PRIGIONIERI IN

INDIA

(sotto) L'Attesa - quindicinale stampato (ciclostilato) nel sottocampo di Bairagarh. Edizione straordinaria del 5 marzo 1942 per commemorare la morte del Duca D'Aosta avvenuta a Nairobi 2 giorni prima

  L’africa Orientale era caduta pochi mesi dopo la Cirenaica, per intenderci nel periodo dell’Armata Graziani (gennaio 1941). Complessivamente a fine anno (quando cade anche l’ultima ridotta di Nasi a Gondar in Etiopia) si stima fossero finiti in mano Inglese più di  200.000 soldati e civili militarizzati italiani (non finiranno tutti in India). Un tal numero di prigionieri obbligherà gli Inglesi a rinunciare a maggio 1943 ad ulteriori consistenti internamenti. Il dato di 40.000 italiani (rintracciabile in alcuni testi) catturati nel 1941 fra l‘Etiopia, la Somalia e l’Eritrea, pur in presenza di truppe coloniali, è ampiamente sottostimato. Come ho fatto per l’Australia lascio a vari testimoni il racconto di sprazzi di vita nei campi di internamento. Non tutte le testimonianze sono concordi a considerare gli inglesi rispettosi della convenzione dell’Aja. Come per gli Usa le campane a favore superano quelle a sfavore. Per dovere di cronaca debbo citare anche queste, premettendo che si tratta di episodi molto limitati. Il fatto che in India, e proprio a Yol, venissero concentrati tutti gli ufficiali (inferiori), di cui molti camicia nera non facilitò il compito agli Inglesi. Gli “irriducibili”o Hostiles, come venivano chiamati, non si piegarono dal primo all’ultimo giorno. Una parte dei prigionieri (33.000) venne spostata in Australia nel 1944, sia per bisogno che per una grave crisi alimentare che colpì l’India. Dal 1940 all’8 settembre 1943 le regole dell’Aja garantivano anche ai fascisti la loro "diversità" da Prigionieri nemici. Dopo fu solo polemica, tutt’ora irrisolta fra prigionieri amici e non. Con la firma dell'armistizio e la dichiarazione di "cobelligeranza" la condizione di questi non migliora; le clausole armistiziali sottoscritte prevedono che noi liberiamo i loro ma non viceversa. La cobelligeranza è una parola inventata dagli italiani che per gli alleati ha tutt’altro significato. L'Italia continua ad essere considerato un paese sconfitto e in stato d'occupazione e i soldati italiani interessano come manodopera da utilizzare nelle situazioni più diverse. Saranno liberati prima della fine della guerra solo alcune decine di migliaia di prigionieri: quelli residenti in Sicilia catturati nell'estate del 1943 nel sud dell'Italia, 16.000 tra malati e anziani e 15.000 per ricostituire unità armate in sostituzione di truppe alleate trasferite sul fronte francese, ma niente che riguardasse l'India. La maggior parte dei 600.000 prigionieri presi in tempi diversi fino al '43 potrà rientrare a casa solo a guerra conclusa.

 

 

Bairagarh 5/11/42

Le foto di questa prima sezione sono state gentilmente concesse dal Sig. Cipriani Renato, figlio di Ercole, Bersagliere combattente in Africa Orientale detenuto in India con mansioni di barbiere (nella foto a fianco secondo da dx in piedi. La prima serie di foto di Ercole Cipriani è stata pubblicata nel capitolo http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/41/africao.htm )

     

   “10.000 in Himalaya 1941-1947", ed. Humana, 1997

Reportage fotografico, realizzato da uno dei prigionieri, Lido Saltamartini, con una minuscola macchina fotografica costruita con materiale di recupero. Prima di arrivare a Yol, Saltamartini aveva trascorso un anno di prigionia a Bangalore, nello stato di Mysore, dove era riuscito a mettere insieme l'apparecchio e salvarlo dalla perquisizioni. Con esso, scattò duemila fotografie, che venivano nascoste all'interno di sigarette svuotate dal tabacco e nei tubetti di dentifricio; di queste 500 andarono perse mentre le altre, conservate con cura per 50 anni, sono state raccolte nel libro: Il libro non è in vendita, ma si può richiedere all'associazione "10.000 in Himalaya", che devolverà i fondi per aiutare bambini sordo ciechi via Petrarca 8 - 20123 Milano Tel. 02. 4801.1719 Fax 02.481.2556 http://erewhon.ticonuno.it/riv/storia/yol/prigionia.htm
 

     

apparecchio fotografico di fortuna col quale sono state scattate 2.000 fotografie

"Una scatola metallica di sigarette Waltham's, lo stagno ricavato da un tubetto di dentifricio "McLeans", l'unico di stagno tra gli altri di piombo, la candela avuta in prestito dal Cappellano con promessa solenne di restituzione immediata al rientro in Italia, il cannello ferruminatorio ricavato da una scatola di salsicce di soia, una lente minuta (4 mm)." 

