Corrado Alvaro

 

 Ristampata l’opera prima di Corrado Alvaro

 

POLSI nell' arte, nella leggenda e nella storia
 

 

 
di Vincenzo La Gamba

È l' opera prima di Corrado Alvaro, che poi sarà annoverato tra i più grandi narratori del Novecento. Lo scrittore calabrese era un teen-ager di 17 anni quando, nel 1912, pubblicò "Polsi". Difficile a credersi che a quell'età, un giovane si dedicasse a scrivere su uno dei più vecchi e sconosciuti (ai più) Santuari Mariani Italiani.
Il Santuario di Polsi è "il cuore" dell' Aspromonte, che respira di preghiera. È situato "nel cuore" dell' Aspromonte, in mezzo ad una valle, in cui risuonano mille canti, mille voci, mille spari che si confondono con la preghiera.
È uno dei Santuari più inaccessibili al mondo, dove, una volta, si giungeva faticosamente a piedi. Vi si giunge, oggi, da diverse direzioni risalendo l' Aspromonte, lungo mulattiere, curve pericolose, stradette polverose come il Far West, per cui  i camions, carichi di pellegrini da ogni parte della Calabria, a stento riescono ad inerpicarsi.
Perchè Polsi esercita ancora, dopo quasi un millennio, un fascino così straordinario?  Perché il popolo che si reca a Polsi è, come fede, come cultura, come devozione, diverso da ogni pellegrino di fede Mariana che si reca nei Santuari dalle linee architettoniche sontuose, dove si giunge, senza alcun dubbio, in treno, in macchina, in autobus?

Ce lo descrive acutamente Corrado Alvaro: "Vanno i fedeli in lunga teoria, uno dietro l' altro, affratellati dallo stesso pensiero. Sembran carovane di gente che abbandonino il loro paese e si trasportino tutto, incluse le loro tradizioni e le cose più care. L' occhio vede confusamente andare un popolo che ha comuni i bisogni e gli intenti, perdersi sotto gli alberi dalle profonde cascate, procedere lentamente per le serpentine delle montagne".
Non male il Corrado Alvaro, studente liceale, che esordisce (in punta di piedi) con uno scritto, in cui descrive, appassionatamente, questo minuscolo luogo di Polsi, come fosse l' ombelico del mondo. Lo fa riferendosi alla storia e alla leggenda, come uno dei più interessanti luoghi di spiritualità e pellegrinaggio del Sud Italia.  Lo scrive, pure, Alvaro in questo modo: "Qui la storia segue quasi la leggenda perché nulla vi è in questa che contrasti con l' oggettività di quella".

Diciamo, a priori, che Polsi è un luogo privilegiato dalla storia, che segna un ideale confine tra Occidente ed Oriente.
Il periodo - scrive Alvaro - abbraccia parte dell' ottavo e nono secolo d.C., cioè uno dei tempi più terribili per la storia della religione, durante il quale si avvalorò la fede e per il quale sorsero in Italia tutti, o quasi, i monasteri di rito Greco. Nello stesso periodo in Oriente, l'Imperatore Leone III, l'Isaurico, promulgò un editto con il quale proibiva il culto delle sacre immagini.

Fu Gregorio III a minacciare di scomunica chi avesse distrutto le immagini religiose, subito dopo un Concilio, che si tenne a Roma nel 731. Ma Leone III assegnò ai Patriarchi di Constantinopoli i beni di alcuni Vescovi Siciliani e Calabresi e mandò nel 733 in Sicilia un' armata che, con la forza, fece valere le sue ragioni.  Allora i Siciliani, oppressi dalle imposte e dai censi, emigrarono, poichè non dipendevano più dai Patriarchi di Costantinopoli.
Primi ad emigrare furono i Basiliani, monaci discendenti da Basilio, Vescovo di Cesarea, che si rifugiarono in Calabria, quindi a Polsi, nello sperduto Aspromonte, luogo più ameno di oggi, dove sorse il primo Convento intorno ai primi dell' 800.

Dopo 344 anni, un toro, dice la storia e la leggenda (poiché l' una è sintesi ed analisi dell'altra), si portò ove poi sarebbe sorto il Santuario (siamo nel 1144) e lì cominciò a scavare con le zampe, finché dalla terra non venne fuori una croce di ferro.  Alla sua vista il toro piegò le ginocchia in atto di adorazione.

La croce dissotterrata era greca, appartenente ai Basiliani, che l' avevano lasciata in un roveto.. 

Alvaro racconta che fu eretta una Chiesa sotto gli auspici di  Ruggiero il Normanno. Rileva che i Messinesi, i quali ogni  anno visitavano il Santuario di Polsi, costruirono, nel 1614, una cappella  vicino alle mura della città, e vi posero l' immagine della Madonna del Bosco, copia di quella venerata a Polsi.

Va chiarito, comunque, che la Madonna di Polsi viene comunemente chiamata Madonna della Montagna.  Numerosi i doni ricevuti, tra i quali quelli della  Principessa Enrica Caracciolo e di Cecilia Ruffo, Principessa di Stigliano.

