Pace

La catastrofe del sentimento e del pensiero

Lettera ai pacifisti sconfitti
 

 
Quando si dice che "c'era più gente di quanta ne aspettassi" vuoi dire che è andata maluccio. Ma non è questo il problema della manifestazione pacifista di ieri a Roma. Il problema drammatico è il loro stato d'animo, dopo la tremenda sconfitta politica e morale che hanno subito le posizioni legate alla paura, all'angoscia, all'incomprensione e al pregiudizio. Il problema vero è che lottano contro il dubbio, e il fanatismo (generatore di stupida violenza contro se stessi e contro gli altri) nasce proprio dalla lotta senza quartiere contro l'intensità di un dubbio.

Leggano qui di seguito le riflessioni sincere di uno di loro, riportate da Andrew Sullivan dalla rivista web Salon. Chi scrive è Gary Kamiya: "Devo fare una confessione: in certi momenti, durante la guerra, ho segretamente sperato che le cose andassero male. Ho sperato che gli iracheni avessero un sussulto nazionalista più forte, che resistessero più a lungo. Ho sperato che il mondo arabo si sollevasse pieno di furia. Ho sperato che tutte le cose da noi temute accadessero. Non sono solo: molte persone serie, intelligenti, moralmente sensibili che sono contro la guerra mi hanno detto di aver condiviso questi sentimenti. In parte è solo il portato della meschinità, ignobili risentimenti, faziosità, il desiderio di avere ragione e di provare che quelli come Rumsfeld hanno torto... Da questo punto di vista mi sento in colpa, e sconfesso quei pensieri intimi. Ma in parte procedono da qualcosa di più ingannevole: è come controassicurarsi da una scommessa morale fatta al ribasso, frutto di un pessimismo difficile da scontare, una faccenda in cui la tua testa e il tuo cuore sono in conflitto".

Questa prosa onesta, di cui purtroppo non si vede traccia da noi, spiega molte cose. Non è strano che la gente abbia avuto paura e sia scesa in piazza, è spaventoso che una parte di coloro che hanno illustrato l'Europa di un ritorno di fiamma dello spirito di Monaco non accetti adesso la lezione dei fatti, non li voglia nemmeno guardare in faccia e si nasconda dietro anarchia e saccheggi e problemi umanitari per distogliere lo sguardo dalla liberazione di un popolo. Ma la cosa più spaventosa è che i giornali, le tv, le classi dirigenti (con poche eccezioni) non siano più nemmeno in grado di esercitare il mandato della persuasione, di aiutare gente senza più orientamento a ripensare con lucidità e generosità morale una simile catastrofe del sentimento e del pensiero.
 

 

Pace: «Lettera ai pacifisti sconfitti», Il Foglio 13.4.2003

 

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