 

  

     
Mario Rigoni Stern su "La cavalcata selvaggia"

"Negli anni del dopoguerra un amico padovano che nel 1941, in Nord Africa, era stato fatto prigioniero dagli inglesi, mi raccontava della sua lunga prigionia nei campi dell’India. Erano stati davvero lunghi quegli anni, molto di più dei miei venti mesi nel lager; anche perché nei casi della vita il tempo non ha i valori del calendario. Mi raccontava del deserto libico, di marce, di sete, del viaggio nella stiva di una vecchia nave nel caldo dell’equatore. Anche delle montagne altissime e bianche che vedeva tra i reticolati dopo il passaggio dei monsoni. Quei monti sognati, per valli misteriose li raggiunse nella primavera del 1945. Ora che non c’è più questi racconti me li riporta il libro di Carlo Grande: La cavalcata selvaggia. Ho ritrovato quel loro tempo, il tempo dei nostri prigionieri lontani un mondo da casa, con le loro delusioni, le povere speranze, i dubbi. E l’oblio anche, quell’oblio nella sofferenza non straziante che i monsoni impastavano nell’anima con il fango e l’umidità, che solo un fugace sorriso di donna o il compassionevole sguardo di un vecchio indiano poteva attenuare. Ma anche le montagne, le montagne immense e lontane, bianche. Un sogno di libertà che, finita la guerra con l’esplosione delle due atomiche sul Giappone, i prigionieri italiani, a piccoli gruppi, raggiunsero camminando per l’ignoto. Il sogno della libertà, di Ulisse. Un libro da leggere, oggi, anche per capire la condizione umana."

 

"La cavalcata selvaggia"

 di Carlo Grande Ed. Ponte delle Grazie

Tso Moriri, ottobre 1945
«Queste montagne» pensò il maggiore Pribaz affacciato alla tenda, « queste montagne spoglie, color terra, sono la mia casa ». Davanti a lui un arabesco di cime, una catena di picchi battuti dai venti, che si gettavano nel lago. Il fiabesco Moriri, così a lungo immaginato. Un mondo fatto di sole, di pietra, di gelo e di fuoco; di pastori e montanari, di pascoli e di silenzio. Sul valico, legate a un Ihatho, centinaia di bandierine strappate dal vento, che si agitavano freneticamente, disseminando preghiere nella terra della solitudine. L'Indo, il sacro fiume, era lontano. Ma poteva ancora sognarlo.Cos'altro c'era, da sognare? Nulla, gli parve. Cos'altro da fare? Nulla, in tutta coscienza. Niente da possedere, nulla da conquistare. Nessun eroismo da compiere.Il pilota si sentì appagato. Una specie di vuoto si allargava dentro di lui. Somigliava a un deserto, forse era il deserto di quelle cime, la « terra vuota » che entrava in lui. Il satong di cui parlavano i lama tibetani.Qui è il vuoto, pensò il pilota. Ma non è il deserto. Dopo anni di guerra, di morti, di prigionia, era arrivato".

     

lago Moriri

http://librinuovi.devep.org/modules/xfsection/article.php?articleid=50#  recensione

(foto a destra) Come abbiamo già detto per il Kenya gli inglesi facevano sfilare, allo sbarco, i prigionieri italiani per le città, affinché anche i nativi avessero modo di considerare la  potenza degli Inglesi *.

