Lo spirito
della
democrazia

Bush tra due fuochi


A Washington la partita fra isolazionisti e interventisti è serratissima. E il presidente cerca di tenere assieme tutti. Senza avvedersi delle contraddizioni.

di Albacete Lorenzo


Ovviamente, l’attenzione del popolo statunitense è stata questa settimana catturata dal Medioriente e dagl’incredibili avvenimenti verificatisi in questa nuovissima fase del conflitto israelo-palestinese. Non vi è dubbio che le simpatie della maggioranza della popolazione siano indirizzate verso Israele, ma la ragione di questo atteggiamento è duplice: anzitutto, nella percezione degli statunitensi i nemici d’Israele non sono politicamente, culturalmente ed economicamente amici degli Stati Uniti (un sospetto che, naturalmente, si è notevolmente rafforzato dopo l’11 settembre) e quindi Israele viene visto meno in termini di uno Stato oggi impegnato nel conflitto mondiale fra le nazioni e più come “patria dell’ebraismo”, la terra dell’Antico Testamento, il “protettore” della popolazione ebraica necessario a impedire un secondo Olocausto. I palestinesi restano invece un popolo semplicemente ignoto, confuso con “gli arabi” (credo che molti nordamericani non sospettino nemmeno dell’esistenza di numerosi palestinesi cristiani). La tattica dell’“attacco dinamitardo suicida” conferma le paure statunitensi circa il fatto che i palestinesi siano completamente diversi sul piano morale. I palestinesi non sono riusciti, insomma, a comunicare agli americani la fattualità dell’occupazione israeliana e le loro conseguenti sofferenze.


Ne deriva quindi la piena approvazione americana delle “relazioni speciali” fra Stati Uniti e Israele, ma questo non significa che essi siano disposti a consegnare al proprio governo un assegno in bianco con cui appoggiare incondizionatamente ogni iniziativa o mossa israeliana. In concreto, ciò significa che il governo di Washington può contare sull’appoggio alle proprie politiche fino a che resta chiaro il legame con gl’interessi statunitensi di difesa nazionale contro il terrorismo e, in misura minore, alla promozione dei “valori” americani. L’attuale amministrazione Bush, nel frattempo, è paralizzata da una profonda divisione interna: in merito alla politica mediorientale, infatti, vi è chi tende a identificare quasi completamente gl’interessi americani con quelli d’Israele, e altri che (e fra questi vi sono ovviamente gli esponenti odierni dell’isolazionismo statunitense) non vogliono alcuna acritica sovrapposizione del Paese con una delle due fazioni attualmente in guerra. In genere, il primo gruppo coincide con “il Pentagono” e il secondo con il Dipartimento di Stato. Di conseguenza, la politica dell’Amministrazione Bush ondeggia da una posizione all’altra. Nel suo ultimo discorso “ufficiale” sul tema, il presidente ha semplicemente abbracciato entrambe le prospettive senza alcun timore per la palese contraddizione.


Questa settimana, la palla è passata nelle mani del Dipartimento di Stato in coincidenza con la visita in Medioriente del Segretario di Stato Colin Powell. Se questa visita si concluderà con un nulla di fatto, il consenso verso Israele aumenterà. E qualora si dovesse verificare un nuovo attacco terroristico contro gli Stati Uniti, nel Paese la causa palestinese non avrebbe più il benché minimo appiglio.


(E nel bel mezzo di codesta tragedia, fa capolino anche un poco di humour. Dopo avere visto le fotografie che ritraggono Arafat impegnato in una conversione al telefono cellulare in una stanza priva di energia elettrica e mentre tutt’attorno piovono granate, un attore televisivo si è detto assai interessato a conoscere il nome della compagnia di telefonia mobile di cui si serve il leader palestinese incontrovertibilmente così potente da riuscire, con i propri forti segnali, a superare l’impasse, laddove invece quelli di noi comuni mortali riescono a malapena a coprire per intero le grandi aree urbane. Arafat dovrebbe decidersi a scegliere la via dell’esilio statunitense, propone l’attore, diventando il presidente di un’azienda di telefonia mobile e dunque un miliardario).

di Albacete Lorenzo, New York
Tempi, Numero: 15 - 11 Aprile 2002