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Sua Santità Benedetto XVI
Cari fratelli e sorelle!
Mi rallegro di essere con voi oggi, in questa tanto bella e storica città di
Verona, per prendere parte attivamente al IV Convegno nazionale della Chiesa
in Italia. Porgo a tutti e a ciascuno il più cordiale saluto nel Signore.
Ringrazio il Cardinale Camillo Ruini, Presidente della Conferenza
Episcopale, e la Dottoressa Giovanna Ghirlanda, rappresentante della Diocesi
di Verona, per le gentili parole di accoglienza che mi hanno rivolto a nome
di voi tutti e per le notizie che mi hanno dato sullo svolgimento del
Convegno. Ringrazio il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Presidente del Comitato
preparatorio, e quanti hanno lavorato per la sua realizzazione. Ringrazio di
cuore ognuno di voi, che rappresentate qui, in felice armonia, le varie
componenti della Chiesa in Italia: il Vescovo di Verona, Mons. Flavio
Roberto Carraro, che ci ospita, i Vescovi qui convenuti, i sacerdoti e i
diaconi, i religiosi e le religiose, e voi fedeli laici, uomini e donne, che
date voce alle molteplici realtà del laicato cattolico in Italia.
Questo IV Convegno nazionale è
una nuova tappa del cammino di attuazione del Vaticano II, che la Chiesa
italiana ha intrapreso fin dagli anni immediatamente successivi al grande
Concilio: un cammino di comunione anzitutto con Dio Padre e con il suo
Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo e quindi di comunione tra noi,
nell’unità dell’unico Corpo di Cristo (cfr 1Gv 1,3; 1Cor
12,12-13); un cammino proteso all’evangelizzazione, per mantenere viva e
salda la fede nel popolo italiano; una tenace testimonianza, dunque, di
amore per l’Italia e di operosa sollecitudine per il bene dei suoi figli.
Questo cammino la Chiesa in Italia lo ha percorso in stretta e costante
unione con il Successore di Pietro: mi è grato ricordare con voi i Servi di
Dio Paolo VI, che volle il I Convegno nell’ormai lontano 1976, e Giovanni
Paolo II, con i suoi fondamentali interventi ai Convegni di Loreto e di
Palermo, che hanno rafforzato nella Chiesa italiana la fiducia di poter
operare affinché la fede in Gesù Cristo continui ad offrire, anche agli
uomini e alle donne del nostro tempo, il senso e l’orientamento
dell’esistenza ed abbia così "un ruolo-guida e un’efficacia trainante" nel
cammino della Nazione verso il suo futuro (cfr Discorso al Convegno di
Loreto, 11 aprile 1985, n. 7).
Il Signore risorto e
la sua Chiesa
Nello stesso spirito sono venuto oggi a Verona, per pregare il Signore con
voi, condividere – sia pure brevemente – il vostro lavoro di queste giornate
e proporvi una mia riflessione su quel che appare davvero importante per la
presenza cristiana in Italia. Avete compiuto una scelta assai felice ponendo
Gesù Cristo risorto al centro dell’attenzione del Convegno e di tutta la
vita e la testimonianza della Chiesa in Italia. La risurrezione di Cristo è
un fatto avvenuto nella storia, di cui gli Apostoli sono stati testimoni e
non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice
ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande "mutazione" mai
accaduta, il "salto" decisivo verso una dimensione di vita profondamente
nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto
Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e
l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della
predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine
dei tempi. Si tratta di un grande mistero, certamente, il mistero della
nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo
compimento e insieme l’anticipazione e il pegno della nostra speranza. Ma la
cifra di questo mistero è l’amore e soltanto nella logica dell’amore esso
può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai
morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è
l’amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita
indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi
uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto
nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte
in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita,
ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione
di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della
morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà,
dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro
mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
Tutto ciò avviene
concretamente attraverso la vita e la testimonianza della Chiesa; anzi, la
Chiesa stessa costituisce la primizia di questa trasformazione, che è opera
di Dio e non nostra. Essa giunge a noi mediante la fede e il sacramento del
Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione
in una vita nuova. E’ ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: "Non
sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2,20). E’ stata cambiata così
la mia identità essenziale e io continuo ad esistere soltanto in questo
cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo
soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato,
purificato, "aperto" mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista
il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così "uno in Cristo" (Gal
3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo
isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell’esistenza
cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al
tempo, la formula della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo.
Qui sta la nostra gioia pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di
cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo,
nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito Santo ha
intrapreso in noi col Battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e
uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo
portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in
quella comunità di uomini entro la quale viviamo.
Il servizio della
Chiesa in Italia alla Nazione, all’Europa e al mondo
L’Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e
al contempo molto favorevole per una tale testimonianza. Profondamente
bisognoso, perché partecipa di quella cultura che predomina in Occidente e
che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo
costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo,
per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile
e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene
eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare.
Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in
Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta
quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare
più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo. In stretto rapporto
con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un
semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé
suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un
autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era
una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella
medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e
dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido
e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di
cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il
cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali
dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le
altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente,
oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla
direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una
profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di
speranza.
L’Italia però, come accennavo,
costituisce al tempo stesso un terreno assai favorevole per la testimonianza
cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una
presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le
tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre
frutti, mentre è in atto un grande sforzo di evangelizzazione e catechesi,
rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche
alle famiglie. È inoltre sentita con crescente chiarezza l’insufficienza di
una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista: in
concreto, si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici
cristiane della nostra civiltà. Questa sensazione, che è diffusa nel popolo
italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e
importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno
non praticano la nostra fede. La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque
chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne
consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello
di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere
vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con
fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono
contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia. Tocca a noi
infatti – non con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo
Spirito Santo – dare risposte positive e convincenti alle attese e agli
interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia
renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all’Europa e
al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto
universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del
nostro tempo.
Rendere visibile il
grande "sì" della fede
Cari fratelli e sorelle, dobbiamo ora domandarci come, e su quali basi,
adempiere un simile compito. In questo Convegno avete ritenuto, giustamente,
che sia indispensabile dare alla testimonianza cristiana contenuti concreti
e praticabili, esaminando come essa possa attuarsi e svilupparsi in ciascuno
di quei grandi ambiti nei quali si articola l’esperienza umana. Saremo
aiutati, così, a non perdere di vista nella nostra azione pastorale il
collegamento tra la fede e la vita quotidiana, tra la proposta del Vangelo e
quelle preoccupazioni e aspirazioni che stanno più a cuore alla gente. In
questi giorni avete riflettuto perciò sulla vita affettiva e sulla famiglia,
sul lavoro e sulla festa, sull’educazione e la cultura, sulle condizioni di
povertà e di malattia, sui doveri e le responsabilità della vita sociale e
politica.
Per parte mia vorrei
sottolineare come, attraverso questa multiforme testimonianza, debba
emergere soprattutto quel grande "sì" che in Gesù Cristo Dio ha detto
all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra
intelligenza; come, pertanto, la fede nel Dio dal volto umano porti la gioia
nel mondo. Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero
e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e
fortifica la nostra esistenza. San Paolo nella Lettera ai Filippesi ha
scritto: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato,
quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri
pensieri" (4,8). I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono
volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la
conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la
libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano però
quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il
cammino dell’uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano
le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca. Perciò l’opera
di evangelizzazione non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è
sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso che diviene maturazione
e risanamento, un’apertura che consente di nascere a quella "creatura nuova"
(2Cor 5,17; Gal 6,15) che è il frutto dello Spirito Santo.
Come ho scritto nell’Enciclica
Deus caritas est, all’inizio dell’essere cristiano – e quindi
all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una decisione
etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, "che
dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). La
fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa,
anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla
ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie.
Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego
sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura
e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale
è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue
strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti
i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da
Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è
scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una
grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in
maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la
nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura. Diventa
allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza
originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la
riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos
creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al
caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e
la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare
gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero
e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel
pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma
anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. È
questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella
quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo
e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il
"progetto culturale" della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine,
un’intuizione felice e un contributo assai importante.
La persona umana.
Ragione, intelligenza, amore
La persona umana non è, d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza.
Porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di
amore, di essere amata e di amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso
si smarrisce di fronte alle durezze della vita, al male che esiste nel mondo
e che appare tanto forte e, al contempo, radicalmente privo di senso. In
particolare nella nostra epoca, nonostante tutti i progressi compiuti, il
male non è affatto vinto; anzi, il suo potere sembra rafforzarsi e vengono
presto smascherati tutti i tentativi di nasconderlo, come dimostrano sia
l’esperienza quotidiana sia le grandi vicende storiche. Ritorna dunque,
insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa essere uno spazio
sicuro per l’amore autentico e, in ultima analisi, se il mondo sia davvero
l’opera della sapienza di Dio. Qui, molto più di ogni ragionamento umano, ci
soccorre la novità sconvolgente della rivelazione biblica: il Creatore del
cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama
personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta
amato da lui. Dà vita perciò a una storia d’amore con Israele, il suo
popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo
amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che
perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento
raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si
fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua
vita per noi. Nella morte in croce si compie dunque "quel volgersi di Dio
contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo –
amore, questo, nella sua forma più radicale", nel quale si manifesta cosa
significhi che "Dio è amore" (1 Gv 4,8) e si comprende anche come debba
definirsi l’amore autentico (cfr Enc. Deus caritas est, nn. 9-10 e
12).