  La cavalcata selvaggia, la storia dei diecimila ufficiali italiani catturati dagli inglesi e portati in India, a Yol, ai piedi dell’Himalaya. Nel suo libro incontriamo eroi e vigliacchi, vinti e irriducibili, orgogliosi e poveracci: c’è chi si uccide, chi si ammala e muore, chi tenta fughe pazzesche e chi sprofonda nel suo destino di combattente senza armi, alla vergogna di appartenere a un esercito sconfitto. Ma c’è chi, come il protagonista, il pilota Gaspare Pribaz, si pente, e trova il riscatto salendo su vette di seimila metri, ritrovando la dignità, la poesia e la dimensione eroica che credeva perduta.
D. Con La cavalcata selvaggia ancora una storia vera. Perché?
R. La realtà è stata più stupefacente della fantasia: molti degli uomini che ho conosciuto, dei quali ho letto i libri e i diari, hanno dimostrato coraggio, forza d’animo, una poesia che nemmeno ci sogniamo. Ho cambiato i nomi, ho “romanzato” il protagonista, ma gran parte delle cose che racconto sono accadute realmente. Nella prima parte è una vicenda dura: la cattura di un pilota triestino nei cieli d’Egitto, l’umiliazione della prigionia in un campo durissimo a Suez, il viaggio massacrante su una nave verso Bombay. Poi il romanzo diventa molto tenero: Pribaz capisce che non c’è niente da fare, che deve andare avanti, che la sua strada è segnata. Si guarda intorno e “vede” l’India, la sua cultura, le donne anche, che risvegliano i suoi sentimenti. Alcuni prigionieri si innamorarono di donne indiane, le sposarono e rimasero lì.
D. Perché il titolo, un po’ western?
R. Alcuni POW (Prisoner of War) in una memoria chiamarono “La cavalcata selvaggia” l’eccezionale e commovente marcia che compirono nel ‘45, uscendo dai reticolati con un permesso speciale degli inglesi: in un mese raggiunsero il lago Moriri, a quasi cinquemila metri di quota, attraversando valichi altissimi, in Ladakh, nel Piccolo Tibet.

http://www.loccidentale.it/articolo/elenco+dei+prigionieri+italiani+a+yol+%28india%29.0085514

     

ERCOLE ROSSI (1899- 1942) FUCILATO

motivazione della medaglia d'oro: "Durante la prigionia trasfondeva nei compagni cui la sorte lo aveva accomunato, la sua fierezza di combattente sostanziata da ardente amore per la Patria esausta in conseguenza di diversi avvenimenti bellici. All'ordine perentorio dell'autorità detentrice di scioglimento di una riunione di ufficiali, che nella ricorrenza di una festa nazionale si erano fraternamente raccolti per ricordare la Patria

 

lontana con nostalgiche canzoni di guerra e inni patriottici, si opponeva con dignitosa fierezza e anziché piegarsi all'imposizione preferiva affrontare da forte la prevista immancabile reazione a fuoco che ne stroncava la fiorente giovinezza". (Yol - India - 21 aprile 1942*).

*Il 21 aprile è la ricorrenza dei natali di Roma, a suo tempo festa fascista, e nel campo ci fù  probabilmente un pò di agitazione.

 
*Beretta - "Prigionieri di Churchill" edizioni Europa 1953".. appena disarmati i soldati italiani venivano affidati ad un sottufficiale britannico, il quale si serviva dei suoi uomini di colore (negussini) per la perquisizione e la disciplina. Come primo provvedimento i prigionieri venivano denudati, senza distinzione di età o grado e alleggeriti di ciò che possedevano: indumenti, ricordi personali... Il prigioniero veniva lasciato senza scarpe, in mutande...(ora veniva il bello) Belli - Da rivista Associazione Nazionale Reduci Prigionia. Fin dall'inizio si vide subito che piega prendeva la perquisizione: coperte, lenzuola, lamette da barba, sapone, carta per scrivere, penne, lapis, .... tutto quanto poteva far comodo ai vincitori era silenziosamente confiscato. Chi osava protestare si sentiva esplodere sotto il naso il grido "Come On ..." e era la più formidabile delle pedate. Gli inglesi presero l'abitudine, per dimostrare alle proprie colonie che erano i più forti del mondo di far passare in mezzo a due ali di folla "quegli straccioni di italiani"- Come non ricordare il Cairo dove la popolazione coprì di sputi i prigionieri - scrive ancora Beretta - A Mombasa (Kenya) ad attendere c'era una colonna di autocarri, ma l'ufficiale ordinò che i Pow raggiungessero il campo a piedi con il bagaglio in spalla e così sfilammo per le strade attraversando la città. Un sottufficiale a scudisciate faceva avanzare i più lenti, tra le risa e gli applausi degli scaricatori di porto, che si divertivano a vedere un bianco preso a staffilate. Il colonnello Toscano con le sue (di staffilate) fece ridere tutti !!!..
C'è chi ha voluto vedere in questo scherno, di cui gli italiani sarebbero stati solo il mezzo, il canto del cigno dell'impero britannico. Mentre facevano scudisciare gli italiani, i sudditi neri di sua maestà sognavano le prossime che avrebbero rifilato agli Inglesi e questo era il fine. In Kenya i Mau Mau massacreranno migliaia di padroni inglesi. In Egitto Nasser li caccerà dal canale e verranno ai ferri corti nel 1956. In India tutti sanno come andò a finire dopo i massacri contro i seguaci di Ghandi. L'unico che sopravvisse fu il Sud Africa che storicamente, da emigrati olandesi, aveva già preso le distanze dall'impero, ma anche quello non era destinato a  durare. Sconteranno infatti in un tempo più lungo il problema dei diritti civili ai neri di cui Londra divenne, la paladina !!!. C'è un detto famoso che dice "Più malvagio di un tedesco c'è solo un Inglese".
    Brani tratti da http://www.chiamamicitta.com/ cardelli

