Lo spirito
della
democrazia

«Bush chiede consenso sull’Irak »

Nell’anniversario dell’11 settembre 2001 sembra che lo stato d’animo degli americani sia molto più emozionalmente controllato rispetto all’ampia ondata di patriottismo e di sentimentalismo religioso vista l’anno passato.
 

 
di Albacete Lorenzo



Nell’anniversario dell’11 settembre 2001 sembra che lo stato d’animo degli americani sia molto più emozionalmente controllato rispetto all’ampia ondata di patriottismo e di sentimentalismo religioso vista l’anno passato. Certo la sovraesposizione mediatica non sembra andare incontro al desiderio di una commemorazione semplice, calma e tranquilla. Ogni canale televisivo del Paese dedicherà l’intera programmazione giornaliera all’evento. Per la prima volta nella storia i principali network commerciali non trasmetteranno interruzioni pubblicitarie. Un canale che replica vecchi film ha annunciato che manderà in onda vecchie pellicole su New York. Io stesso sono stato interpellato dal Tg4 (Italia) e dalla Cnn perché dal Ground Zero interpretassi un evento che in effetti ho visto soltanto in televisione.


I leader religiosi non vedono l’ora di affollare gli schermi televisivi con cerimonie di commemorazione in diretta. Ho paura che la maggior parte di quanto verrà detto quel giorno non sarà ascoltato. E forse è giusto che non lo sia. Nel mezzo di tutto questo trambusto il Governo chiede agli americani di sostenere un attacco all’Irak come prossimo passo della guerra contro il terrorismo seguita all’11 settembre. Senza dubbio quando l’Amministrazione si convincerà di avere il sostegno dei cittadini l’attacco avrà inizio, e non importa cosa pensi l’opinione internazionale. Ma convincere gli americani richiede uno sforzo impegnativo. Innanzitutto bisogna ricordare che più del 50% degli elettori non hanno votato per Bush. Poi molti americani considerano Bush soltanto uno strumento dell’establishment repubblicano, ovvero dei petrolieri, il che significa che l’interesse non sarebbe quello di sconfiggere Saddam bensì d’imporre all’Irak una democrazia filo-americana sul modello occidentale, e ciò comporterebbe a sua volta la caduta degli stati arabi circostanti e la loro sostituzione con regimi similari. Bisognerà convincere gli americani che non si tratta di un attacco preventivo (il ricordo di Pearl Harbour, insieme a quello dell’11 settembre, è ben vivo), ma della continuazione logica della risposta all’11 settembre. Per farlo occorre provare il legame diretto tra l’Irak e gli attentati dello scorso anno.


L’Amministrazione ha già tentato di documentarlo ma fino ad oggi non sembra essere stata convincente. Inoltre non basteranno le ragioni di carattere geo-politico e strategico ma dovranno dimostrare che si tratta di combattere un nemico assolutamente ostile all’esistenza degli Stati Uniti, ostile alle radici di quei valori religiosi e di quegli ideali cui gli americani si riferiscono per comprendere se stessi come nazione. È quello che è successo con il nazismo e con il comunismo, percepiti dagli americani non tanto come sistemi politici avversari quanto come filosofie di vita radicalmente ostili ai valori americani. L’11 settembre scorso gli americani sono nuovamente entrati in contatto con un nemico di questo genere. Di questo sono già persuasi. Per convincerli a sostenere una guerra contro l’Irak bisogna persuaderli del legame tra Saddam e queste nuove forze ostili. Il Presidente deve mostrare in maniera convincente che questo legame esiste. Così l’11 settembre 2002 non sarà soltanto un giorno in memoria dei propri cari scomparsi per sempre, di un mondo perduto, di un’innocenza perduta. Sarà anche il momento per un’equilibrata riflessione sul prossimo passo da intraprendere nel nuovo mondo.
 
 

Lo spirito della democrazia: «Bush chiede consenso sull’Irak» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 37 - 12 settembre 2002