il mio Natale
di Umberto Di Stilo:

Recensioni

Ne “Il mio Natale” di Umberto Di Stilo Protagonisti di un mondo ricco di valori e sentimenti

di Michele Scozzarra

La festività natalizia, con le sue antiche tradizioni, nonostante negli ultimi anni ha dovuto cedere terreno ad uno sfrenato consumismo, rimane sempre la più bella festa della cristianità, ispirando poeti, narratori e pittori che nelle loro opere si sono lasciati tentare dal mistero della Natività.

Anche l’amico giornalista e scrittore galatrese, Umberto Di Stilo, con la sua ultima opera “Il mio Natale” (Edizioni Proposte, Nicotera, 2000), ha voluto addentrarsi in una meticolosa e affascinante ricostruzione di tutto ciò che il Natale ha rappresentato, in alcuni paesi della Calabria, tra la seconda metà degli anni cinquanta e la prima metà degli anni sessanta.

Il libro che è di facile lettura, assai avvincente e mai noioso, ha come scenografia naturale l’abitato di Galatro, con le sue linde casette, aggrappate sul fianco della bianca collina, che si specchiano nelle acque del Metramo ed offre al lettore un’occasione irripetibile per cogliere quella magica atmosfera che, in questo particolare periodo dell’anno, si viveva in tutte le famiglie calabresi e, in particolare, in quelle di Galatro.

Umberto Di Stilo è stato capace di presentare delle persone vere e concrete, rispettandone fino in fondo ogni semplice e peculiare caratteristica, e la sua penna s’intinge ad ogni riga nel tenue inchiostro della misericordia: è la misericordia la vera protagonista di questo appassionato libro di ricordi, la misericordia di famiglie che combattono per essere, in un mondo che si presenta sempre più diviso, un fulcro di unità, di speranza e di affezione. Infatti, nel libro, l’autore ha ricordato e descritto dei personaggi indimenticabili,  è riuscito a consegnare alla storia e, pertanto, a ridare volto, memoria e vita agli amici  che ormai non ci sono più, a far rivivere conoscenti di un tempo ormai remoto, il cui ricordo non si è ancora spento: uomini, donne, bambini , storie, tutte descritte con lo sguardo attento di chi  quei fatti non solo li guarda e li descrive, ma li ha vissuti con straordinaria verità.

Per questo, nelle varie vicende narrate, le persone non sono mai irreali, mai deturpati da una finzione ideologica, mai esasperati da un desiderio di manipolazione: sono persone vive, protagonisti di un mondo semplice e reale, che si staglia sullo sfondo di una Galatro ricca di valori e di sentimenti, nonostante ci si trovi nel difficile periodo del dopoguerra dove la povertà e la fame erano delle realtà con le quali bisognava fare i conti giornalmente.

Il lettore si ritrova, come d’incanto, all’interno delle famiglie di Galatro, per assaggiare le zeppole con il miele, per portare il Gesù Bambino in processione, o per scoprire il significato del leone nel presepe; viene a contatto con l’umanità di persone semplici e modeste come Sarvaturi (il bidello-ciabattino protagonista di uno dei più bei racconti del libro) e di Angialuzzo (che di rosso gradiva in maniera particolare il vino), Cicciuni, Cheli ‘a morti, Cenzella, Pascaluzzu, Roccu ‘u Potellu, il Fiduciario, Petrusinu, ‘u Magazzineri, Bettina, Nicolantonio (che proprio la notte di Natale viene stroncato dalla leucemia), Mastro Ciccio (che la notte di Natale deve  lavorare al suo tavolo di calzolaio per poter consegnare un lavoro urgente per l’indomani), la casa di Bruno, Pino, Ascanio, Pepè, ... e lo stesso fiume Metramo ha qualcosa di magico, di irreale, soprattutto nella notte di Natale  “quando ci si aspetta che, da un momento all’altro, inizi a scorrere il miele”.

Ma per cogliere questa magia, tutte le persone e i fatti narrati, devono essere letti e compresi con il metro del cuore, cioè con la capacità di considerarsi parte di una comunità, che anche attraverso le vicende dei vari racconti, ha lasciato un segno di amicizia, di amore, di solidarietà, di tutto un modo di concepire la vita che forse, oggi, per nostra naturale distrazione, non siamo più abituati a concepire.

Inoltre, è da sottolineare come Umberto Di Stilo è riuscito, nel suo libro,  a rappresentare mirabilmente un mondo, forse ormai scomparso, ma di cui è importante conservare la memoria, non solo per la gente di Galatro, ma per tutti, in quanto, in esso, si possono rivedere o scorgere dei riferimenti ambientali o personali, che hanno una certa familiarità con le varie situazioni che si sono vissute in tanti dei nostri paesi, per tanti riti e usanze un paese vale l’altro, perché, in fondo le tradizioni sono sempre quelle.

Anche i capitoli amari e tristi, che evocano la fame, la miseria, il distacco, la morte, non vengono posti su di un piano diverso e con significati particolari rispetto a quelli che possiamo definire più lieti e festaioli, ma rappresentano una normale dimensione della vita che il Di Stilo presenta ricche di umanità e di coinvolgente lirismo.

E, per concludere, c’è da chiedersi se, in una società frenetica e distratta come la nostra, si riesce ancora ad apprezzare quei valori, descritti mirabilmente nel libro: sono i valori della naturalezza e della semplicità della vita vissuta da tante persone che, senza molte pretese, hanno trasmesso un modo di concepire e di vivere l’esistenza che ci supera di molte lunghezze.

Per tutto questo non posso non ringraziare Umberto Di Stilo, per tutte le sensazioni che è riuscito a farmi provare: anche a nome di tutti coloro che hanno letto ed apprezzato il libro, sono sicuro di poter dire: “grazie”.

di Michele Scozzarra,
Proposte, N° 18, Dicembre 2001

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