LA REPUBBLICA FASCISTA DELL'HIMALAYA

Leonida Fazi Edizioni Settimo Sigillo. La “Repubblica” di cui si narra è il campo di concentramento 25, costruito dagli inglesi per raccogliervi i prigionieri catturati nei primi anni di guerra in Africai. La “sua” guerra (di Fazi) era finita su una delle quote dell’Halfaya, al confine tra l’Egitto e la Libia, dove la compagnia cannoni del reggimento bersaglieri di cui Fazi comandava un plotone, era stata sopraffatta da un contrattacco delle forze corazzate britanniche. Fazi e altri ufficiali, erano stati fatti prigionieri, ma la loro Odissea, a quel punto, era appena cominciata. Sballottati in un rudimentale e provvisorio campo in Palestina, poi in una nave olandese requisita agli inglesi, infine approdati a Bhopal alle falde dell’Himalaya. Qui i prigionieri hanno deciso di cominciare uno sciopero della fame, per reclamare condizioni migliori di vita. “Il colonnello inglese viene a parlarci afferma che ogni nostro tentativo di fuga sarebbe soggetto al fallimento per i serpenti, le bestie feroci e… gli indiani, che non possono dimenticare che noi in guerra abbiamo usato i gas. Urla paurose si alzano, le fila ondeggiano e il Colonnello e il traduttore si rendono conto dell’errore compiuto. Il nostro colonnello, interpretando i nostri sentimenti, dichiara di insistere nello sciopero della fame finché gli inglesi continueranno a trattarci come animali”.Venne con le piogge la notizia,dapprima vaga poi più precisa,che il Campo 25 sarebbe rimpatriato. Nel luglio e nell'agosto 1946 rimpatriarono i "cooperatori". Avevano guadagnato,malgrado tutto,soltanto tre mesi. Nel novembre partì il Campo 25. Partimmo in due scaglioni che si congiunsero a Bombay,sul piroscafo Tamaroa. Indossavamo l'uniforme del Campo. Gli ufficiali della milizia portavano la camicia nera (I prigionieri non smisero mai di indossare l'uniforme italiana anche quando questa prevedeva la camicia nera, ma questa era la regola anche per gli inglesi detenuti in Germania). Le sentinelle armate ci accompagnarono fino all'imbarco. Infatti eravamo "hostiles" e pericolosi. Passammo il canale di Suez. Nel lago di Ismailia giacevano alla fonda,due navi da battaglia italiane prigioniere. Entrammo nel Mediterraneo che ci accolse con tempesta e freddo. Una notte vedemmo le luci della Sicilia. Eravamo tutti alle murate,a guardare. Il 23 dicembre 1946,sul primo pomeriggio entrammo nel golfo di Napoli. Sulla nave viaggiavano anche delle famiglie inglesi. Soggiornavano di solito, nella sala di I classe e avevano a loro disposizione, naturalmente, le passeggiate. Vennero sulla passeggiata di sinistra per vedere Napoli. Erano allegri per l'arrivo, ridevano. Ma ci videro. Ammutolirono. Si ritrassero.