Proprio perché ci ama
veramente, Dio rispetta e salva la nostra libertà. Al potere del male e del
peccato non oppone un potere più grande, ma - come ci ha detto il nostro
amato Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Dives in misericordia
e, da ultimo, nel libro Memoria e identità – preferisce porre il
limite della sua pazienza e della sua misericordia, quel limite che è, in
concreto, la sofferenza del Figlio di Dio. Così anche la nostra sofferenza è
trasformata dal di dentro, è introdotta nella dimensione dell’amore e
racchiude una promessa di salvezza. Cari fratelli e sorelle, tutto questo
Giovanni Paolo II non lo ha soltanto pensato, e nemmeno soltanto creduto con
una fede astratta: lo ha compreso e vissuto con una fede maturata nella
sofferenza. Su questa strada, come Chiesa, siamo chiamati a seguirlo, nel
modo e nella misura che Dio dispone per ciascuno di noi. La croce ci fa
giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo (cfr
Mc 14,33-36): essa però non è negazione della vita, da cui per
essere felici occorra sbarazzarsi. È invece il "sì" estremo di Dio all’uomo,
l’espressione suprema del suo amore e la scaturigine della vita piena e
perfetta: contiene dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla
via del dono di sé. Qui mi è caro rivolgere un pensiero di speciale affetto
alle membra sofferenti del corpo del Signore: esse, in Italia come ovunque
nel mondo, completano quello che manca ai patimenti di Cristo nella propria
carne (cfr Col 1,24) e contribuiscono così nella maniera più efficace alla
comune salvezza. Esse sono i testimoni più convincenti di quella gioia che
viene da Dio e che dona la forza di accettare la croce nell’amore e nella
perseveranza.
Sappiamo bene che questa
scelta della fede e della sequela di Cristo non è mai facile: è sempre,
invece, contrastata e controversa. La Chiesa rimane quindi "segno di
contraddizione", sulle orme del suo Maestro (cfr Lc 2,34), anche nel nostro
tempo. Ma non per questo ci perdiamo d’animo. Al contrario, dobbiamo essere
sempre pronti a dare risposta (apo-logia) a chiunque ci domandi
ragione (logos) della nostra speranza, come ci invita a fare la
prima Lettera di San Pietro (3,15), che avete scelto assai opportunamente
quale guida biblica per il cammino di questo Convegno. Dobbiamo rispondere
"con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza" (3,15-16), con quella
forza mite che viene dall’unione con Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo,
sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della
testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei
primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita
caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e
ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del
cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è avvenuto anche in
seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Questa rimane
la strada maestra per l’evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere
questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo,
per l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi.
L’educazione
In concreto, perché l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia
accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione all’altra, una questione
fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona. Occorre
preoccuparsi della formazione della sua intelligenza, senza trascurare
quelle della sua libertà e capacità di amare. E per questo è necessario il
ricorso anche all’aiuto della Grazia. Solo in questo modo si potrà
contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che
è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere
tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre risorse morali.
Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni
definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra
libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere
qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in
tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa
libertà. Da questa sollecitudine per la persona umana e la sua formazione
vengono i nostri "no" a forme deboli e deviate di amore e alle
contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione
soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi "no" sono
piuttosto dei "sì" all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato
creato da Dio. Voglio esprimere qui tutto il mio apprezzamento per il grande
lavoro formativo ed educativo che le singole Chiese non si stancano di
svolgere in Italia, per la loro attenzione pastorale alle nuove generazioni
e alle famiglie. Tra le molteplici forme di questo impegno non posso non
ricordare, in particolare, la scuola cattolica, perché nei suoi confronti
sussistono ancora, in qualche misura, antichi pregiudizi, che generano
ritardi dannosi, e ormai non più giustificabili, nel riconoscerne la
funzione e nel permetterne in concreto l’attività.
Testimonianze di
carità
Gesù ci ha detto che tutto ciò che avremo fatto ai suoi fratelli più piccoli
lo avremo fatto a Lui (cfr Mt 25,40). L’autenticità della nostra
adesione a Cristo si verifica dunque specialmente nell’amore e nella
sollecitudine concreta per i più deboli e i più poveri, per chi si trova in
maggior pericolo e in più grave difficoltà. La Chiesa in Italia ha una
grande tradizione di vicinanza, aiuto e solidarietà verso i bisognosi, gli
ammalati, gli emarginati, che trova la sua espressione più alta in una serie
meravigliosa di "Santi della carità". Questa tradizione continua anche oggi
e si fa carico delle molte forme di nuove povertà, morali e materiali,
attraverso la Caritas, il volontariato sociale, l’opera spesso
nascosta di tante parrocchie, comunità religiose, associazioni e gruppi,
singole persone mosse dall’amore di Cristo e dei fratelli. La Chiesa in
Italia, inoltre, dà prova di una straordinaria solidarietà verso le
sterminate moltitudini dei poveri della terra. È quindi quanto mai
importante che tutte queste testimonianze di carità conservino sempre alto e
luminoso il loro profilo specifico, nutrendosi di umiltà e di fiducia nel
Signore, mantenendosi libere da suggestioni ideologiche e da simpatie
partitiche, e soprattutto misurando il proprio sguardo sullo sguardo di
Cristo: è importante dunque l’azione pratica ma conta ancora di più la
nostra partecipazione personale ai bisogni e alle sofferenze del prossimo.
