Pace

Bussare alla porta dei grandi a piedi scalzi
 

 
di Luigi Geninazzi,


Al culmine di quella che è stata definita una vera e propria offensiva di pace Giovanni Paolo II si rivolge direttamente a George W. Bush con una lettera personale che sarà recapitata alla Casa Bianca da un suo inviato speciale. Non mancava che lui, il leader della superpotenza planetaria, convinto stratega della guerra preventiva in nome della lotta al terrorismo globale e della sicurezza americana. Tutti gli altri attori della crisi irachena, falchi e colombe, alleati, ex alleati o nemici degli Usa, erano già sfilati davanti all’anziano Pontefice nelle ultime settimane. Un’attività diplomatica intensa e frenetica, con la Segreteria di Stato in continua mobilitazione e con "l’uomo delle missioni impossibili", il cardinale Etchegaray, inviato fin dentro il bunker del dittatore di Baghdad.

    Ha voluto raccogliere tutti gli elementi possibili Giovanni Paolo II a sostegno di una domanda di pace da presentare all’interlocutore decisivo che sta alla Casa Bianca. Evidentemente, nei palazzi vaticani non s’è dato troppo peso all’incauta battuta del portavoce di Bush secondo cui l’America farà quel che ritiene opportuno senza lasciarsi influenzare dalle parole del Pontefice. Piuttosto vale la pena ripeterle, anzi scriverle di proprio pugno – queste parole – in un accorato appello indirizzato proprio al presidente degli Stati Uniti. Così deve aver pensato Papa Wojtyla nel decidersi a questo nuovo gesto di umile fermezza senza preventiva garanzia di successo.

   Perché lo fa? Perché affronta anche il rischio di un rifiuto? Giovanni Paolo II non si muove in base ad un’astratta utopia o ad un vago slancio moralistico. La pace è qualcosa di concreto che ha a che fare con le decisioni dei responsabili politici. Per questo si rivolge ai capi delle nazioni. Parla alle menti, sostiene argomentazioni nelle quali crede a tal punto da presentarle a tutti, senza manicheismi.

   Al tempo stesso si rivolge ai popoli come agli individui. Tocca i cuori invitando tutti ad implorare da Dio quel che gli uomini fanno fatica a realizzare. Per questo ha indetto per il 5 marzo, mercoledì delle Ceneri, «una giornata di preghiera e di digiuno». L’offensiva diplomatica trova la sua motivazione nell’invito alla preghiera. L’una cosa spiega l’altra. Giovanni Paolo II è uno che tratta coi politici col rosario in mano. Chi lo riduce ad un’icona di certo pacifismo dimentica che Papa Wojtyla, per cultura e storia personale, è agli antipodi di una visione irenica del mondo. Per lui la pace è l’esito di una lotta che avviene all’interno di noi stessi, un’educazione alla libertà che costa sacrificio e a volte anche il sangue. Ha vissuto e imparato le dure lezioni della storia. Vede con sguardo lucido che la guerra incombente non ha giustificazioni e può aprire la strada a nuove, terribili catastrofi. Non c’è da meravigliarsi per talune convergenze. Ci si può anche rallegrare per queste: importante è non pretendere di spingere Karol Wojtyla dentro calchi che non sono i suoi.

   La corsa ad affiancarsi al Papa è pressoché generale, politici e leader pacifisti annunciano pubblicamente che mercoledì digiuneranno per la pace, come richiesto dal Pontefice. Fingono d’ignorare che quella indetta dal Papa è una giornata non solo di digiuno ma di preghiera. Non ci si vanta di farla: è un dono che va strappato a Dio, il quale vede nel segreto e apprezza la sincerità. Leone Magno del terzo millennio Giovanni Paolo II tenta così di fermare la nuova barbarie.
 

 

Pace: «Bussare alla porta dei grandi a piedi scalzi», di Luigi Geninazzi, Avvenire 2.3.2003
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