Fortunato Seminara

Anniversario

MAROPATI: Nel 19° anniversario della morte

Ricordato lo scrittore Fortunato Seminara
 

Nella ricorrenza del 19° anniversario della morte, per iniziativa della “Fondazione” a lui dedicata, nella sala consiliare del Comune di Maropati è stato ricordato lo scrittore Fortunato Seminara.
Dopo l’introduzione del Presidente dott. Vincenzo Gallizzi, hanno commemorato lo scrittore il nostro collaboratore giornalista Umberto Di Stilo ed il critico letterario Pasquino Crupi.
In attesa di disporre del testo della vasta relazione del prof. Crupi, presentiamo ai lettori il “ricordo” che dell’uomo Seminara ha tratteggiato Umberto Di Stilo.
 

 
di Umberto  Di Stilo


Pensando a questa commemorazione, sul grande schermo della memoria si è nitidamente materializzata la figura di Fortunato Seminara, dello scrittore che, negli ultimi 25 anni di vita mi ha concesso l’onore della sua amicizia. Lui di carattere chiuso, appartato, solitario, sempre imbronciato e taciturno fino a rasentare la scontrosità e la diffidenza, piano piano si è aperto alla confidenza ed alla disponibilità. Fortunato Seminara era diffidente con tutti e questo suo atteggiamento di sospetto rendeva i suoi approcci freddi e distaccati, quasi come se dovesse esser pronto a difendersi da immaginari attacchi. Diffidava di tutti. Inizialmente fu diffidente anche di Italo Calvino, col quale poi mantenne rapporti di amicizia per oltre trent’anni. Glielo dichiara nella lettera del 19 settembre 1950 (la terza che invia allo scrittore-consulente della Einaudi), precisando, quasi per giustificarsene,  che la sua era “la diffidenza di coloro che hanno subìto delusioni e ingiusti giudizi e somiglia molto a quella dei poveri per i quali solo di rado c’è giustizia…”.

Non poteva essere diverso con me. Da semplice conoscente, comunque, col passare di alcuni anni, mi elesse ad amico e, poi, anche ad accompagnatore e ad autista di fiducia quando, non solo in occasione di incontri culturali, doveva raggiungere i vari paesi della nostra Piana.

Ricordarlo, oggi, a 19 anni dalla morte vuol dire, pertanto, rivivere momenti di amichevoli conversazioni, sentire nuovamente le emozioni che scaturivano dai suoi pacati discorsi e dalle sue decise prese di posizione, risentire nelle orecchie la sua voce sempre impostata e dal timbro baritonale. Significa ripercorrere dietro di lui, a passi lenti, il ripido viottolo tracciato nel bianco tufo che, lasciata la vecchia borbonica rotabile, bisognava scalare per arrivare sul pianoro di Pescano; significa ritornare idealmente ai freddi pomeriggi invernali degli anni settanta quando l’amico scrittore gradiva che andassi a fargli un po’ di compagnia nell’ospedale di Gioia Tauro ove, grazie all’amicizia ed alla disponibilità del primario prof. Frisina, con la scusa di accertamenti clinici o di sottoporsi alla cura di noiose sciatalgie, andava a svernare.  

A pensare a quegli anni, come in rapide sequenze rivedo molti episodi e diversi sono gli aneddoti che tornano alla mia memoria.

Rivedo la sua apprensione per il primo articolo che gli dedicavo sulle pagine de “Il Tempo”; rivivo la lenta scalata che nell’ottobre del 1966 volle che compissi fino a Pescano insieme a Lui, alla giornalista-scrittrice Adele Cambria ed a tutti i componenti la troupe televisiva de “Viaggio in Italia” e mi par di cogliere ancora stampata sul volto la sua fobia per il microfono; mi par di rivivere l’ansia che ha caratterizzato i giorni che hanno preceduto l’incarico letterario ricevuto dalla Cassa di Risparmio e la sua incontenibile soddisfazione per il trattamento riservatogli durante il soggiorno a Cosenza; rivedo la rabbia di quel 26 dicembre 1975 allorchè ha scoperto l’incendio della casa di Pescano e risento ancora nelle orecchie quel reiterato “ignoranti, ignoranti, ignoranti” indirizzato ai responsabili del rogo; sento ancora come, cambiando il tono della voce, sottolineava alcune espressioni quando su quell’episodio mi concesse un’intervista per il “Giornale di Calabria” e volle che io riportassi la frase di Campanella che aveva fatta totalmente sua e con tono sprezzante rivolgeva agli autori dell’incendio: “ ne ho consumato più io di olio di lucerna (per illuminare le mie notti a scrivere o a studiare) che voi di vino, o signori della terra”; rivivo le fasi del viaggio da Maropati a Piano Lago ove volle che lo accompagnassi da Piero Ardenti e l’acuta analisi che in quella occasione fece sui mali e sulle aspettative della Calabria.