Così, cari fratelli e sorelle, la carità della Chiesa rende visibile l’amore
di Dio nel mondo.
Responsabilità
civili e politiche dei cattolici
Il vostro Convegno ha giustamente affrontato anche il tema della
cittadinanza, cioè le questioni delle responsabilità civili e politiche dei
cattolici. Cristo infatti è venuto per salvare l’uomo reale e concreto, che
vive nella storia e nella comunità, e pertanto il cristianesimo e la Chiesa,
fin dall’inizio, hanno avuto una dimensione e una valenza anche pubblica.
Come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est (cfr nn. 28-29),
sui rapporti tra religione e politica Gesù Cristo ha portato una novità
sostanziale, che ha aperto il cammino verso un mondo più umano e più libero,
attraverso la distinzione e l’autonomia reciproca tra lo Stato e la Chiesa,
tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22,21). La
stessa libertà religiosa, che avvertiamo come un valore universale,
particolarmente necessario nel mondo di oggi, ha qui la sua radice storica.
La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello
stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica,
la cui anima è la giustizia, e le offre a un duplice livello il suo
contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e
l’aiuta ad essere meglio se stessa: con la sua dottrina sociale pertanto,
argomentata a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere
umano, la Chiesa contribuisce a far sì che ciò che è giusto possa essere
efficacemente riconosciuto e poi anche realizzato. A tal fine sono
chiaramente indispensabili le energie morali e spirituali che consentano di
anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali, o di una
categoria sociale, o anche di uno Stato: qui di nuovo c’è per la Chiesa uno
spazio assai ampio, per radicare queste energie nelle coscienze, alimentarle
e irrobustirle. Il compito immediato di agire in ambito politico per
costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come
tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria
responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al
quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e
con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati
dalla carità di Cristo.
Una speciale attenzione e uno
straordinario impegno sono richiesti oggi da quelle grandi sfide nelle quali
vaste porzioni della famiglia umana sono maggiormente in pericolo: le guerre
e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Ma occorre
anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il
rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali
valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere
umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue
fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia
fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico
altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il
suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale. La
testimonianza aperta e coraggiosa che la Chiesa e i cattolici italiani hanno
dato e stanno dando a questo riguardo sono un servizio prezioso all’Italia,
utile e stimolante anche per molte altre Nazioni. Questo impegno e questa
testimonianza fanno certamente parte di quel grande "sì" che come credenti
in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio.
Essere uniti a
Cristo
Cari fratelli e sorelle, i compiti e le responsabilità che questo Convegno
ecclesiale pone in evidenza sono certamente grandi e molteplici. Siamo
stimolati perciò a tenere sempre presente che non siamo soli nel portarne il
peso: ci sosteniamo infatti gli uni gli altri e soprattutto il Signore
stesso guida e sostiene la fragile barca della Chiesa. Ritorniamo così al
punto da cui siamo partiti: decisivo è il nostro essere uniti a Lui, e
quindi tra noi, lo stare con Lui per poter andare nel suo nome (cfr Mc
3,13-15). La nostra vera forza è dunque nutrirci della sua parola e del suo
corpo, unirci alla sua offerta per noi, come faremo nella Celebrazione di
questo pomeriggio, adorarlo presente nell’Eucaristia: prima di ogni attività
e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l’adorazione, che ci rende
davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire. Nell’unione a Cristo
ci precede e ci guida la Vergine Maria, tanto amata e venerata in ogni
contrada d’Italia. In Lei incontriamo, pura e non deformata, la vera essenza
della Chiesa e così, attraverso di Lei, impariamo a conoscere e ad amare il
mistero della Chiesa che vive nella storia, ci sentiamo fino in fondo parte
di essa, diventiamo a nostra volta "anime ecclesiali", impariamo a resistere
a quella "secolarizzazione interna" che insidia la Chiesa nel nostro tempo,
in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente
segnato la civiltà europea.
Cari fratelli e sorelle,
eleviamo insieme al Signore la nostra preghiera, umile ma piena di fiducia,
affinché la comunità cattolica italiana, inserita nella comunione vivente
della Chiesa di ogni luogo e di tutti i tempi, e strettamente unita intorno
ai propri Vescovi, porti con rinnovato slancio a questa amata Nazione, e in
ogni angolo della terra, la gioiosa testimonianza di Gesù risorto, speranza
dell’Italia e del mondo.
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