Una vita al servizio di chi soffre e di chi "subisce" le guerre
CHIARA CASTELLANI
Cenni Biografici
"A sette anni decisi di fare il medico
per aiutare i poveri", dice Chiara. Poteva essere uno dei tanti slanci
di generosità che i bambini a quella età hanno,
invece Chiara anche se inconsapevolmente, aveva già tracciato il suo programma
di vita. Si laurea giovanissima in medicina con il massimo dei voti
all'Università Cattolica del Sacro Cuore in Roma, subito dopo si specializza in
ginecologia. Ha 27 anni quando parte per il Nicaragua. Vi rimarrà per
sette anni, di cui gli ultimi tre vissuti a Waslala, cioè in piena zona di
guerra. Le lettere di Chiara dal Nicaragua sono raccolte in un libro
"Carissimi tutti", in cui l'incisività dell'esperienza e del
linguaggio di Chiara conducono il lettore tra la gente del Nicaragua, gli fanno
respirare la speranza di persone laboriose che chiedono solo di vivere, di avere
un futuro e per questo pagano il prezzo più alto che possa essere chiesto ad un
essere umano: la vita. Chiara racconta la gioia delle nascite, la serena
quotidianità della vita nei villaggi sconvolta dagli attacchi dei guerriglieri
che seminano morte e mutilazioni. Narra i momenti di sconforto, la sigaretta
fumata dopo l'ennesima amputazione ad uno dei tanti giovani che dopo qualche
settimana, anche se mutilato, tornerà comunque sul fronte a combattere. Nel
1989 rientra dal Nicaragua. Per le sue competenze professionali e la sua
esperienza ha la prestigiosa opportunità di lavorare per le Nazioni Unite.
Rinuncia perché il suo posto è con la gente semplice. E' già in Congo, allora
Zaire, quando è vittima di un grave incidente stradale nel quale perde il
braccio destro. Sono le prove più dure a far emergere la forza interiore delle
persone. Chiara trova in se' una forza immensa forse è un sentimento maturato
in lei giorno dopo giorno alla scuola della sofferenza tra la gente del
Nicaragua. Impara a scrivere con la sinistra, ad usare la protesi e quando
questa non è sufficiente nel suo lavoro di ginecologa impara a servirsi del
braccio delle sue infermiere. Oggi Chiara ha 45 anni e lavora a Kimbau
nell'attuale Repubblica democratica del Congo, per l'AIFO, Associazione Italiana
Amici di Raoul Follereau. E' in un paese devastato dalla guerra, con le
infrastrutture distrutte, in un ospedale in cui manca perfino l'acqua. In cui i
bambini prematuri sono avvolti in coperte che fungono da incubatrice. In cui
morire di malaria o di diarrea fa parte dello scorrere dei giorni. A Kimbau
Chiara è responsabile dei servizi sanitari di base, unico medico in un
territorio più grande del Belgio. Chiara è “missionaria laica” nella
diocesi di Kenge. E' stata insignita, dalla Presidenza della Repubblica
italiana, del grado di Alto Ufficiale della Repubblica. Il 21 ottobre 2000, ha
ricevuto il Premio Cuore Amico assegnato dall'omonima Associazione.
LA TESTIMONIANZA: Perché rimanere?
Firmarmi
"Missionaria Diocesana" mi da oggi un senso di orgoglio e di
appartenenza analogo a quello che provavo quando ero medico docente
all’ospedale Fidel Ventura di Waslala, in Nicaragua. Ben poco è cambiato.
Oggi come ieri ho voluto entrare a far parte, fino in fondo, di un'istituzione
(ieri il Ministero di salute rivoluzionario, oggi la Diocesi di Kenge) in cui
credo. Oggi come ieri, essere parte integrante di una realtà locale che lotta
per il diritto alla salute dei più poveri, mi motiva a continuare, a rimanere
con loro, anche se alle volte è difficile; alle volte ho tanta voglia di
scappare, di tornarmene a casa da mamma e papà. Forse sono proprio quei troppi
momenti di scoraggiamento (in cui è solo da quella breve preghiera ripetuta
centinaia di volte in un giorno: "Dio se esisti, aiutami", che mi
permette di non cedere) a far sì che il bisogno di loro diventi ad un certo
momento più forte del bisogno che loro hanno di te: perché se sono andati avanti per secoli
senza di me, e potrebbero ancora fare a meno di me. Io senza di loro non saprei + come tirare
avanti. E allora ti trovi dentro fino al collo, alle
volte anche tu così impotente che finisci per essere, assieme a loro, una
vittima dei
soprusi dei militari e dei
piccoli potenti, prepotenti per i quali la guerra è solo un pretesto per
arricchirsi alle spalle dei più poveri. Testimone oculare di
profonde ingiustizie quotidiane (i colpi di frusta all’anziana madre di
famiglia, le galline e le capre razziate per infondate accuse di "complicità
con i ribelli", l’assistenza medica rifiutata perché non si hanno i
soldi per pagare, il diritto alla salute ridotto a uno squallido mercato in cui
ogni infermiere diviene un commerciante e ogni commerciante si spaccia per infermiere, i bambini cacciati
da scuola perché non hanno pagato la tassa imposta dallo stato, i maestri che
chiedono due giorni la settimana di ferie per lavorare i campi, dato che lo
stato non li paga o li paga con un anno di ritardo quando l’inflazione ha
eroso il 90% del potere d’acquisto) alle volte vorrei gridare contro questi
abusi, ma griderei nel vento perché la responsabilità è troppo in alto (e
troppo a Nord) perché chi vuole tutto ciò possa ascoltare le nostre grida. E
il crimine si consuma nel silenzio. Come nel caso dell’uccisione del vecchio
dottor Richard. Nella sua
ultima lettera, scritta di nascosto su un frammento di carta che conservo come
reliquia non aveva nessuna parola per lui stesso: "Chiara, non dimenticare
la nostra gente dall’altro lato del fiume, da continuità al mio lavoro, sii
medico anche per loro". La nostra gente... la forza del messaggio di questo
santo laico era più intensa della mia "voglia di scappare". Sono rimasta,
perché sento la sua presenza accanto a me, anche se persino le sue spoglie mi
furono negate: sparì nel nulla,
come milioni di "desaparecidos" della storia dell’ingiustizia umana.
Chiara Catellani