Nel 1777 Pio VI concesse l' indulgenza a coloro che si recavano al Santuario, che ebbe un periodo d' oro nell' 800 ad opera di Enrico Macrì che fu Governatore per 33  anni, restaurando la Chiesa, arricchendo il Santuario, accrescendone il culto e la fede. Il 30 agosto 1881 fu data memorabile nella storia del Santuario. Enrico Macrì volle glorificare con l'oro dei fedeli la Madonna di Polsi. Infatti lo fece fondere  e con esso fece realizzare due corone d'oro massiccio che ancora sono visibili sul capo della Statua della Vergine della Montagna.
Seguirono anni bui, ma grazie all' opera settennale dell' Arciprete Giosafatto Mittiga, nativo di Platì, fu restaurata la facciata del convento, danneggiata dal terremoto del 1908. Vennero  riedificate alcune case che servono oggi da asilo ai fedeli e venne elevato il terzo piano del Convento, provvedendolo di conduttura d' acqua, di luce e di gas.

La parte più bella del racconto  "POLSI" di Corrado Alvaro è quella finale, quando narra la Festa del 2 Settembre, data in cui le montagne che coronano Polsi riecheggiano di canti e di suoni.

Racconta il giovane Alvaro con un linguaggio eccelso, con articolati vocaboli che rendono le scene più reali e vere, come quelle dei pellegrini con il petto nudo, il capo cinto di spine, le bisacce contenenti il pane e gli alimenti che li nutriranno per tre giorni (dal 31 agosto quando comincia la festa), le donne scalze che portano le alte anfore alla fonte e nelle ceste portano i loro bimbi, (perché le donne calabresi, quando nei lunghi viaggi non vogliono stancarsi, portano il peso sul capo); il suono delle zampogne, che inebria pure il pastore, vestito di orbace, coi calzoni corti fino al ginocchio. 

Tutto si svolge nella "dolce sera, quando le zampogne si avanzano per balze e valli, quando da un otre e da quattro fistule, sgorga il suono che sembra una lunga armonia sempre uguale, che nel Natale ci fa rivivere nel mistero, ora nella leggenda".

Alvaro ci ricorda che quasi tutti i pellegrini portano fucili nella più autentica delle tradizioni "polsiane". C'è una ragione, racconta Corrado Alvaro: "Quasi tutti portano i fucili, perchè in questa festa i fuochi artificiali non turbano le sacre ombre della montagna".

Polsi diventa per pochi giorni un accampamento di uomini e donne che non dormono mai, diventando d' incanto come New York "the city that never sleeps".  

Polsi diventa, dunque, il paese della veglia e del rumore. Si contano almeno ventimila persone ogni anno.
Con grande lucidità e veridicità, Alvaro dipinge un quadro caratteristico della festa: "nella valle, sulle strade, sulla piazza sembran tutti morsi dalla tarantola: si balla sfrenatamente dovunque al suono delle zampogne e tamburini. Ubriachi e vecchi che si scuotono goffamente, giovani che riducono la danza ad una serie di salti, d' inchini, di genuflessioni, di baciamani, di grida selvagge, e che tenendosi i lembi della giacchetta corta con presunzione di galanteria, fanno i maestri di danza".

Poi il giorno della festa son tutti muti in Chiesa, scrive Alvaro, aggiungendo che "si sente una continua implorazione; vi è tutta l' implorazione della fede, annidata fra pochi muri. Su tutto regna l'elegia cantata delle donne. Le madri offrono le vesti alla Vergine, orecchini e membra effigiate nella cera, tutte le cose più belle di un popolo che invoca, spera e crede".

La sera del 2 settembre si va in processione. Sono i " Bagnaresi " (cittadini di Bagnara Calabra) che portano sulle spalle la statua della Vergine, statua fatta a loro spese, a somiglianza di quella posta nella nicchia. Quando poi la processione arriva alla porta della Chiesa, i Bagnaresi con "istantaneo giro vorticoso volgono la statua verso il popolo.  Al grido di "Viva Maria", l' ultima implorazione si fonde con lo sparo dei fucili e l' eco porta da valle il grido immenso, che tocca il cielo".

Crediamo che Alvaro con questa opera ha esaltato non un piccolo luogo come Polsi, ma la Calabria intera, nella più genuina forma di primitiva religiosità, in cui la fede e la speranza di un popolo pellegrino raggiunge la realtà umana, capace di trasformare in immagini, ricordi e storie della sua gente d' Aspromonte e della sua bella terra calabra.

* Corrado ALVARO:  POLSI nell' arte, nella leggenda e nella storia;

  pp. 100.  Ed. Iiriti, Reggio Calabria, € 16,00

 

 

Corrado Alvaro: « Ristampata l’opera prima di Corrado Alvaro. POLSI nell' arte, nella leggenda e nella storia»  di Vincenzo La Gamba, New York, 11 luglio 2005

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