Pace

L’Unione Europea non sarà mai un “attore globale" ?

L’equivoco europeo
 

 
di Casadei Rodolfo,


L’Unione Europea non sarà mai un “attore globale” delle relazioni internazionali come gli Usa. Questione non solo di spese militari, ma di mentalità e storia adess
o che gli americani sono impantanati in Irak e che le promesse del presidente Bush al mondo circa un’America capace di riportare all’ordine gli “stati canaglia” mostrano un po’ la corda, si torna a parlare in toni enfatici del ruolo dell’Europa. Il copione pare già scritto: l’umiliazione del Regno Unito, che ha aderito al fallimentare disegno neo-imperiale di Bush, e il rilancio in grande stile di un’Unione Europea che accelera il processo di integazione del suo “nocciolo duro” franco-tedesco, decide di investire somme significative nella difesa comune (“l’esercito europeo”) e nel giro di qualche anno diventa quel global player (attore globale) benefico e affidabile che gli Stati Uniti non hanno saputo essere.

Il gap militare
A incoraggiare questa prospettiva sono ormai anche analisti americani, come il giovane ma già mediatizzatissimo storico Charles Kupchan, che in un articolo sulla rivista dell’Aspen Institute Italia ed in una serie di conferenze e apparizioni televisive la settimana scorsa ha voluto avvisare il pubblico italiano che «non solo il predominio americano è meno duraturo di quanto sembri, ma il suo declino è già cominciato, e la sfida che si profila all’orizzonte... è costituita dall’Unione Europea, quale entità politica emergente che potrà contare sulle notevolissime risorse e sulle ambizioni storiche degli Stati-nazione europei». Certo, c’è il problema della modesta potenza militare europea: la spesa complessiva per la difesa dei paesi Ue ammonta a 140 miliardi di dollari, appena poco più di un terzo di quella degli Usa. Non solo, ma come spiega Daniel Franklin, «mentre la spesa europea serve soprattutto a finanziare soldati, quella statunitense è sempre più destinata agli investimenti in tecnologie e in capacità di proiezione della forza oltre i propri limiti territoriali. La potenza dell’Europa in termini di forze dispiegabili è pari a meno di un quarto di quella americana, e mentre gli Stati Uniti spendono 30.000 dollari per soldato in ricerca tecnologica, l’Europa ne investe solo 4.000». All’inconveniente, però, si può provvedere: in una recente puntata di Porta a Porta un eccitatissimo Luciano Violante manifestava la disponibilità della sinistra ad aumentare le spese militari e coordinarle a livello europeo, se questo voleva dire trasformare la Ue in un soggetto di politica internazionale in grado di far pesare le sue prese di posizione.