Rivedo, ancora, la mattinata di studio che volle dedicare al poeta Belcaro e la sua rabbia per l’assenza di alcuni concittadini; rivedo le sue incertezze e i difficili momenti che hanno fatto maturare la sua candidatura alla camera dei deputati nella lista radicale.

Rivedo la delusione e la rabbia dello scrittore quando, nel 1967, la giuria del premio Sila (al quale aveva partecipato con “L’altro pianeta”) gli preferì un autore ‘padano’.

Queste, alcune delle sequenze di un’amicizia che, costruita in anni di intensa frequentazione, è stata per me prodiga di importanti insegnamenti.

Perché non è vero che Fortunato Seminara era avaro di consigli e fosse animato da quel naturale senso di invidia che spesso caratterizza negativamente l’animo umano. Se stimava una persona e credeva nelle sue capacità, Seminara sapeva essere prodigo di consigli. Ricordo i suggerimenti che, in uno studio polistenese, elargiva amichevolmente e con grande competenza ad alcuni giovani e meno giovani artisti locali. Ma ricordo pure che – specie negli ultimi anni della sua vita – si era “aperto” anche ai giovani studenti che lo avvicinavano per sapere della sua produzione e, più in generale, per conoscere il suo illuminato parere sulle nuove frontiere della letteratura. Al Magistrale di Polistena, ma anche in altri istituti superiori della Calabria, ha più volte incontrato gli studenti per commentare ed interpretare per loro ed insieme a loro il pensiero di grandi scrittori e poeti del passato.

Personalmente rammento ancora il paterno ma deciso rimprovero che mi indirizzò quando gli confidai che avevo strappato il dattiloscritto dei miei “Racconti di Don Giacomino” di cui alcuni anni prima aveva letto ed apprezzato il primo, pubblicato (in forma ridotta) su un periodico locale.

“Hai commesso un irrimediabile delitto!” – mi disse con voce decisa e tono di rimprovero. Ed aggiunse: “Tra te che hai distrutto un’opera letteraria – frutto della fantasia e dell’ingegno artistico - e chi sopprime il proprio figlio - frutto dell’amore - non trovo alcuna differenza. Anche i racconti erano tuoi figli… Figli dell’inventiva, figli dell’intelligenza che differenzia noi uomini dalle bestie…  Figli letterari che sono forse più cari dei figli carnali perchè concepiti e scritti in momenti di particolare tensione creativa… E’ imperdonabile… Quello che hai fatto è veramente imperdonabile”.

Poi, passando dal tono di rimprovero a quello più pacato del consiglio, quasi paternamente aggiunse: “Bisogna conservare tutto. Solo così si ha la possibilità di riprendere in mano lo scritto, rivederlo a distanza di anni, modificarlo, limarlo… proprio come si fa con un figlio che si segue nel corso degli anni per educarlo, istruirlo e indirizzarlo continuamente verso la strada che riteniamo più giusta….”.

Infine, dopo una breve pausa, quasi per dare forza al suo discorso, mi confidò: “Io conservo gelosamente tutti i miei scritti, anche gli appunti, e spero di poter pubblicare anche il mio primo lavoro di narrativa… ”.  

A distanza di anni, chiamato a far parte del consiglio di amministrazione della Fondazione “F. Seminara” sorta principalmente per “promuovere la pubblicazione e la diffusione delle opere dello scrittore”, mi sono ricordato di quel suo “primo lavoro di narrativa” quando, tra le diverse opere lasciate inedite, ho avuto modo di vedere anche il dattiloscritto de “Il viaggio”, opera che sta per vedere la luce e che il prof. Antonio Piromalli, che cura la prefazione critica, ritiene di grande interesse letterario e, comunque, indispensabile per meglio capire Seminara che già in questo primo lavoro,  evidenziando il suo spiccato realismo e la sua sensibilità interpretativa del mondo contadino, mette in luce tutta la tematica della sua narrativa.

