Pace:

La religione di Bush
(e di Barbara S.)

 

 
di Baget Bozzo Gianni,

La religione di Bush è stata oggetto di un numero speciale di NewsWeek, che ha tracciato la biografia religiosa del presidente americano e ci ha spiegato come egli fosse un critico della linea presidenziale del padre, che mirava al consenso dell’establishment della costa occidentale degli Stati Uniti. Il giovane Bush pensò sin dall’inizio a puntare sull’unica minoranza militante che esistesse negli Stati Uniti: la destra religiosa. Non è, dunque, una scelta occasionale del Presidente americano quella di porre un forte accento religioso sulla sua vita e sul suo linguaggio politico, ma una scelta prima personalmente vissuta come conversione dall’alcolismo e poi come preciso calcolo politico sull’importanza dei gruppi religiosi nell’elettorato americano. Questi sono fondamentalisti protestanti, ben lontani però dai contenuti teologici della riforma luterano calvinista del XVI secolo. Si tratta di una religiosità che vive in Dio, nella fiducia della Provvidenza e nella Bibbia: una religiosità laica, non teologica, ricondotta però a una forte dimensione di interiorità. Bush non ha avuto il consenso delle grandi chiese, a cominciare dalla Chiesa cattolica. Il Papa è il suo più fiero oppositore religioso e con lui sono tutte le Chiese storiche protestanti. Ma il panorama americano religioso è fatto di evangelici e di carismatici, cioè di persone che hanno scelto di separare la loro fede da quella sofisticata delle teologie con cui le grandi chiese hanno fatto un compromesso. Evangelici e carismatici separano la fede dalla teologia, dominata, anche tra i cattolici, dall’influenza del protestantesimo liberale, specie in campo esegetico. Gli evangelici-carismatici sono la linea principale della religione americana, l’espressione di un cambiamento spirituale che pone fine all’egemonia bisecolare della teologia tedesca. Ora la nuova religiosità giunge ai vertici dello Stato ed ottiene un consenso nazionale che, prima dell’11 Settembre, era impossibile sperare. Il linguaggio di Bush, pertanto già religioso, non aveva accentuato i toni, come ha fatto dopo l’attentato alle due torri. Naturalmente dal punto di vista laico questo è un colossale difetto di leadership politiche. Chi meglio della più colta tra gli editorialisti de La Stampa poteva condannare il ritorno del sacro nella politica americana se non Barbara Spinelli? La Spinelli scrive che la religiosità di Bush ha introdotto nella politica americana un elemento di necessità: cioè l’imperativo di fare la guerra all’Irak. Ma qualunque decisione di guerra è sempre una decisione che introduce un elemento nuovo nel gioco della politica. Se ciò dovesse essere considerato antipolitico e antidemocratico, bisognerebbe censurare il presidente Lincoln che, per motivi religiosi di uguaglianza tra gli uomini indipendentemente dalla razza, aveva deciso la guerra con gli Stati del Sud: una guerra più drammatica e sanguinosa e con radicali conseguenze per lo Stato americano che non sia la guerra dell’Irak. Ma il pensiero laicista non può accettare che una dimensione religiosa rafforzi la qualità della politica, soprattutto se essa non è un fatto confessionale ma un atto di religiosità personale. La fede religiosa rafforza la creatività ed il coraggio delle decisioni ed è l’unica forza in cui l’odio non possa essere il motivo predominante della scelta. Occorre dunque rallegrarsi che il Presidente americano cerchi conforto nella fede e viva le sue scelte come da essa benedette: ciò rafforza la sua dedizione ed il suo impegno, ma non determina i contenuti né diminuisce i fondamenti razionali e politici della scelta. Riguarda la persona e il suo agire, non le sue azioni ed i loro contenuti che rimangono laici, anche se illuminati dalla luce della fede.
 
 

Pace: «La religione di Bush (e di Barbara S.)», di Baget Bozzo Gianni,Tempi, Numero: 11 - 13 Marzo 2003

 

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