Multipolarismo non significa pace
Naturalmente i fautori del protagonismo europeo si affannano a spiegare, come Romano Prodi la settimana scorsa, che «l’unità europea non si deve fare in funzione antiamericana». Ma è proprio Kupchan che richiama tutti a non fare gli ipocriti: «La rivalità transatlantica, già manifesta, non potrà che accentuarsi. Per definizione, infatti, i centri di potere competono per influenza, prestigio, posizione relativa (...). Un Occidente prima unitario è ben avviato a dividersi in due metà separate, in forte competizione fra loro». Insomma, non è questione di buona volontà politica, ma di dinamiche storiche inevitabili: il “mondo multipolare” preconizzato dall’arcobaleno di oppositori dell’attuale egemonia americana (dal moderato Giuliano Amato alla galassia degli antisistema No gobal) non è mai stato né mai sarà un mondo di pace, ma di crescenti conflitti destinati a sfociare in confronti militari distruttivi e disordine crescente. Lo sapeva bene già Dante Alighieri, che per questo nella sua Commedia invocava l’avvento del “veltro” imperiale che avrebbe restituito ordine e prosperità all’Italia e all’Europa. E lo sapevano benissimo i padri della Cee, Schumann, Adenauer e De Gasperi, che all’indomani della Seconda Guerra mondiale hanno posto il processo di integrazione continentale sotto l’ombrello politico-militare statunitense, scartando le suggestioni di un’impossibile terzietà fra Usa e Urss. Erano stati testimoni dell’esito funesto del “multipolarismo” europeo inaugurato tre secoli prima con la pace di Westfalia, con la quale le potenze europee avevano rinunciato definitivamente all’ordine imperiale per costruirne uno fondato sul riconoscimento reciproco fra gli stati e la non interferenza nei problemi interni. L’unico risultato era stato quello di sostituire le guerre di religione con guerre nazionaliste sempre più feroci, fino alla duplice catastrofe delle due guerre mondiali. Non è questa l’unica amnesia dell’odierna classe politica europea. Oltre ad aver dimenticato che il multipolarismo porta alla guerra più spesso e più sicuramente dell’egemonia unipolare o bipolare (la Guerra fredda non ha conosciuto scontri frontali), leader ed opinione pubblica sembrano dimenticare un’altra sgradevole realtà della storia europea degli ultimi sessant’anni, che Robert Redeker, in un memorabile commento sui “neo-pacifisti contro la pace” apparso su Le Monde, si è incaricato di ricordare a tutti: «Non sono stati i popoli (europei - ndr) a liberarsi del nazismo, ma è all’esercito americano, anzi agli anglo-sassoni, come li definiva la propaganda di Vichy, che si deve questa liberazione; e nemmeno sono stati i popoli ad assicurare la protezione dell’Europa occidentale contro il comunismo, che anzi esercitava fascino su di essi, bensì la politica americana». Lo slogan “meglio rossi che morti” è nato in Europa, e se nel 1984 l’installazione degli euromissili, che hanno evitato la “finlandizzazione” del continente e provocato il tracollo politico-economico dell’Urss, fosse stata (come proponeva il Pci) sottoposta a referendum popolare, quasi sicuramente l’Italia e la Germania avrebbero bocciato il provvedimento. Col bel risultato che oggi l’Europa occidentale avrebbe con un’Unione Sovietica viva e vegeta gli stessi rapporti che attualmente Hong Kong intrattiene con la Cina. In buona sostanza, il processo di integrazione della Ue si è potuto compiere soltanto perché per cinquant’anni gli Stati Uniti, contro la stessa volontà dei popoli europei, hanno garantito il continente dai ricatti sovietici. Mezzo secolo di libertà, prosperità e sicurezza dell’Europa sono stati possibili esclusivamente perché l’Europa ha quasi interamente appaltato ad altri la propria difesa. Il risultato è che oggi la Ue può presentarsi davanti al mondo come il prototipo della potenza regionale prospera e pacifica, un po’ egoista in ambito commerciale, ma incline alla cooperazione politica multilaterale e rassicurante perché scevra di ambizioni egemoniche. Peccato che questa immagine dipenda totalmente dal fatto che il “lavoro sporco” è stato lasciato agli Usa.

Europa e Usa, Dna diversi
Cosa succederà il giorno - potrebbe essere molto vicino - in cui l’alleanza asimettrica fra Ue e Stati Uniti verrà meno? Secondo Violante e altri parolai succederà che l’Europa deciderà di garantire autonomamente la propria sicurezza, aumenterà la propria spesa militare e si assumerà responsabilità strategiche globali. Pensare questo vuol dire far finta di ignorare che il Dna europeo è quanto di più lontano si può immaginare da quello di un global player. Per capirlo basta confrontarlo con quello di un vero global player, cioè gli Usa. Potremmo schematizzare così: Dna degli Stati Uniti: primato della politica sull’economia (vedi i vari embarghi contro Cuba, Libia, Iran, Irak, ecc.), patriottismo e orgoglio per i propri valori (il “sogno americano”), enfasi della potenza militare e propensione al suo uso, responsabilizzazione degli individui e delle comunità sociali; Dna europeo: primato dell’economia sulla politica (l’integrazione economico-finanziaria nettamente più sviluppata di quella politica, la politica estera dominata da un mercantilismo che fa vendere reattori nucleari all’Irak e allacciare rapporti economici con gli “stati canaglia”), inesistenza di un patriottismo europeo e relativismo culturale (esaltazione del “multiculturalismo”), pacifismo diffuso e reticenza all’uso della forza militare, statalismo che genera mentalità assistenzialista fra gli individui e disintegra i corpi sociali intermedi. L’esito logico di queste differenze è che gli Stati Uniti continueranno a svolgere un ruolo di potenza egemone fino al giorno in cui le forze ed il contesto internazionale glielo permetteranno; l’Europa, invece, sciolta dall’alleanza strategica con gli Usa, si dividerà fra singoli paesi organicamente filo-americani e paesi candidati alla “finlandizzazione”, cioè pronti ad adeguarsi ai ricatti dei “paesi canaglia” pur di difendere una calante prosperità. Perché questo esito è nel Dna della Ue? Lo vediamo alla prossima puntata.

 
 

Pace: «L’equivoco europeo», di Casadei Rodolfo,  - Tempi, Numero: 14 - 3 Aprile 2003

 

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