Infinito

«Destino ed educazione»
 

di Giancarlo Cesana



Ciò che ha cancellato l’oscurità, il dubbio, la violenza sui volti dei ragazzi dei sobborghi di New York è la certezza di essere voluti bene, perché per essere certi non basta un’idea: un’idea basta per essere fanatici. Per essere certi ci vuole un posto, qualcuno che vuole me. Per vivere, da solo non basto, ho bisogno di te, e tu non basti mai.


Ma l’altro che ci vuol bene che cosa ci trasmette? Il senso, lo scopo della vita, la vocazione; non semplicemente un compito come qualche cosa da fare, ma il destino. Il destino non vuole un compito, vuole l’io. L’Altro che mi ama, il senso della vita vuole me, non quello che faccio. Immaginate uno che ha una passione per una certa operosità ed è costretto a starsene a letto da vent’anni: che cosa lo può sostenere? Il compito? La parola destino decide: o accetta o non accetta. Siamo destinati ad amare: questo supera tutti i punti di vista, deborda tutti i limiti di un compito. A questo Tu che interviene nella nostra vita volendoci, bisogna rispondere e rispondere è il rischio di attaccarsi. Perché la conoscenza è un’energia affettiva, non è il meccanismo elettronico di un computer. Attaccarsi è il rischio di una vita. Rispondere vuol dire che la vita non è più come te la immagini, ma è determinata dalla presenza a cui rispondi, e non una Presenza con la P maiuscola, perché c’è un certo spiritualismo che usa tutte le parole con la maiuscola (la Presenza, l’Altro, ecc.), ma quella con la minuscola: la presenza di te che porti quella Presenza con la maiuscola. Io ho capito così quello che ha detto don Giussani della Madonna. La Madonna si è attaccata, ha portato il Mistero. Per questo è fontana vivace di speranza, perché si è abbandonata.


Ma ci potrebbe essere ancora
un’ultima obiezione, quella che riporta Eco recentemente, riassumendo il pensiero di Popper: «Di tutto si può dire che è menzogna, di nulla si può dire che è verità». Così è la vita ed è così se la verità non è più forte della morte, perché la morte falsifica tutto. L’unica verità che vince la morte, l’unico fattore di speranza, è Cristo, che ha vinto la morte, che è presente e si manifesta in un’umanità cambiata, come promessa del compimento. Io sono seguace di Cristo non perché abbia capito tutto, ma perché non ho capito niente se non la promessa contenuta nella risposta che da Lui è venuta. Non c’è nessuna presunzione nell’essere cristiani. E Cristo è mistero proprio nel modo in cui si presenta: attraverso una compagnia umana.


Allora: se questo è il destino, qual è il compito?
Missione ed educazione. Di più: educazione come missione. L’educazione è aiutare a vedere, così che la libertà possa rischiarsi. «L’uomo mendicante di Cristo e Cristo mendicante dell’uomo», per abbattere il muro dell’obiezione, dell’incertezza, del calcolo, della vita impostata come se l’avessimo fatta noi. L’educazione è soprattutto una proposta: non di un’idea, ma di me e quindi di quello che tu segui, di quello a cui appartieni, di quello che ti ama e che ama te per amare tutti.
 

Infinito: «Destino ed educazione» di  Giancarlo Cesana, 13 ottobre 2002

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