Dio
e la
guerra

L’abolizione dell’uomo


Un’intervista al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger. Verità e soggettivismo. Chiesa e tolleranza. Occidente e islam. Scienza e futuro. Punto di vista su questioni fondamentali della nostra epoca

(Le Figaro Magazine/Volpe. Intervista al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Joseph Ratzinger, rilasciata a Jean Sévillia; traduzione di Laura Colombo)

 

Lei ha scritto, una volta, che «la fede non è scomparsa, ma è migrata nel regno del soggettivo». Per la Chiesa, quali sono le conseguenze del relativismo contemporaneo?

Dall’epoca dell’Illuminismo, la fede non è più la missione comune del mondo, com’era invece nel Medioevo. La scienza ha codificato una nuova percezione della realtà: si considera come oggettivamente fondato ciò che può essere dimostrato come in laboratorio. Tutto il resto - Dio, la morale, la vita eterna - è trasferito nel regno della soggettività. Pensare che ci sia una verità accessibile a tutti in ambito religioso implicherebbe anche una certa intolleranza. Il relativismo diviene la virtù della democrazia.



Per la Chiesa, la fede cristiana ha tuttavia un contenuto oggettivo?

Certamente. E questo contesto culturale genera la nostra maggiore difficoltà nell’annunciare il Vangelo. Ma si possono evidenziare
i limiti del soggettivismo: se accettiamo totalmente il relativismo, nella religione ma anche nelle questioni morali, ciò porta alla distruzione della società. Aumentando sempre più il razionalismo, la ragione stessa risulta distrutta e si instaura l’anarchia: quando ciascuno costituisce un’isola di incomunicabilità, sono le regole fondamentali del vivere insieme che vengono meno. Se sono le maggioranze che definiscono le regole morali, una maggioranza può imporre domani delle regole opposte a quelle di ieri. Abbiamo vissuto anche l’esperienza del totalitarismo, in cui è il potere che fissa d’autorità le regole morali. Così il relativismo totale finisce nell’anarchia o nel totalitarismo.



La Chiesa si considera sempre missionaria?

Sì, direi di nuovo missionaria. Oggi la parola missione non è sempre correttamente recepita, perché si pensa alla distruzione delle antiche culture da parte degli occidentali. La realtà storica, tuttavia, è diversa: noi sappiamo che
i missionari cristiani - in Africa, in Asia, ma anche in America Latina - erano spesso i veri difensori della dignità umana. Questi missionari hanno salvato una parte delle culture antiche trascrivendo le lingue indigene e redigendone dizionari e grammatiche. Hanno aiutato a operare quella grande rivoluzione che è stata l’incontro tra l’Europa e questi popoli, integrando le tradizioni che convergevano con la fede cristiana. Certi problemi dell’Africa, attualmente, risultano dal fatto che, con il razionalismo occidentale, abbiamo distrutto gli antichi valori morali, senza offrire altro in cambio. E, dato che abbiamo importato la tecnologia, restano le armi e la guerra di tutti contro tutti. In definitiva, è la missione cristiana che può difendere l’edificazione delle società moderne, mantenendone il legame con le loro proprie radici.



La Chiesa si dichiara contro l’intolleranza. Ma non è essa stessa vittima dell’intolleranza?

Certamente. Ci sono state, da una parte, le filosofie totalitariste, anche se attualmente il marxismo è in crisi. D’altra parte, il razionalismo agnostico non è così pacifico come poteva sembrare. Alcuni considerano la Chiesa come l’ultimo baluardo dell’intolleranza, ma per combattere questa intolleranza divengono intolleranti. E questa intolleranza può divenire violenza.



Nelle polemiche contro la Chiesa, le questioni relative alla sessualità e al libero arbitrio morale ritornano assai di frequente. Perché questa incomprensione tra il mondo moderno e la Chiesa?

Qui si arriva alla visione individualista dell’uomo. La nostra epoca glorifica il corpo e i suoi piaceri, esalta la libertà sessuale, ma considera che ciò attinga più alla sfera della biologia che a quella della psicologia.
Si opera una sottile separazione tra il biologico, il corporale - fattori che si sottrarrebbero alla responsabilità spirituale dato che rientrano nell’ordine della natura - e l’essere umano come tale. A partire dal momento in cui si considera la sessualità come un fenomeno puramente biologico, una morale sessuale non ha più senso.