Non spetta a me, però, celebrare stamattina Fortunato Seminara scrittore. Lo farà Pasquino Crupi con la competenza e la passione che lo contraddistinguono. Lo farà lui che, insieme ad Antonio Piromalli, è il solo critico che vanta frequentazioni amicali col nostro Autore.

Io, invece, intendo volgere la mia attenzione ancora sull’uomo e, per cercare di tratteggiarne un’immagine il più veritiera possibile, frugo ancora nel mare dei ricordi, dal quale, riaffiora il nostro ultimo incontro.

Seminara era già ammalato e stava per recarsi a Gerace ove il comune amico dott. Salvatore Gemelli, della vicina Anoia, gli aveva offerto un posto nel reparto geriatrico da lui diretto.

Percorrevamo la via principale del paese diretti a casa sua e mi parve che guardasse in modo insolito quelle case di cui conosceva anche il numero dei mattoni scrostati.

Appariva affaticato ed a me che lo guardavo con evidente preoccupazione per il suo stato fisico, rivolse parole di rassicurazione. Si invertivano i ruoli: lui, ammalato, mi tranquillizzava, facendomi credere che l’ora dell’addio era ancora molto lontana e che, comunque, non solo ci saremmo rivisti ma insieme saremmo tornati a Pescano ove, nella ricostruzione della casa, stava impiegando tutti i suoi sudati risparmi.

“Mi sento ancora forte come una quercia” – disse per rassicurarmi e forse anche per darsi un po’ di coraggio -. “Mio padre è morto vecchio ed anche i miei antenati sono stati longevi… Io non li smentirò, vedrai”.

Gli eventi, purtroppo, lo hanno smentito e quel che è successo dopo quel giorno è a tutti noto. Soltanto il primo maggio del 1984, però, capìi che in quegli occhi velati dalla tristezza e in quell’insolito modo di guardare le modeste ed assai familiari abitazioni del suo rione, c’era forse l’istintiva consapevolezza della fine che si avvicinava. Consapevolezza che era frenata dalla speranza di emulare i suoi avi e di vivere ancora a lungo per portare a termine tutti i progetti letterari che vagheggiava da tempo. Primo fra tutti il ripristino della casa di Pescano e il conseguente ritorno alla semplice vita rurale ed al mondo contadino del quale, non solo nelle sue opere, ne fece una religione di vita. Quella casa sarà restaurata (e quindi completamente riutilizzabile per scopi culturali) nei prossimi mesi. Da fonti riservate ma assai attendibili, infatti, abbiamo saputo che l’assessore regionale prof. Misiti, tenendo fede agli impegni assunti qui a Maropati, ha inserito i lavori di recupero di quella casa-sacrario nel piano delle opere da finanziare nell’anno in corso. C’è da ritenere, pertanto, che nel volger di qualche anno la casa del poggio assolato e silenzioso di Pescano, rifugio privilegiato dello scrittore e nel quale ha scritto quasi tutti i suoi romanzi, possa diventare il sacrario della memoria o, se volete, “l’Olimpo seminariano” e, come tale, essere un punto fermo non solo per la narrativa del nostro scrittore ma per tutta la cultura calabrese.

Proprio perché è attorno a questo “poggio” incantato e silenzioso che ruota quasi tutta la narrativa di Fortunato Seminara, ho voluto che, anche nella sua intestazione, la rivista della Fondazione ne perpetuasse il nome. Il periodico letterario che vedrà la luce tra qualche mese, infatti, è stato registrato al Tribunale di Palmi col nome “Pescano”.