 

Quattro anni a due passi dal Tibet
Il Tibet è vicino... Ma non abbastanza! In guerra, quando le cose vanno male, capita anche di essere fatti prigionieri dal nemico. Il che non è necessariamente una disgrazia, almeno se chi ci ha catturato ha un minimo di rispetto per la vita umana e per la convenzione di Ginevra. E a Toto Fabbri, costretto ad arrendersi agli inglesi nel Nord Africa, la prigionia ha regalato un'esperienza interessantissima nell'India del nord, proprio sotto l'Himalaya e il Tibet.
Dove eri quando sei stato fatto prigioniero?
"Eravamo in Africa, inverno del '41, in ritirata, una cosa che non auguro a nessuno, una esperienza terribile. Io comandavo un plotone. Forse potevo fare l'eroe, ma davanti ad un carro armato che ci avrebbe maciullato tutti, mi sono arreso. Gli inglesi ci fecero prigionieri e ci condussero a piedi fino ad una località chiamata Sollum al confine tra Libia ed Egitto. Pensare che noi della "Trento e Trieste" avevamo più di duemila mezzi, ma non sono serviti lo stesso. Poi di lì in camion e treno fino ad Alessandria. Poco prima di Natale vidi ad Alessandria uno degli spettacoli che non potrò mai dimenticare. Di notte entrarono nel porto i cosiddetti "Maiali" motoscafi sommergibili da sabotaggio comandati da Durand De La Penne. Eravamo mezzi nudi, avevamo seppellito gli abiti per liberarli dai pidocchi, in una parte sabbiosa del porto. Ignari di tutto cominciammo a vedere esplosioni da ogni parte e tutto il fuoco incrociato delle batterie. Un bel fuoco d'artificio non c'è che dire! Poi ci portarono a Geneifa e da qui imbarcati a Suez sul transatlantico più grande del mondo, L'Ile de France. Un viaggio terribile. Eravamo sotto il livello dell'acqua. Arrivammo ad Aden, 45 gradi e 100% di umidità. Qui mi ammalai gravemente di dissenteria. Mi ricordo che implorai mia madre di farmi morire. Non ne potevo più."
Quale era la vita al campo?
Eravamo circa diecimila prigionieri. Gli inglesi non si può dire che fossero degli aguzzini. Trattavano la gente con molto rispetto. Almeno noi ufficiali. Comunque rispettavano le convenzioni sui prigionieri di guerra. Quattro campi divisi in ali. La giornata cominciava alle sette e neanche tanto male. Pensa che ci portavano tè, latte e biscotti oppure potevamo andarceli a prendere in mensa. Avevamo tutti delle mansioni, anche se i lavori più infimi erano affidati agli indiani. Avevamo degli orti da curare, palizzate e muri a secco da costruire. Col tempo ci permisero anche dei campi da tennis che rimediammo alla meglio ma che alla fine assolsero egregiamente alla loro funzione. Facevamo tetti con le lattine del bacon. Mi ero arrangiato anche a commerciare. Sai di cosa mi 'occupavo'? Trattavo delle partite di m... di mucca molto più preziosa di quanto puoi immaginare. Serviva per gli orti. Secca la utilizzammo come sottofondo del campo da tennis. La vendevo ai carbonai come combustibile. Insomma mi arrangiavo. A volte ci facevano uscire a blocchi di venti o trenta.
Da chi era abitata la vallata di Kangra?
"Erano fondamentalmente punjabi. Bella gente. E la valle era un vero Eden. Acqua dei ghiacciai, fiori, piante tropicali, e poi boschi e alpeggi su su fino alle nevi eterne. Credo che fosse il posto più bello dell'India. C'erano dei prigionieri di Sondalo, dei camminatori formidabili, che alla mattina partivano alla volta dei ghiacciai e tornavano alla sera con il ghiaccio avvolto nella lana. Eravamo a circa 1800 metri e il clima era perfetto. Tutto intorno era pieno di 'Tea Garden'. Pioveva molto d'estate. Più in alto c'era un valletta chiamata la 'valle dei carbonai' dove facevano il carbone per l'inverno...... Claudio Cardelli

    http://www.palgrave.com/pdfs/0333738926.pdf  . Struttura prigionia

  Appartiene a questa serie di racconti dei reduci anche il recente libro del figlio di Gualtiero Benardelli pubblicato da Inpuntadivibram sempre con la prefazione di Rigoni Stern. Il figlio di Gualtiero Mainardo, diplomatico in servizio a Bagdad negli ultimi due anni - ha raccolto in un volume le lettere del padre al nonno che ripercorrono la storia di quelle migliaia di soldati italiani che per quasi sei anni rimasero prigionieri degli inglesi ai piedi dell'Himalaya, in India, a 20 Km da Dharamsala dove oggi risiede il Dalai Lama. Editrice: arterigere
Collana: in punta di vibram Anno: 2007
Prefazione: Mario Rigoni Stern

