Lo spirito
della
democrazia

«Un imprevisto per Fidel»

A Cuba s’avanzano strani cristiani, in 200 a un congresso di bioetica dove ha partecipato anche un “osservatore” del regime. L’evento è stato ignorato da stampa e Tv, però...
 

 
di Albacete Lorenzo


Sono appena tornato da L’Avana, Cuba, dove ho pronunciato il discorso conclusivo al “Primo Congresso Nazionale di Bioetica” tenutosi dal 31 gennaio al 2 febbraio 2003 all’Havana Libre Hotel. Il congresso, sostenuto dal “Centro per la Bioetica Giovanni Paolo II”, ha riunito circa 500 partecipanti da ogni parte del mondo, compresi i membri più in vista dell’establishment medico, scientifico, accademico e intellettuale cubano. C’erano anche dei membri del governo guidati dal Ministro per gli Affari Religiosi del partito comunista cubano. Il Centro per la Bioetica Giovanni Paolo II, sola istituzione del genere a Cuba, è diretto da importanti scienziati e accademici cattolici cubani in stretta relazione con la gerarchia ecclesiale, guidata dall’arcivescovo dell’Avana, il cardinal Jaime Ortega. Il convegno è terminato con la messa celebrata dal Cardinale, un vescovo ausiliario, il Nunzio Apostolico e altri preti diocesani e religiosi, seguita da oltre la metà dei partecipanti, inclusi molti non cattolici.


Un bioetico belga ha detto che in Belgio, e probabilmente in tutta l’Europa occidentale, un evento del genere non avrebbe mai potuto svolgersi con la partecipazione di così tanti non cattolici, comunisti e membri ufficiali del governo inclusi. Il successo del congresso ha di gran lunga superato le speranze degli organizzatori (in origine avevano previsto circa 70 partecipanti). Che il tema abbia così interessato non è sorprendente, dal momento che la ricerca medica è una delle priorità del governo di Castro, e la competenza cubana nel campo gode del riconoscimento di tutto il mondo. Sorprende invece che la Chiesa sola sia riconosciuta da tutti quale il miglior contesto per la riflessione circa le sue implicazioni etiche.


Uno degli organizzatori mi ha detto: «Ciò mostra semplicemente come a Cuba oggi ci siano solo due “voci” ascoltate da tutti: il Governo e la Chiesa». In verità l’uno guarda l’altra con molto sospetto, soprattutto in termini di collaborazione. Dal momento che la Chiesa non gode di nessun riconoscimento legale, ogni attività è resa possibile solo dal permesso governativo. Perché dunque viene esso accordato? Non certo perché il governo tema la sua ingerenza politica: i più vivono nell’assoluta ignoranza della Chiesa e del suo messaggio. Fatta eccezione per i ricordi dei nonni, la maggior parte dei giovani non sa cosa essa rappresenti. Quando venni a Cuba cinque anni fa, giusto prima dell’arrivo del Papa, più di una persona in strada mi domandò se ero il Papa! E quando uscii per fare una passeggiata nella vecchia l’Avana e andare a vedere i restauri degli edifici con il cardinale, nessuno sapeva chi egli fosse. Fino a quell’epoca al cardinale non fu permesso di parlare alla gente alla Tv o alla radio. E niente, infatti, su questo congresso è stato detto sui giornali, alla radio o alla televisione. Perché allora il governo sembra veramente interessato a tali attività? Nessuno ha saputo darmi una risposta convincente. Qualcuno mi ha detto che ciò faceva giusto parte del disperato bisogno di turismo quale fonte di guadagni, o semplicemente solo per “tenere buoni” i leaders cattolici e prevenire così il loro attivismo politico.


Altri dicono che l’amore per la cultura del popolo cubano si è dimostrato più grande dell’ideologia ufficiale, e la Chiesa ha sempre giocato un ruolo importante nella promozione di questa passione.
 
 

Lo spirito della democrazia: «Un imprevisto per Fidel» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 7 - 13 Febbraio 2003