La cultura contemporanea è quella della libertà assoluta, per la quale l’uomo deve “realizzarsi”. Non esiste, dunque, una natura umana che definisca il bene e il male. Questa visione si oppone alla tradizione della Chiesa, ma anche a tutte le concezioni secondo le quali è iscritta nella nostra natura una certa linea di comportamento, il senso stesso del nostro essere.


La Chiesa parla di diritto naturale, di morale naturale. Al contrario,
se noi non siamo che dei prodotti dell’evoluzione, siamo liberi di definirci. C’è allora, come diceva Sartre, una libertà nel senso che «io non sono definito»: nella mia situazione, io devo inventare ciò che è l’uomo. Mentre nella visione cristiana l’esistenza dell’uomo - dell’uomo e della donna - è portatrice di un’idea del Creatore, un Creatore che ha un progetto sul mondo, che esprime delle idee incarnate nella realtà del mondo. E la relazione di fedeltà dell’uomo e della donna rivela una destinazione di uno all’altra, in una profonda unità di corpo e spirito, alla quale sono legate le generazioni future. L’elevazione di reazioni fisiche al rango di realtà vissute nel rispetto della persona è il cammino difficile, ma grande e bello, della morale cristiana sulla sessualità.



La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, adottata l’anno scorso, ha rifiutato di fare riferimento all’“eredità religiosa” dell’Europa. Cosa pensa lei di questa interpretazione della laicità?

Bisogna definire bene la laicità. Per me, esiste una nozione positiva di laicità nel senso che il cristianesimo, fenomeno nuovo nella storia, ha posto la differenza, riconoscendo la distinzione tra la religione e lo Stato.


Questa distinzione tra il regno di Dio e quello di Cesare è la fonte del concetto di libertà che si è sviluppato in Europa, in Occidente. Essa implica che la religione dona all’uomo una visione per tutta la vita, non solo per quella spirituale. Ma l’istituzione religiosa non è totalitaria: essa è limitata dallo Stato. E lo Stato non può prendere in mano tutto quanto: a sua volta è limitato dalla libertà della religione. Lo Stato non è tutto e la Chiesa, in questo mondo, non è tutto. Presa in questo senso, la laicità è profondamente cristiana. L’ostilità dei nazisti verso il cristianesimo, soprattutto il cattolicesimo, era fondata su questa idea che lo Stato è tutto.


Ma se la laicità vuole significare che nella vita pubblica non c’è posto per Dio, questo è un grave errore. Le istituzioni politiche e le istituzioni religiose possiedono sfere a loro proprie. Tuttavia
i valori fondamentali della fede devono manifestarsi pubblicamente, non per mezzo della forza istituzionale della Chiesa, bensì per mezzo della forza della loro verità interiore. Se la laicità vuole escludere la religione, opera una mutilazione dell’essere umano.



Il confronto tra il mondo occidentale e il mondo musulmano è uno scontro di civiltà?

L’islam non esiste come un blocco unico. Non c’è un magistero dell’islam, né una costituzione islamica centralizzata.
Il Corano fornisce certi riferimenti comuni al mondo islamico. Ma dà luogo a interpretazioni differenti, e l’islam si concretizza entro contesti culturali molto diversi, dall’Indonesia all’India, dal Medio Oriente all’Africa. Dunque il mondo islamico non è un blocco e non cancella i temperamenti nazionali: ci sono dei Paesi a maggioranza islamica estremamente tolleranti e altri che escludono più o meno il cristianesimo.


Oggi l’islam è presente massicciamente in Europa. E sembra manifestarsi un certo biasimo da parte di quanti credono che l’Occidente abbia perso la sua coscienza morale. Per esempio,
allorché il matrimonio e l’omosessualità sono considerati come equivalenti, allorché l’ateismo si trasforma in diritto al blasfemo, specie nell’arte, questi fatti sono orribili per i musulmani. Da qui l’impressione diffusa, nel mondo islamico, che il cristianesimo sia morente, che l’Occidente sia in decadenza. E il sentimento che l’islam porti la sola luce della fede e della moralità. Una parte dei musulmani vedono in ciò un’opposizione insanabile tra il mondo occidentale - e il suo relativismo morale e religioso - e il mondo islamico.