 

  Gualtiero Benardelli (Cormòns, 22.02.1904 – Gorizia, 26.01.1972) è uno dei tanti ragazzi minorenni che sogna a la libertà nella vicina Fiume nel 1920. Si laurea poi a Firenze in Scienze sociali, economiche e politiche e nel 25/26 frequenta a Pola il 3° corso Allievi Ufficiali Alpini di complemento. Presta il servizio di prima nomina presso i Battaglioni “Pieve di Cadore” e “Vestone” e dopo il congedo entra al Ministero delle Colinie con destinazione Mogadiscio (1929). Vive tutta l’avventura coloniale e le vicende di Guerra fino a maggio del ’41 in qualità di comandante di bande irregolari “Banda Benardelli” poi banda “Beni Sciangul” e infine Banda Tessenei, con la quale prende parte al ripiegamento dal fiume Dabus a Dembidollo fino alla cattura. Le azioni compiute gli meritano l’argento. Come migliaia di altri italiani inizia il suo viaggio verso l’India verso i campi di prigionia per Ufficiali. Finisce sotto l’Himalaya in quello che viene definito il campo 26 (Yol). Verso la fine del conflitto per le mutate condizioni relazionali fra inglesi e internati ad alcuni viene concesso una uscita verso le cime più alte dalla loro quota del campo che è a 1.800 m.
- Michele Farina Corriere della Sera Lettera del prigioniero di guerra Gualtiero Benardelli alla sorella, campo 26 di Yol, 18 maggio 1945: «Mia graziosa Myriam, sono molto contento perché abbiamo ottenuto di fare un escursione di un mese in una delle zone pìú belle dell'Himalaya». Così il diario di un ufficiale italiano catturato dagli inglesi in Somalia diventa il racconto di un trekking straordinario nel semi inesplorato Ladakh, una «cavalcata selvaggia» di 550 chilometri ad alta quota dai 4.000 ai 6.000 metri, attraverso picchi e ghiacciai su cui avanzare con piccozze fatte con la latta fusa delle scatolette per alimenti. È un'ascesa senza mappe («errammo per alcune ore su un vasto pianoro, finchè trovammo dei pastori che ci indicarono la via»), su su fino al Tso Morirì, il lago del Cigno Nero, e poi la discesa a valle dormendo all'aperto a -15 («scavammo una grande buca nella neve, quel giorno mangiammo solo qualche cucchiaio di zucchero e qualche galletta»). Gualtiero Benardelli e i due compagni di avventura Luciano Davanzo e Giovanni Battista Mazzolini, bruciano pezzi di carta negli scarponi congelati per ammorbidirli un po'. Camminando per 50 chilometri sotto la neve giungono a Manali e da lì con la corriera rientrano al campo base, che è poi il campo di prigionia.

Rientrato in Italia nell’agosto 1946, riprende servizio a Mogadiscio con l’AFIS (Amministrazione Fiduciaria Italiana per la Somalia), dove raggiunge il grado di Vice Segretario Generale. Trasferito al Ministero degli Esteri, presta successivamente servizio nel Katanga quale Console Generale (1960), in Yemen (1961-68) ed in Honduras (1968-71) quale Ambasciatore.
     

Netaji Subhas Chandra Bose

Il RIBELLE

17 gennaio 1941: Chandra Bose eludendo la sorveglianza inglese, era riuscito a fuggire dalla sua residenza forzata a Calcutta e a raggiungere con un passaporto italiano, dopo una serie di tappe, Berlino. In Germania Bose venne accolto con tutti gli onori: i tedeschi erano interessati a qualsiasi espediente politico e militare al fine di fomentare la sollevazione delle popolazioni soggette alla dominazione inglese. Nei piani di Bose c'era la costituzione di un governo indiano in esilio ed un esercito, reclutando i tanti prigionieri indiani catturati dalle forze dell'Asse in Africa settentrionale. Bose venne anche in Italia in visita ufficiale, per cercare appoggio politico al suo progetto.

