alla Chiesa, quantomeno in via di principio. Insomma, si presenta come uno Stato laico, che non intende imporre una propria ideologia, una propria cultura. In una parola, non intende sostituirsi alla coscienza e alla libertà delle persone. La libertà, che tanta stampa nega attraverso posizioni nichiliste o istintive, come capacità della coscienza di implicarsi col reale e capacità di costruzione, salva lo Stato e lo Stato garantisce la libertà - sostanzialmente, e non solo formalmente -, se rispetta il principio di sussidiarietà.

Tracce, n° 11, dicembre 2001