Insieme al Presidente  dott. Gallizzi è mio desiderio approntare il primo numero per la fine di luglio. Ritengo doveroso, infatti, che per il 3 agosto, giorno in cui ricorre il centenario della nascita dello scrittore, la rivista debba essere già in distribuzione e che possa dedicare alla produzione letteraria di Seminara la quasi totalità delle sue pagine. Anche per questo sono già stati invitati a collaborare alcuni dei maggiori critici italiani e molti studiosi di arte e letteratura calabrese. Vorremmo, infatti, che le pagine di “Pescano” diventassero la sede ideale su cui dibattere i problemi culturali della nostra regione e fossero sempre a disposizione di tutti quei giovani talenti che, come Lorenzo Calogero e, per certi versi, anche come il nostro Seminara, incontrano molta difficoltà a farsi conoscere dal vasto pubblico dei lettori perché non trovano grandi editori disposti a pubblicare e a diffondere le loro opere. Ne consegue che la rivista non può e non deve essere un periodico di cronaca e pettegolezzi locali. Ritengo, infatti, che, proprio per il rispetto che tutti dobbiamo al nome di Seminara, “Pescano” abbia l’obbligo di volare alto nel cielo delle riviste culturali nazionali senza dover temere il confronto con i periodici pubblicati dalle varie “Fondazioni” operanti in Italia. Per non fallire nell’ambizioso progetto, però, è necessaria la collaborazione delle menti più fervide e degli ingegni culturali più freschi ed originali.

Avviandomi alla conclusione di questo mio ricordo, un’ultima considerazione. Se approfittando dell’odierna ricorrenza politico-civile avessi voluto fare della facile retorica mi sarebbe stato semplice concludere sottolineando che, per uno strano scherzo del destino, Seminara ha chiuso la sua esistenza terrena il primo maggio. Non un giorno qualsiasi, ma il primo maggio, da sempre consacrato alla festa dei lavoratori che, dalle nostre parti, per via dell’assoluta mancanza di industrie, si sono sempre identificati negli umili braccianti, nei contadini, nei manovali… e in tutte le più modeste classi operaie. Le stesse categorie sociali a cui, nelle sue pagine, lo scrittore ha voluto dare dignità di uomini e di protagonisti.

In Seminara, infatti, il contadino da “oggetto di esaltazione romantica, da entità mitica, da oggetto di curiosità umanistica, diventa soggetto di storia, protagonista, con una coscienza sempre più viva e illuminata”.

Precisava lo stesso scrittore: (il contadino) “Non è “mio prossimo” da amare e compiangere, alla maniera degli scrittori cattolici, ma è “mio pari”. Mi pare sia questa la novità del mio discorso”.

Al di là della sua fede politica (Pietro Nenni sosteneva che “le idee camminano sulle gambe degli uomini”) Seminara ha saputo concretizzare la sua ideologia interpretando come nessun altro il mondo dei contadini-lavoratori e comportandosi egli stesso da instancabile lavoratore. “Mi alzo all’alba per cominciare a scrivere e smetto dopo diverse ore, come un qualsiasi giornaliero che nei campi zappa dall’alba al tramonto. Spesso vado anche oltre e continuo fino a sera inoltrata. Ogni mia pagina scritta è il frutto di ore di lavoro”.

Da instancabile lavoratore, pertanto, più che per uno strano scherzo del destino, Seminara ha chiuso la sua esistenza terrena il primo maggio per un premio alla sua coerenza. A quella dimostrata nella condotta di vita, a quella dimostrata nel mondo della narrativa e, perché no?, anche a quella dimostrata nel campo delle ideologie politiche.

Lui che premi nella vita ha avuto la soddisfazione di riceverne solo uno (il Villa San Giovanni del 1956) ne ha ricevuto un altro alla fine. Da credente, infatti, ho motivo di ritenere che la Giustizia che sovrintende a tutte le decisioni degli uomini, ha deciso che “finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane” ed un solo lavoratore celebrerà la ricorrenza festiva del primo maggio, verso Fortunato Seminara che da instancabile lavoratore-scrittore ha saputo interpretare e cantare i diritti delle più umili categorie di contadini-lavoratori, debba alzarsi un pensiero riconoscente e grato.

Come quello che anch’io, insieme a tutti voi, riverente alzo in questo momento.
 

 

Fortunato Seminara: «MAROPATI: Nel 19° anniversario della morte, ricordato lo scrittore Fortunato Seminara», di Umberto  Di Stilo, Maropati, Sala Consiliare, 1° maggio 2003
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