Bandiera nazionale adottata nel novembre 1943 dal governo provvisorio dell'India indipendente proclamata nell'ottobre precedente da Subhas Chandra Bose e riconosciuta dalle potenze dell'Asse. Il territorio era limitato alle isole Andamane e Nicobare, già occupate dai giapponesi. Era la bandiera del partito del Congresso senza l'emblema centrale tuttora in uso.

 

DIARIO DI CIANO 3/4/5 maggio 1941 "... D'accordo con Berlino, rispondiamo a Tokio che il momento di fare una dichiarazione per l'indipendenza araba e indiana non è ancora venuto. Sarebbe un gesto platonico di nessuna conseguenza pratica. E forse avrebbe delle conseguenze negative. Soltanto se e quando le armate dell'asse saranno arrivate in posizioni che permettano loro di sottolineare con le armi le dichiarazioni di indipendenza, un tal gesto potrà essere compiuto. "4/5".. Ricevo Chandra Bose, capo dei nazionalisti indiani. Rimane male quando sa che la dichiarazione per l'indipendenza dell'India è rinviata sine die. Crede che in tal modo si faccia il gioco del Giappone, che agirà per conto suo, senza tener conto degli interessi dell'Asse… Naturalmente bisogna prendere con moderazione queste dichiarazioni di Bose, che cerca di tirare acqua al suo mulino".5/5"...Accompagno Bose dal Duce. Lungo colloquio, ma senza elementi nuovi tranne il fatto che Mussolini si è lasciato persuadere onde ottenere subito la dichiarazione del Tripartito per l'indipendenza indiana". Com’era gia successo in Italia i prigionieri indiani stimolati ad aderire al nazismo in funzione antibritannica non furono molti solo 300 su 6.000. Nel 1942 tale forza aumentò quel tanto da dar vita a uno striminzito reggimento. Del nucleo italiano formato anche da Italiani della Tunisia e arabi del nordafrica abbiamo detto nella pagina armi e corpi. Gli indiani di Hitler invece non trovarono mai stabile impiego in linea pur entrando a far parte dall'8 agosto 1944 nelle Waffen SS col nome di Indische Freiwilligen Legion der Waffen SS, agli ordini dell'SS-Oberfiihrer Heinz Bertling. Lo stesso Chandra Bose, vista svanire anche la più pallida strategia di vittoria, venne imbarcato su un sottomarino e consegnato ai Giapponesi che sull’India potevano ancora dire qualcosa. Il discorso India era svaporato quando i tedeschi persa El Alamein avevano perso anche l’obiettivo Caucaso, entrambi alla fine del 42. continua sotto .  (Il 9 febbraio 1943 Bose, il suo aiutante, il dottor Habib Hassan vennero portati a Kiel sull’U-180. Il sommergibile si incontrò nelle acque del Madagascar con il sommergibile giapponese I-29 *. Bose raggiunse prima Tokyo per colloquiare con i rappresentanti del governo nipponico e poi si trasferì a Singapore dove formò il Governo provvisorio dell'India Libera) * i sommergibili che collegavano la Germania con il Giappone si contano sulle dita delle mani e l' I-29 era uno di questi.

   

Bandiera del Dominion Inglese sull'India

18 agosto 1945 o oltre. The bombing of Hiroshima and Nagasaki changed the history of mankind. Japan had to surrender. Bose was in Singapore at that time and decided to go to Tokyo for his next course of action. Bose is supposed to have died in a plane crash over Taiwan while flying to Tokyo. However, his body was never recovered, and conspiracy theories concerning his possible survival abound. Le bombe atomiche cambiarono il destino del Giappone e il suo (se ce ne fosse stato ancora bisogno). Bose era a Singapore al momento dei lanci e decise di andare a Tokyo facendo scalo su Taiwan. Da quel momento nessuno ebbe più notizie di lui e si avvalorò la tesi che fosse caduto in un incidente aereo su Taiwan. Tesi più volte smentita che diede adito a centinaia di soluzioni, compreso quella che era prigioniero dei Russi.