Parlare di un confronto di culture, talvolta, è corretto: nel rimprovero verso l’Occidente ritroviamo le conseguenze del passato, quando l’islam subiva la dominazione dei Paesi europei. Si può allora arrivare a degli estremi di fanatismo terribili. È una delle facce dell’islam, non è tutto l’islam. Esistono anche musulmani che cercano il dialogo pacifico con i cristiani. Di conseguenza, è importante giudicare i diversi aspetti di una situazione che è preoccupante per tutte le parti in causa.



L’anno scorso il cardinale Biffi, arcivescovo di Bologna, ha suscitato polemiche affermando che l’immigrazione musulmana pone dei problemi…

La riflessione del cardinale Biffi era più sottile. Lui ha sottolineato che esiste attualmente una migrazione di popoli, ma che è chiaro che ogni governo, persino il più aperto, non può accettare indefinitamente tutti gli immigranti. Bisogna dunque distinguere tra quelli che possono arrivare e gli altri. Secondo quali criteri? Era la domanda del cardinale Biffi. A partire dal momento in cui alcune scelte sono inevitabili,
bisogna accettare innanzitutto - in vista della pace civile delle nostre società europee - i gruppi più facilmente integrabili, i più vicini alla nostra cultura. Se si manifesta un’incompatibilità culturale, un’incomprensione, è tutta la società che ne risulta lacerata. E ciò non serve a nessuno, nemmeno agli immigrati musulmani. Definire i criteri che permettono l’unità di un Paese e ne favoriscono la pace sociale è interesse di tutti.



Il mondo moderno viveva nel culto del progresso e della ragione. Dopo due guerre mondiali, i gulag, Auschwitz, il terrorismo, le nozioni di progresso e di ragione hanno ancora un senso?

Di fronte al concetto di progresso, io sono sempre stato scettico. C’è naturalmente un progresso nel numero di conoscenze, nella scienza e nella tecnica. Ma questi progressi non comportano necessariamente un progresso nei valori morali, né nelle nostre capacità di fare buon uso del potere conferito dalla conoscenza. Al contrario:
il potere può essere un fattore di distruzione. Io sono sempre stato contrario allo spirito utopico, alla fede in una società perfetta: concepire una società perfetta una volta per tutte significa escludere la libertà di ogni giorno. È tanto vero che ragione e morale sono fragili, che una società può sempre autodistruggersi. Ciò in cui bisogna sperare è nella presenza di sufficienti forze morali capaci di opporsi al male.



Vendita d’organi, manipolazioni genetiche, clonazioni: bisogna mettere dei limiti alla ricerca medica e scientifica?

Per l’uomo moderno, l’idea di mettere dei limiti alla ricerca suona come una bestemmia. Esiste però un limite intrinseco, ed è la dignità dell’uomo. Progressi pagati a prezzo della violazione della dignità umana sono inaccettabili. Se la ricerca attacca l’uomo, si tratta di una deviazione della scienza. Anche se si protesta che la tale o la talaltra ricerca aprirà delle possibilità per il futuro, bisogna dire no quando è in gioco l’uomo. Il paragone è un po’ forte, ma vorrei ricordare che già una volta qualcuno ha effettuato delle sperimentazioni mediche su persone che riteneva inferiori. Dove condurrà la logica che consiste nel trattare un feto o un embrione come una cosa?



Cosa si aspetta la Chiesa dai giovani?

Che i giovani non abbiano in sé i pregiudizi della generazione del ’68, i quali hanno allontanato moltissime persone - persino uomini di Chiesa - dalla fede. Noi ci aspettiamo che i giovani ripartano con una nuova vitalità, un’apertura a scoprire in Cristo un Dio che è verità e amore.



Quali saranno i grandi compiti del prossimo pontificato?

Non tocca a me stabilirne il programma! E poi
il mondo cambia rapidamente: ciò che ci appariva imperativo ieri non ha più, oggi, la stessa importanza. Mi sembra che i problemi più urgenti, per la Chiesa, provengano da quanto abbiamo appena detto. Come far fronte alla situazione creata da un mondo occidentale che dubita lui stesso, che non riconosce più un fondamento razionale in una fede comune, un mondo che è dunque lasciato al soggettivismo e al relativismo? E poi ci sono l’islam e anche il buddismo, le due grandi sfide per il mondo occidentale: occorre trovare il dialogo con esse, trovare la possibilità di comprendersi senza perdere la grande luce che ci viene dalla figura di Gesù Cristo.

Tracce, n° 11, dicembre 2001