  (continua Bose)
Da IL MANIFESTO (Le monde)

Il lato oscuro della II guerra mondiale - Le battaglie dimenticate nell'Asia che fu inglese (Ina Indian national Army). Questa formazione di circa 40.000 uomini era stata costituita nel 1943, aggregando principalmente gli uomini dell'Esercito britannico delle Indie (non India) catturati dai giapponesi un anno prima, dopo la presa di Singapore. Molti di quei soldati - e non da ultimo il loro primo capo, il generale Mohan Singh - avevano vissuto sulla loro pelle il razzismo della società coloniale britannica. La maggioranza, al cospetto della caduta del regime britannico e della fuga ignominiosa dei loro ex padroni bianchi, si era convinta che l'impero fosse ormai alle corde. E la cruenta repressione scatenata nell'autunno 1942 dalle autorità britanniche contro il movimento di Gandhi «Quit India» (fuori dall'India) finì di esacerbare il loro disprezzo per il regime coloniale. Seguì poi, nel 1943, la terribile carestia del Bengala, che costò la vita a quasi tre milioni e mezzo di indiani. La causa immediata di questa tragedia fu il blocco improvviso, a seguito dell'invasione giapponese, delle importazioni di riso dalla Birmania, ma le sue origini più profonde vanno ricercate nel fallimento dell'economia coloniale. E la catastrofe fu ignorata dalle autorità britanniche in India e dal gabinetto di guerra di Londra, che col loro atteggiamento resero quella tragedia ancora più insopportabile. Nel 1943 Subhas Chandra Bose si mise alla testa dell'Ina. Nel 1944 Bose assunse quindi il comando dell'Ina contro i britannici dell'armata imperiale delle Indie e le forze americane concentrate nell'Assam. Prima della sua partenza portò con sé come talismano un piccolo cofano d'argento che conteneva un pugno di terra raccolta sulla tomba dell'ultimo imperatore moghol delle Indie, morto in esilio a Rangoon dopo la rivolta indiana del 1857. L'armata di Bose riesumò il grido di guerra delle truppe indiane ammutinate un secolo prima: «Chalo Dehli!» (in marcia per Delhi!). Ma la guerra andava peggio anche per i giapponesi che scontavano il ritorno degli Usa, degli Australiani e dei Cinesi. In India l'Impero britannico, in uno strenuo sforzo di dominio, era riuscito a mobilitare le risorse di quel vasto subcontinente. Fu una mobilitazione non britannica ma indiana. I soldati indiani furono i veri artefici della vittoria sul fronte birmano: erano agricoltori, medici, infermiere, mercanti, ben consapevoli di impegnarsi al servizio di un'impresa nazionale, dato che il dominio britannico volgeva al termine. Molti - come Gandhi - consideravano l'Ina come un esercito di «patrioti fuorviati», ma a guerra finita non sarebbero stati disposti ad accettare una vendetta britannica nei loro confronti.

     

18 giugno 1942 festa dei Bersaglieri a Yol

 

E' finita, o quasi anche la pacchia per molti

Breve Traduzione: Un corrispondente di guerra Usa ha rilevato che i Prigionieri italiani (ufficiali) stanno meglio qui che a casa loro (letteralmente nel lusso). Hanno ogni genere di passatempo, cibo e uno stipendio che se non è più alto che a casa gli permette in questo disagiato paese acquisti impossibili in Italia. Bergonzoli è famoso per dilapidare il denaro coi nativi. Di dare lo stipendio lo prevedeva la convenzione di Ginevra del 1935. Si scoprì inoltre che a richiesta venivano forniti dischi di musica classica (Verdi, per i tedeschi Wagner) mentre in Italia ai prigionieri inglesi viene propinato Giovinezza.

 

Da un articolo di Time del Novembre 42: A U.S. correspondent, visiting a prison camp in India, reported that thousands of captured Italians live in luxury they could never know at home. They tend gardens, sunbathe, play football, grow fat on abundant rations. Miserably paid in their own army, they now receive British Army pay (small compared with U.S. pay). General Annibale ("Electric Whiskers") Bergonzoli, pleasantly housed with several other generals, has been seen lolling along in a native tonga (cart) toward a nearby village, where the captured officers are popular because they have so much money to squander. This situation is altogether proper and legal: Britain is merely observing the Geneva Convention, which 29 nations adopted in 1935 to govern the treatment of prisoners. British M.P.s declared in the House of Commons that British prisoners in Italy are allowed to hear only Italian and German music, while British authorities continue to give German and Italian prisoners liberal rations of Wagner, Brahms and Verdi.

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